Fondo Nazionale Innovazione: quattro domande a “fondo perduto”

Come si concilia il Fondo Tech Transfer con quello affidato a Enea dal Decreto Rilancio? E come questi si armonizzeranno con il Programma Nazionale di Ricerca? Il rapporto con gli altri fondi esistenti? E perché è stato dimenticato il social tech? Evitiamo i doppioni e cerchiamo di esplorare nuove strade per l’innovazione

Pubblicato il 27 Giu 2020

Francesca Bria, presidente di CDP Venture Capital

Luigi Di Maio, come ministro dello sviluppo economico, lo aveva “inaugurato” più volte, in iniziative pubbliche legate all’innovazione a Milano, a Torino, a Roma.

Ora pare che ci siamo davvero: il Fondo Nazionale Innovazione è partito. Il piano industriale 2020-2022 della SGR di Cassa Depositi e Prestiti CDP Venture Capital prevede 1 miliardo di investimenti nei prossimi tre anni, 7 fondi a regime, 1.000 startup  beneficiate.

Naturalmente non si può che fare il tifo per questa iniziativa, che intende “trasformare l’ltalia investendo in talento, scienza e tecnologia” e “allargare e dare solide basi all’ecosistema del venture capital italiano”, come ha detto al Corriere della Sera Francesca Bria, presidente di CDP Venture Capital.

Il tifo però non basta. Da qui alcune domande alla presidente Bria e al ministro dello sviluppo economico Stefano Patuanelli.

1. Come si concilia il Fondo Tech Transfer (dotato di 150 milioni) che sarà attivato entro l’autunno per supportare la filiera del trasferimento tecnologico con il fondo di 500 milioni previsto per il medesimo scopo all’art. 42 del Decreto Rilancio? Questo fondo per il trasferimento tecnologico viene affidato dal governo a Enea (stanziati 5 milioni per la gestione) che dovrà creare una fondazione ad hoc (altri 12 milioni di spesa).

2. Tutto ciò come si armonizzerà  con il Programma Nazionale della Ricerca, che sta nel frattempo scrivendo il ministero dell’università?

3. Come si svilupperà il rapporto con i fondi di venture capital esistenti e quelli in fase di creazione? Il fatto che il Fondo investa anche direttamente potrebbe scoraggiare gli investitori privati?

4. Nei resoconti della presentazione non ho visto citato il rapporto con il mondo delle imprese sociali, quello che Mario Calderini chiama “social tech”né un accenno a quella che qui chiamiamo “tecnologia solidale”. È una dimenticanza cui bisognerà porre rimedio.

Insomma c’è molto da fare, in poco tempo, con grandi ambizioni. Facciamolo al meglio, evitando doppioni ed esplorando nuove strade per l’innovazione. È nell’interesse dell’intero “sistema Paese”.

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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