Il mondo del retail è stato travolto, come tanti altri settori, dalle conseguenze della pandemia da coronavirus, ma lo unified commerce potrebbe essere una delle carte vincenti nella Fase 2 per aiutare i retailer a risollevarsi, crescere e continuare ad innovare.
Coronavirus e retail: un “viaggio” che cambierà le cose
“L’unica regola del viaggio è: non tornare come sei partito. Torna diverso”. Anne Carson, poetessa e saggista canadese, un giorno chiarì quale fosse secondo lei l’unico obiettivo da porsi prima di intraprendere un viaggio.
Una citazione che mai come ora può descrivere la sfida attuale del retail, alle prese con una ripartenza complicata, per via dello scenario senza precedenti tratteggiato dal Covid-19. La quarantena forzata a cui la gente è stata sottoposta ha provocato un nuovo boom dell’e-commerce, riproponendo con veemenza la domanda che più o meno intensamente aleggia da oltre dieci anni: il commercio online spazzerà via quello dei negozi fisici?
Ma se questa domanda ha già avuto una prima risposta negativa, riscontrabile nell’evidenza degli ultimi anni, in cui il retail ha ridefinito almeno in parte il suo ruolo, a seguito dell’imprevedibile pandemia si rinnova il dubbio: i negozi che esistono solo nel mondo reale avranno ancora senso?
In qualche modo si torna alla citazione di partenza, perché ogni retailer, dal più piccolo al più grande, si sta chiedendo se dopo questo viaggio-incubo basterà tornare sulla strada precedente, o se invece bisognerà imboccare definitivamente un sentiero diverso. Nessuno ha la sfera di cristallo per prevedere con certezza cosa succederà da qui a pochi mesi, ma tutte le indicazioni convergono sul fatto che chi tornerà tale e quale a prima non potrà più sopravvivere. E non è solo un tema di distanze, sanificazioni, mascherine e gel disinfettanti.
D’altro canto, la storia del retail è una storia di continua evoluzione, avvenuta con modi e tempi diversi, ma seguendo uno schema sempre piuttosto lineare. Il retail, che deve il suo nome alla parola del francese antico tailler, che significa tagliare, inteso come vendere in piccole quantità, oggi si riferisce alla vendita di beni e servizi al consumatore finale su canali multipli, ma da sempre si è legato a specifici luoghi. Che si trattasse di mercati, piazze, botteghe, supermercati o centri commerciali, le persone sono sempre andate verso le merci e non viceversa.
Finché un giorno, precisamente l’11 agosto 1994, un cittadino di Philadelphia acquistò l’album di Sting Ten Summoner’s Tales da un amico, tale Dan Kohn, imprenditore statunitense di 21 anni fondatore di NetMarket. Lo fece dal suo computer di casa, pagando tramite carta di credito 12,48 dollari più spese di spedizione: fu il primo acquisto online della storia. In realtà circolano versioni differenti, che narrano di transazioni online antecedenti, mentre alcuni fanno risalire la fatidica data al luglio 1995, quando un giovane Jeff Bezos spedì un libro dal suo garage di Seattle, acquistato online su Amazon.com, in tempi in cui la sua creatura non era così celebre.
Nonostante non ci siano certezze a riguardo, la sostanza non cambia: nella metà degli anni ‘90 il seme dell’e-commerce è stato piantato, e da lì la trasformazione del retail non sarebbe stata più la stessa. Da quando il digitale si è fatto largo con sempre più forza nelle nostre vite, il retail ha vissuto fasi di cambiamento profonde e turbolente. Più in generale, tra le varie conseguenze socioeconomiche provocate da Internet, una è risultata fondamentale: il focus primario delle aziende non è più il prodotto ma il cliente. Quel cliente che online si conosce sempre meglio, perché produce e rilascia con facilità infiniti dati, diventati ormai il nuovo petrolio, perché effettivamente ad oggi sono il miglior propellente per ogni business. Compreso il retail.
Ma l’avvento dell’e-commerce è stata una discontinuità che ha creato due binari paralleli, il commercio online da una parte, con le sue logiche peculiari, dall’altra i negozi fisici, che hanno continuato indisturbati il loro cammino. Man mano che il peso delle transazioni online aumentava, la tecnologia migliorava e i vantaggi si rendevano più evidenti, le aziende hanno sviluppato strategie diverse per ogni canale a disposizione della clientela: nasceva così la multicanalità. Con il presupposto di partenza che il consumatore online non era lo stesso del punto vendita, pertanto bisognava pensare ai canali come fossero silos a comparti stagni.
A un certo punto ci si è resi conto che il cliente in realtà era lo stesso, e cominciava ad avere la pretesa di passare da un canale all’altro con facilità. Si doveva cambiare approccio, i numerosi touchpoint andavano uniti in una integrazione sinergica tra online e offline, basata su una strategia che non metta al centro i singoli canali ma il cliente stesso.
Ed ecco che l’ormai obsoleta multicanalità lascia il posto all’omnicanalità, un concetto su cui già da parecchio tempo i grandi retailer stanno lavorando, mentre buona parte dei piccoli venditori al dettaglio latita nella sfera digitale e non ha ancora uno sbocco online. Questa la fotografia del mondo fino alla pandemia, che ha rimescolato nuovamente le carte.
Adesso cosa sarà del retail?
Per capirlo dobbiamo introdurre un ulteriore concetto, che in realtà si è affiancato già da un paio d’anni alla omnicanalità. Stiamo parlando dello unified commerce, che apparentemente aggiunge confusione alla materia. Alcune scuole di pensiero lo propongono come evoluzione della omnicanalità, semplicemente per il fatto che le barriere tra offline e online vengono completamente abbattute. Seppur vero, questo aspetto non è sufficiente per rendere netta la distinzione.
Che cos’è lo unified commerce
Per comprendere meglio bisogna considerare un altro focus, ossia la customer experience, che già da diverso tempo rappresenta il driver più importante nelle strategie di alcuni retailer.
Considerando la definizione di unified commerce data da Gartner troviamo che:
“Lo unified commerce è una struttura commerciale che sfrutta l’integrazione armoniosa di processi/sistemi retail per offrire la completa trasparenza dei consumatori sul back end e una customer experience univoca sul front end, a prescindere dal canale utilizzato per effettuare l’acquisto”.
È proprio il doppio riferimento al front/back end che coglie una sfumatura diversa nello unified commerce, in grado di distinguerlo dal concetto di omnicanalità. Mentre quest’ultima ha posto l’accento sul front end, garantendo uniformità e connessioni tra le esperienze del consumatore sui diversi canali dello stesso brand, nello unified commerce si compie un ulteriore passo, fondamentale per rendere l’esperienza del cliente davvero armoniosa e personalizzata.
Come funziona lo unified commerce
La chiave è proprio nel back end, ossia nel dietro le quinte dei retailer, dove deve avvenire un’ottimizzazione dell’integrazione tra fisico e digitale.
In sostanza, nello unified commerce tutti i canali fanno riferimento ad un unico motore, quindi alla stessa piattaforma tecnologica, in grado di gestire e dirigere in tempo reale i dati sia dei negozi fisici che dei canali online. Nella omnicanalità manca questo passaggio, poiché spesso il sistema informativo si basa su database differenti a seconda del canale, nonostante si riconosca che il cliente è sempre lo stesso e che quindi ci sia un filo diretto tra l’ambiente reale e quello digitale.
Con lo unified commerce si realizza una svolta che sblocca un nuovo potenziale, rendendo l’armonizzazione tra i canali più efficiente ed efficace, anche grazie all’elaborazione delle informazioni in tempo reale.
I vantaggi per retailer e aziende
Alla luce di quanto detto sullo unified commerce, i dati assumono un’importanza ancora più grande. Estrarne costantemente e sempre di più dall’esperienza dei clienti, tanto sui canali fisici quanto su quelli digitali, rimane l’imperativo per permettere al motore di raggiungere i giri più alti.
Ciò deve valere per i grandi così come per i piccoli venditori al dettaglio, che non potranno più continuare a non possedere almeno un software CRM nella loro attività. Ad esempio, tenere traccia del fatto che parte della tua clientela paga con Apple Pay in negozio ti permette di lanciare una campagna di e-mail marketing mirata, sulla base delle caratteristiche peculiari di questo target, aumentando così le probabilità di successo. Ma le grandi aziende non hanno certo bisogno di apprendere dinamiche che conoscono già da anni, mentre per gli esercizi commerciali di un paesino sviluppare questa visione sarà fondamentale per giocare la partita dei prossimi mesi.
Non è tutto qui, perché quando si parla di unified commerce si scrive integrazione, ma si legge prossimità. Si tratta di un concetto che va oltre la massima riduzione delle distanze con la clientela, assomigliando di più ad esserci dove, quando e come vuole il cliente.
In questo triangolo tra integrazione, prossimità ed esperienza il ruolo dello store cambierà ancora una volta, diventando un vero e proprio hub. Concentratore di input, e allo stesso tempo, nodo di smistamento. In costante connessione con la rete, ma anche con i bisogni e le aspettative di un cliente, che si rivolgerà al canale fisico definitivamente in via alternativa e non più necessaria.
Il negozio sarà un supporto indispensabile all’e-commerce, non solo nel consentire il ritiro di merce acquistata online tramite l’opzione click-and-collect, ma anche a livello logistico, garantendo uno stock in-store fondamentale per l’ottimizzazione dei flussi logistici. Sembrano quindi maturi i tempi per accelerare sullo ship-from-store, anche se questo chiaramente presuppone una gestione dello stock dei singoli punti vendita ben più evoluta rispetto alla media attuale.
Sotto il cappello dell’integrazione rientrano anche altre situazioni, in cui il negozio potrà assumere una nuova veste. Nello unified commerce l’antitesi tra commercio fisico e online è talmente azzerata che in sostanza lo stesso negozio può essere virtualizzato, proponendosi come una sorta di terza via tra il sito e-commerce e il punto vendita stesso. La clientela può accedervi con sessioni video da remoto, tramite desktop o mobile, per fare un salto sul negozio ma direttamente dal divano o dal treno.
Perché adottare lo unified commerce
In definitiva si crea la unified experience, in cui il consumatore trova nel negozio un’esperienza personalizzata e senza frizioni, in grado di produrre un valore aggiunto a fronte del tempo impiegato nella visita. Il cliente dovrà uscire arricchito a prescindere dall’acquisto, avendo appreso qualcosa di utile o comunque appagato da ciò che ha trovato.
Tutto questo potrà essere supportato sempre di più dalla presenza di spazi didattici nel negozio stesso, i quali potranno sancire una nuova fase, in cui il singolo negozio non è solo un semplice rivenditore, ma diventa produttore e diffusore di contenuti interessanti per la società.
Lo unified commerce si pone come risposta ideale per un retail fisico che ora compie in tutti i settori un passaggio definitivo da necessità ad alternativa, in quanto scomparirà il bisogno assoluto di recarsi fisicamente sul punto vendita.
Servirà un retail mix rinnovato per attrarre il cliente sul punto vendita, dove sarà necessario costruire una shopping experience sicura, coinvolgente e personalizzata. Puntando su innovazione e gratificazione, attraverso una relazione empatica e rispettosa con il consumatore.
Per tutto questo lo unified commerce resta la migliore soluzione abilitante, nonché la strada migliore per vincere la sfida del post coronavirus.