È stato un anno brillante per l’ecommerce, lo diciamo da mesi. È stato persino spumeggiante nel settore wine & spirits, tra quelli più resistenti alla trasformazione digitale. Si chiude con Italcementi della famiglia Pesenti che compra Callmewine (13 milioni per il 60%) ed è stato segnato, dopo il primo lockdown, dall’importante investimento del Gruppo Campari su Tannico (quasi 24 milioni per il 49% della scaleup fondata da Marco Magnocavallo), una delle più grandi operazioni di open innovation del 2020 e certamente degli ultimi anni nell’ancora gracile mercato italiano dell’innovazione.
L’accelerazione dell’ecommerce è una realtà fatta di numeri che in molti casi hanno salvato i conti delle imprese più avvedute e agili. A fare la differenza non sono più i progetti e i programmi ma la velocità di reazione e di esecuzione. In questo senso il caso Campari è esemplare. Ne parliamo con Bob Kunze-Concewitz, dal 2007 CEO della multinazionale quotata in Borsa, che ha chiuso il terzo trimestre 2020 con vendite per poco più di 1,2 miliardi (-1,6% rispetto al 2019), con la crescita controcorrente di Aperol e tutta la categoria aperitivi.
Kunze ha il privilegio di un punto di osservazione globale, visto che il Gruppo spazia dall’Europa alle Americhe, e la franchezza di ammettere lo scetticismo con cui fino a pochissimo tempo fa si guardava al canale digitale. Come per molte altre aziende, la pandemia ha funzionato da catalizzatore di scelte che erano nell’aria e che Campari ha affrontato con velocità e con determinazione, come dimostra l’investimento su Tannico. Ne parliamo in questa intervista.
Campari ha e ha sempre avuto un business molto fisico, con prodotti venduti nella distribuzione organizzata o nel canale Horeca, soprattutto bar. Come siete arrivati all’investimento su Tannico?
Fino al 2019 eravamo scettici sull’ecommerce di vini e alcolici. Ma poi abbiamo visto l’accelerazione brutale negli Stati Uniti ma anche in Gran Bretagna e abbiamo cominciato a capire che dovevamo agire.
Quindi ancora prima della pandemia…
Sì, ma con il 2020 la tendenza è esplosa. Basti pensare che durante il primo lockdown in UK Aperol è entrato nella classifica dei prodotti più venduti su Amazon e ha superato persino la carta igienica! Mentre assistevamo a questo fenomeno, ci è giunta voce che Tannico cercava un investitore e abbiamo quindi cominciato a parlarci.
Non ci avete impiegato molto tempo a decidere, visto che le trattative sono cominciate in pieno lockdown..
No, perché per noi era un’ottima occasione per entrare in un canale diverso come soci di minoranza.
Quindi vi considerate solo investitori di Tannico?
Per il momento Tannico per noi è un investimento finanziario che ci permette di imparare. Tannico non viene integrato nel Gruppo e ci tratta, e deve trattarci, come tutti i suoi fornitori. Ci siamo lasciati tempo fino al 2025 per capire se l’integrazione avrà senso per entrambi i partner. Abbiamo ancora tanto da imparare.
Tannico, come vendere vino online e diventare un modello di innovazione
In occasione della semestrale lei ha detto che “nonostante le incertezze, stiamo accelerando i nostri programmi di trasformazione digitale ed ecommerce”. Come?
Durante il primo lockdown eravamo molto pessimisti. Poi abbiamo accelerato il passaggio dall’offline all’online per tutto il trade marketing, la pubblicità, il CRM, l’attivazione delle marche. Se prima facevamo concerti per Aperol con 80mila persone a Napoli, nella nuova situazione Aperol ha promosso Together We Can, un concerto online con più di mille musicisti che ha permesso di raccogliere 100mila euro da donare al sistema sanitario italiano per combattere il Covid.
Come avete accelerato sull’ecommerce, oltre all’investimento su Tannico?
Abbiamo stretto velocemente accordi commerciali con tutti i player dell’ecommerce, dalla distribuzione organizzata ad Amazon fino ai supplier specializzati. Le nostre vendite su questo canale in alcuni mercati sono triplicate e persino quadruplicate.
Partivate però da numeri piccoli…
Certo, ma teniamo conto che l’ecommerce nel nostro settore vale dal 2% dell’Europa al 3% degli Stati Uniti fino al 7% della Gran Bretagna, che è il mercato più evoluto. Questi sono i dati dei primi nove mesi del 2020. Ma crescere anche del 3% in un anno come il 2020, in cui c’è stata poca crescita, fa la differenza. Senza tenere conto di casi straordinari come l’aumento delle vendite del 50% di Campari solo negli Stati Uniti, che faceva già bei volumi. E poi vendere online è un’altra cosa…
In che senso?
Intanto il mix è diverso. Nell’ecommerce vanno soprattutto i marchi premium con prezzi e marginalità più alti e di solito più difficili da reperire nei canali fisici. Il bello dell’ecommerce è che lo scaffale è illimitato.
Sembra quindi molto lontano lo scetticismo del 2019…Come avete fatto a cambiare rotta cosi rapidamente?
Noi dobbiamo essere più imprenditoriali rispetto a concorrenti molto più grandi di noi. L’agilità è la nostra forza. Abbiamo una struttura decisionale leggera e possiamo quindi essere flessibili e veloci.
Avete fatto di necessità virtù. Che cosa resterà di questa accelerazione?
La digitalizzazione del marketing è irreversibile, così come le abitudini di acquisto di chi ha scoperto che l’ecommerce è semplice e comodo. Molto interessante è il fenomeno del consumo dei cocktail a casa. Negli Stati Uniti prima del lockdown al massimo preparavano un whisky e ghiaccio o un gin tonic. Adesso hanno scoperto che possono farsi anche il Negroni o lo Spritz. Una vera svolta!
Addirittura una svolta, perché? Che cosa è cambiato?
Secondo alcune nostre ricerche, il 70% di chi ordinava un Negroni al bar, che è il secondo cocktail più bevuto al mondo, non sapeva neanche che cosa ci fosse dentro. Rinchiusi a casa, i consumatori si sono messi a fare ricerche sul web e hanno scoperto che dentro il Negroni c’è il Campari, che non è poi cosi difficile prepararlo.
Quali sono stati gli effetti di questa svolta?
È stata superata una barriera psicologica che ha modificato la composizione delle vendite e dei canali. Noi abbiamo investito sull’edutainment: contenuti digitali di formazione ma divertenti e leggeri. E abbiamo visto gli spirits prendere quote di mercato rispetto a birra e vino. Non parliamo poi delle vendite nei supermarket: i consumi cosiddetti off premise stanno crescendo del 50% negli Usa che è il nostro primo mercato, seguito dall’Italia.
Questi cambiamenti nei consumi vi spingono a pensare a nuovi modelli di business, per esempio al delivery?
No, nel 2019 abbiamo fatto un esperimento di vendita dello Spritz pronto ma la qualità del cocktail non è la stessa. Online si vendono bene i prodotti premium, come dicevo, e i kit per la preparazione dei cocktail. Adesso ha cominciato a farloTannico e va bene così. Noi siamo consapevoli dell’importanza della digitalizzazione ma non abbiamo facili entusiasmi per l’innovazione. Abbiamo poche idee ma sono chiare. Il nostro core business restano gli spirits, il consolidamento nei mercati in cui siamo e l’espansione in nuovi mercati.
Lei in diverse occasioni ha parlato di acquisizioni. Nel 2020 oltre a Tannico avete comprato un brand della Champagne. Ne prevedete altre nel 2021?
Nel 2020, oltre allo champagne Lallier, abbiamo concluso l’acquisizione dalla Baron Philippe de Rothschild del nostro distributore francese. A noi piace fare shopping in Francia e abbiamo creato un bel polo di marchi francesi, da Grand Marnier a Bisquit, Trois Rivieres e La Mauny. Le acquisizioni sono pane quotidiano per noi, perché fanno parte del nostro modello di crescita e quindi ce ne saranno anche nel 2021. Ma sono più i deal che scartiamo di quelli che portiamo a termine. Siamo molto disciplinati e dobbiamo esserlo in un settore in cui la mediana dei multipli è 17 con deal in cui si arriva fino a 30. È vero che il denaro costa meno, ma non per questo ci s può permettere di…svagarsi.
Il 2020 è stato quindi l’anno della digitalizzazione di molti processi interni al Gruppo Campari, un percorso che concluderete nel 2021. Avete però vissuto anche il lato negativo del cambiamento, con un attacco hacker che vi ha bloccato per diversi giorni. È un rischio della trasformazione?
Non credo: se avessimo avuto tutto sul cloud, sarebbe stato meglio. Oramai ogni organizzazione, privata o pubblica che sia, corre il rischio di attacchi informatici, in tutto il mondo. Noi siamo stati trasparenti e il mercato lo ha capito. Ma anche in questa situazione critica si è vista la nostra agilità e velocità: in tre settimane abbiamo risolto il problema. Io dico sempre che un anno in Campari equivale a tre anni in un’altra aziende. Forse questo 2020 vale sei.