ECONOMIA CIRCOLARE

Energia sostenibile, così Enel innova con le startup gli impianti eolici e solari

Produrre energia in modo sostenibile è possibile. Nicola Rossi, responsabile innovazione di Global Power Generation, racconta come Enel lo sta facendo in collaborazione con le startup: “Abbiamo lanciato diverse challenge e abbiamo in corso i test. Le tecnologie sono fondamentali per rispettare ambiente e biodiversità”

Pubblicato il 15 Giu 2020

Il parco solare di Enel Aurora nel Minnesota

Produrre energia in modo sostenibile, rispettando l’ambiente, anzi addirittura aiutando lo sviluppo delle biodiversità. È la sfida che hanno davanti tutte le grandi aziende energetiche ed è una sfida che si può vincere solo con un approccio di economia circolare e con l’innovazione tecnologica. Per questo il cambiamento dei paradigmi di produzione dell’energia è una grande opportunità per le startup.

Abbiamo parlato del binomio energia-innovazione con Nicola Rossi, responsabile innovazione nella business line Global Power Generation di Enel. Nel 2019 i megawatt-ora che il Gruppo ha prodotto da rinnovabili hanno superato quelli generati dal termoelettrico tradizionale. Adesso c’è da pensare alla sostenibilità delle rinnovabili. La multinazionale italiana ha in corso negli Stati Uniti un progetto sperimentale per aumentare il fattore di utilizzo del suolo di un parco solare fotovoltaico attraverso l’integrazione con l’agricoltura, in collaborazione con il governo americano. E sta lavorando sul riciclo delle pale degli impianti eolici, grazie anche al contributo di diverse startup.

Nicola Rossi, responsabile innovazione Global Power Generation di Enel

Rossi, perché è così importante recuperare le pale degli impianti eolici?
Perché avremo milioni di tonnellate di materiale composito da gestire nei prossimi anni e dobbiamo prepararci a farlo. Il problema si percepisce ancora poco perché gli impianti eolici sono giovani o si stanno costruendo adesso ma hanno una vita media di 20 anni e presto vedremo gli effetti. Le pale sono fatte di fibra di vetro e di carbonio immersa in una matrice di resina e non esistono ancora tecnologie mature ed economiche per riutilizzare o riciclare questi materiali. Noi stiamo lavorando sul riciclo, selezionando e testando alcune soluzioni per poi sviluppare una catena del valore che oggi non esiste: chi pre-tratta le pale macinandole; chi dovrà riciclare il rifiuto; chi sarà in grado di trasformarlo in altri materiali o prodotti e chi li potrà utilizzare. Questo è un percorso che non possiamo fare da soli, è un impegno di sistema.

Come avete gestito il contributo delle startup per trovare soluzioni innovative?
Abbiamo avviato diverse iniziative con il nostro sistema di Innovation Hub internazionali e sulla piattaforma di “idea crowdsourcing” del Gruppo Openinnovability. In particolare abbiamo lanciato due challenge, abbiamo raccolto circa 180 proposte e ne abbiamo selezionate una decina, soprattutto negli Stati Uniti e in Europa, che sono in fase di test.

Quali proposte di riciclo delle pale sono arrivate?
Tantissime. Le aree di utilizzo vanno dai pannelli prefabbricati per le costruzioni ai materiali isolanti; dalle ceramiche agli asfalti. Ci sono poi le proposte di impiego per rinforzare altri materiali, specie in ambito sportivo. La sfida, come dicevo, è valutare la fattibilità e costruire una filiera, coprendo tutti i gap della catena del valore.

Accogliete ancora proposte di soluzioni innovative?
Assolutamente sì. È un processo di innovazione continuo in cui continuiamo a ricercare soluzioni. Questa è una grande opportunità per le startup, visti anche gli impegni presi dall’Unione Europea in tema di economia circolare. Abbiamo per esempio lanciato una nuova Challenge sul solare nelle settimane scorse e stiamo raccogliendo i primi risultati.

Eolico e solare sono le tecnologie che stanno guidando la a transizione verso l’energia sostenibile. Ma sul fotovoltaico ci sono stati molti dubbi per l’impatto sul territorio visto che gli impianti utility scale occupano molto spaziÈ vero ma basta cambiare punto di vista. Non guardare più alla sola produzione di energia elettrica, ma coniugarla con altre forme di utilizzo del suolo, per esempio l’agricoltura o la zootecnia, al fine di creare valore condiviso anche con le comunità locali nel rispetto dell’ambiente. La domanda che ci siamo posti è: come possiamo progettare gli impianti solari del futuro preservando altri possibili usi del terreno e le biodiversità presenti? A noi piace parlare di “agrivoltaico” come integrazione dell’agricoltura in impianti fotovoltaici, limitando al minimo l’impatto sul lay-out degli stessi e non il contrario. Per far questo è necessario mettere a punto soluzioni innovative, ritagliate sulle caratteristiche dei diversi siti e sulle specificità di ogni impianto.

È possibile farlo?
Sì che è possibile ma serve innovazione per gestire il nuovo modello e cogliere le opportunità della convivenza. Un impianto fotovoltaico lavora solo alcuni periodi del giorno quando è disponibile radiazione solare efficace. Come usare il terreno nel resto del tempo? In alcune aree con forte insolazione poi un impianto può proteggere le colture dagli eccessi di calore e ridurre i consumi di acqua. Un terreno vivo è un vantaggio anche per gli impianti: la presenza di piante riduce la temperatura e aumenta l’efficienza, per esempio. Non solo: in un terreno coltivato si solleva meno polvere e i pannelli solari si sporcano meno e lavorano meglio. Per trovare la soluzione giusta per ogni situazione ci vuole innovazione.

Dove e come state sperimentando l’agrivoltaico?
Enel Green Power sta testando alcune soluzioni in un parco solare nel Minnesota, in collaborazione con il National Renewable Energy Laboratory (NREL), il laboratorio del Dipartimento dell’Energia del governo americano. Si chiama Aurora, ha una potenza di 150MW elettrici e genera circa 210 milioni di kWh all’anno. Il progetto studia come coltivare piante e ortaggi autoctoni e favorire lo sviluppo degli insetti impollinatori con test che si sviluppano su un’area complessiva di più di 3 acri. Esperienze analoghe sono state avviate in Europa e in Italia. Alcune piante che si possono coltivare nei campi solari, per esempio, possono favorire la biodiversità e la protezione delle api, con un impatto anche sullo sviluppo economico delle comunità circostanti.

Anche su questo fronte lavorate con le startup?
Si, lavoriamo con tutto il nostro ecosistema. Anche attraverso la nostra rete di Innovation Hubs siamo entrati in contatto con più di 40 potenziali partner che propongono soluzioni interessanti. Ne abbiamo selezionati 12 e ora stiamo testando le loro proposte su una serie di siti in diverse parti del mondo.

Quando nascerà la prima centrale agrivoltaica?
Di fatto già esiste. I test che stiamo facendo sono infatti esperienze su larga scala, sviluppati su porzioni di impianti reali che chiamiamo “innovation windows”. Entro la fine del 2021 avremo raccolto un ampio spettro di dati che ci consentiranno di ottimizzare la progettazione dei futuri impianti. Serve tempo per verificare le colture ottimali per diverse configurazioni di impianto ed aree geografiche. Ma quando una cosa funziona, procediamo subito alla sua estensione ed applicazione sull’impianto di test e su altri siti simili. Stiamo lavorando con il mondo accademico, con i laboratori governativi, con le startup per costruire una matrice che ci permetta di fare il match fra diverse soluzioni, tecnologie ed aree geografiche in base alle loro caratteristiche. Anche questa è economia circolare: utilizzare un terreno impegnato a produrre energia elettrica per fare anche altro è una forma di riutilizzo di una risorsa.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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