“Sfilate solo online? Non è una sorpresa, nel fashion esiste già da tempo un mix di eventi fisici e digitali. È difficile però replicare l’atmosfera del backstage, bisognerà capire cosa si può fare di più”. A parlare è Ian Rogers, Chief Digital Officer di LVMH, leader mondiale nel settore del lusso. Lo spunto per iniziare la conversazione con EconomyUp è la Milano Digital Fashion Week (14-17 luglio 2020), per la prima volta (forzatamente, a causa del coronavirus) tutta in digitale. Ma il top manager di LVMH, con un passato da imprenditore e dirigente nel mondo della musica digitale (Apple Music), non è stupito dal nuovo corso: “Quello che cambia – afferma – è che adesso, anche nel fashion, pensiamo in chiave digital first, prima tendevamo a considerare il digital come ‘second’”. Attrezzato per la digitalizzazione spinta causata dal Covid19, il grande gruppo europeo aveva già deciso da tempo di scommettere sull’innovazione e, in particolare, sulle startup innovative: ad oggi vanta almeno 3 diversi programmi di scouting e selezione, tra cui l’Innovation Award, la cui quarta edizione si è conclusa di recente. Complessivamente Ian Rogers lavora da vicino con oltre un centinaio di giovani società all’anno. Una strategia di open innovation perseguita con intensità e lucidità per una serie di motivi. “Vogliamo l’accesso ai migliori tool disponibili, cerchiamo di capire quali sono i fronti più avanzati e intendiamo educare il nostro gruppo alla creatività che porta l’innovazione. Anche a costo di aspettare anni. Vogliamo essere lì quando le startup sono pronte, dobbiamo solo arrivare al momento giusto: non dobbiamo essere early adopters ma nemmeno latest adopters. Ogni startup ha il suo sweet spot, il momento in cui è ‘matura’ al punto giusto per essere colta ed accolta”.
Ma vediamo meglio cosa fa LVMH e chi è Ian Rogers, che in questa intervista a EconomyUp spiega come gestisce l’innovazione digitale e l’open innovation del gruppo.
LVMH, il leader europeo nel luxury che punta sull’innovazione
LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton SE (LVMH) è un gruppo con sede a Parigi, leader del luxury nel mondo, ed è proprietario di numerosi brand di alta moda quali Christian Dior, Fendi, Givenchy, Kenzo, Loro Piana e Louis Vuitton, di gioielleria come Bvlgari, di orologi come TAG Heuer, di alcolici (Moët & Chandon, Veuve Clicquot, Dom Perignon), di cosmesi come Sephora e di editoria come Les Échos e Le Parisien. Nato nel 1987 dalla fusione tra il marchio Louis Vuitton, specializzato nella produzione di valigeria e accessori moda, e Moët Hennessy, produttore di vini e liquori, è un gruppo a gestione familiare con 5000 negozi nel mondo, un fatturato nel 2019 di 53,7 miliardi euro e 75 Maison radicate in cinque settori/divisioni: Vini e Liquori; Abbigliamento e Accessori Moda; Profumi e Cosmetici; Orologi e Gioielleria; Selective Retailing (Duty Free e Department stores). Il presidente e Ceo Bernard Arnault è uno degli uomini più ricchi del mondo.
Chi è Ian Rogers, il CDO che viene dalla musica
Laureato in informatica all’Università dell’Indiana, Ian Rogers ha iniziato la carriera nel 1993 come webmaster per i Beastie Boys e presso Nullsoft. Nel 2001 ha fondato Mediacode, che è stato poi rilevato da Yahoo, dove è diventato VP e General Manager della divisione Music. Nel 2008 ha assunto l’incarico di CEO di Topspin Media. Nel 2013 è entrato a far parte di Beats Music in qualità di amministratore delegato e l’anno successivo, a seguito dell’acquisizione da parte di Apple, è entrato nel team di iTunes. Ian ha contribuito al lancio di Apple Music. Da ottobre 2015 è Chief Digital Officer di LVMH.
All’inizio di luglio 2020 Ian Rogers ha proclamato Crobox vincitrice dell’LVMH Innovation Award 2020, concorso per l’innovazione del mondo della moda di alta gamma, quest’anno completamente riadattato nelle sue modalità a causa dell’emergenza sanitaria. Partendo da 1.200 candidature, la startup Crobox ha prevalso su 30 finaliste.
Ian Rogers, come è andata questa edizione digitale dell’Innovation Award e cosa è cambiato negli anni?
Abbiamo deciso di dar vita a questo contest, lanciandolo per la prima volta a Vivatech (conferenza tecnologica annuale dedicata alle startup) nel 2017, perché stavamo parlando con molte startup ma, per un’organizzazione di vaste dimensioni come la nostra, non era efficiente continuare ad avere conversazioni diverse con persone diverse. Non lo era né per noi né per le startup. Volevamo guadagnare efficienza e, allo stesso tempo, fare un migliore lavoro di scouting. Non volevamo parlare solo a quelle che ci erano più vicine, o che facevano sentire meglio la propria voce, o che erano amici degli amici. Al contrario intendevamo portare avanti un’indagine approfondita sull’innovazione che c’era là fuori. I numeri hanno dimostrato che avevamo ragione: nella prima edizione abbiamo ricevuto oltre 500 candidature, il secondo anno 700, il terzo 900 e quest’anno oltre 1200. Sono più interessato alla qualità che alla quantità, ma i numeri dimostrano chiaramente che abbiamo gettato una luce in quel mondo e ci abbiamo messo tanta energia. All’inizio avevamo probabilmente sottostimato quanto è duro fare davvero un buon lavoro e capire in un solo mese come funziona il business di oltre 1200 società. Ma abbiamo proceduto per gradi: ne abbiamo selezionate 100, poi siamo arrivati ai 30 finalisti e alla fine abbiamo scelto il vincitore. È stato molto soddisfacente e posso dire con certezza che quest’anno è stato il migliore per qualità delle startup, processi, coinvolgimento.
Quali trend e tecnologie sono emerse dall’ultima tornata di startup?
Ovviamente tendiamo a gravitare intorno a quelle startup che portano avanti attività sulle quali stiamo già lavorando: l’omnichannel, la costruzione di awareness sul nostro brand, il marketing, il Crm (Customer relationship management), il distance selling (vendita a distanza attraverso il live streaming), dati e intelligenza artificiale, personalizzazione, efficienza delle operazioni ecc. ecc. Per quanto riguarda in particolare il live streaming, per esempio, tra i finalisti c’era una startup chiamata Go Instore, che connette gli acquirenti online con esperti di prodotti all’interno degli store utilizzano una piattaforma video immersiva in HD. Questo tipo di startup conferma l’interesse crescente per il distance selling e l’influencer marketing. Da segnalare, poi, che il 25% delle startup finaliste quest’anno era focalizzato sulla sostenibilità o sulla social responsability.
Come è stato declinato l’interesse crescente per la sostenibilità?
Tra le startup di questo tipo posso citare Queen of Raw, un marketplace dove è possibile acquistare e vendere tessuti sostenibili, e Desserto, una società messicana che ricava un tipo di cuoio vegano dai cactus, di buona qualità e anch’esso sostenibile.
Cosa è cambiato nella moda con il Covid19?
Molte volte, durante la crisi, si è detto che l’emergenza sanitaria ha accelerato i trend esistenti ed è proprio così: con i negozi chiusi abbiamo visto l’ecommerce crescere in maniera importante e non è stata una sorpresa. Sono convinto che le esperienze online siano un eccellente modo per affrontare le sfide. Ma già vivevamo in un mondo connesso: il 100% dei nostri clienti possiede un telefono cellulare, così come l’80% dei teenager americani, i clienti del luxury sono utenti smartphone. Da molto tempo in LVMH abbiamo sposato l’innovazione nella comunicazione e stiamo comunicando online sui vari sociali (Instagram, Youtube, Tik Tok…). Un aneddoto personale: un paio di settimane fa ho acquistato un paio di cose da Loewe, sono entrato, ho preso capi dagli scaffali, sono uscito e…non ho pagato. Avevo fatto la prima parte del percorso su Instagram e non c’era bisogno di un checkout. Riassumendo: tutto questo già esiste, è stato solo molto accelerato durante la pandemia.
Dal 14 al 17 luglio a Milano c’è La Milano Digital Fashion Week. Come cambieranno gli eventi fisici nel fashion?
Nel fashion esisteva già da tempo un mix di eventi fisici e digitali. Da diversi anni i nostri fashion show si sono tenuti su Youtube, Instagram ecc. ecc. Succedeva già da prima che arrivassi in LVMH, ovvero prima del 2015. Quello che cambia è che adesso pensiamo in chiave digital first, invece di digital second. Ma avevamo già lavorato su come le sfilate dovessero apparire online. Negli ultimi anni c’è stata un’esperienza “rafforzata” con il pubblico: penso per esempi ai grandi schermi da guardare durante la sfilata e agli allestimenti organizzati dalle persone più creative del settore. La cosa più difficile è replicare l’atmosfera della Fashion Week: in tempi normali, in quel contesto, si va a feste, cene, si incontrano le persone, non si va lì solo per assistere alla sfilata. Penso che sarà interessante capire come fare di più.
Quali sono le vostre strategie di open innovation?
In LVMH abbiamo deciso di percorrere il sentiero dell’innovazione aperta per alcuni motivi. Prima di tutto vogliamo l’accesso ai migliori tool disponibili. Abbiamo bisogno di sapere quali sono i fronti più avanzati, per valutarli, o almeno per essere pronti a farlo. Il secondo obiettivo è educare il nostro gruppo alla creatività che porta l’innovazione. La creatività è una specie di magia, non puoi forzare la magia. Inoltre noi vogliamo davvero essere una startup del luxury “in salute”. Ho trascorso 20 anni nel mondo della musica e ho potuto constatare come, in ultima analisi, gli attori del settore cercassero di restare fuori al mondo dell’innovazione. È parte del motivo per cui hanno perso circa il 50% del loro fatturato. Ecco perché noi puntiamo ad essere un ecosistema tecnologico focalizzato sul consumatore. Quello che facciamo è creare una pipeline per portare l’innovazione al gruppo.
Come si compone questa pipeline di innovazione?
Comincia in novembre con la call per startup Innovation Award e culmina in giugno (quest’anno in luglio) con la selezione delle 30 startup finaliste. Siamo interessati a tutte e 30, non solo alla vincitrice. Poi abbiamo il nostro programma con l’acceleratore Station F, il grande campus di startup aperto a fine 2017 nel centro di Parigi, fortemente voluto dall’imprenditore Xavier Niel. Si chiama La Maison des Startups ed è un programma di accelerazione creato da LVMH per startup di tutto il mondo collocato, appunto, all’interno di Station F. Qui ospitiamo 25 startup ogni semestre.
Poi c’è il Retail Lab, uno a Parigi e un altro a Shangai. Stiamo parlando di innovazione interna. Si tratta infatti di un laboratorio dove allestiamo una sorta di fixed store: ogni 6 mesi sperimentiamo una nuova tecnologia per il retail. I dipendenti possono venire a visitarlo, ritrovandosi improvvisamente nella “stanza del futuro”.
Facciamo tutto questo per coltivare l’innovazione in LVMH. Ed è veramente dura: 30 startup per l’Innovation Award, 25 startup per la Maison des Startups, altre 25/30 per il Retail Lab. Ma alla fine l’importante è fare: è cosa buona per noi, per le startup, per l’intero ecosistema.