Covid-19, emergenza sanitaria diventata anche economica. Come hanno reagito gli studi professionali a questa situazione? L’indagine condotta dall’Osservatorio Professionisti e Innovazione Digitale del Politecnico di Milano sulla diffusione dello smart working tra avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro ci restituisce un’immagine a luci e ombre.
Gli studi che da tempo stanno investendo sull’efficienza dei processi lavorativi, sull’impiego diffuso delle tecnologie, sullo sviluppo di nuovi servizi e, soprattutto, sull’empowerment delle persone, sono stati in grado di reagire tempestivamente – anche nel giro di ventiquattro ore – al cambio di paradigma lavorativo. Al contrario, chi non si è trovato in questa condizione, ha avuto serie difficoltà a garantire continuità, trasparenza ed efficienza alla clientela.
Prima, però, di parlare di smart working, dobbiamo fare chiarezza: le modalità di lavoro di queste settimane sono più propriamente espressione di home working o di lavoro in remoto. Smart working è una leva gestionale più articolata che non riguarda solo il lavoro a distanza e in mobilità. I dati della Ricerca dell’Osservatorio lo testimoniano.
Tra i professionisti è diffusa la prassi del lavoro in mobilità (orari flessibili, tecnologie a disposizione, lavoro da casa). Le percentuali, però, decrescono sensibilmente quando ci spostiamo su altre variabili che qualificano lo smart working: assegnazione formale di obiettivi (valori tra il 15% e il 33% tra le diverse categorie), esistenza di un sistema premiante (10-20%), layout degli uffici modulato su situazioni diverse da gestire (21-29%). Il crollo dell’utilizzo avviene, però, quando parliamo di dipendenti e di dimensioni dello studio in base all’organico. Solamente i grandi studi (> 30 persone) esprimono percentuali di adozione superiori al 50% per le voci più tipiche del lavoro in mobilità, uniformandosi, però, ai bassi livelli (5-20% nelle articolazioni più tipiche dello smart working) di micro, piccoli e medi studi. Smart working, quindi, applicato parzialmente e a due velocità (professionisti e dipendenti). Che significato trarre da tutto ciò? Gli studi che hanno investito sulla creazione della squadra sono quelli che vincono, che già pensano a domani, portandosi a casa una serie di insegnamenti da questa situazione, che possiamo sintetizzare nei seguenti punti:
1.guardare con umiltà le debolezze eventualmente emerse nel proprio modello organizzativo o di business è il primo atto di forza da mettere a terra;
2. necessità di elaborare una nuova visione dell’organizzazione e del business, che sia in grado di rivedere i paradigmi tradizionali di gestione delle attività, delle relazioni e del sistema di erogazione del servizio;
3. da soli non si va lontano: solidarietà (banalmente, le comunità di pratiche che si sono sviluppate in questi due mesi ne sono un esempio) e collaborazione – interna e con i clienti – diventano una leva strategica per moltiplicare le energie, ridurre gli sprechi, massimizzare i risultati;
4. curare la crescita delle persone, costruire una squadra che, quando è necessario, sia in grado di estrarre dallo zaino il bastone da maresciallo;
5. occhi attenti, orecchie dritte per cogliere i segnali, soprattutto quelli deboli, provenienti dall’ecosistema di appartenenza. Chi ha investito in questi anni su ciò di cui abbiamo parlato non lo ha fatto per sfizio o moda ma perché capace di vedere oltre il quotidiano;
6. le tecnologie collaborative fanno la differenza, sia dentro lo studio che fuori, diventando un alleato per favorire l’integrazione e la fidelizzazione;
7. la flessibilità organizzativa è indispensabile quando la dinamicità ambientale diventa una regola. L’uomo è qui a raccontarla, i dinosauri sono spariti.
La pozione, con i suoi ingredienti molto umani e assai poco soprannaturali, alla fine restituisce nuova forza. La forza di guardare negli occhi la difficoltà, di cavalcarla e di non subirla. Per aspera, ad astra.