Sorpresa: in tempi di coronavirus il digitale ci consente di recuperare l’umanità

A causa dell’epidemia di coronavirus tendiamo a vedere l’altro come un potenziale untore e quindi un nemico. Questo, e il divieto di contatto fisico, incideranno in modo pesante sulla nostra condizione di esseri relazionali. Ma il digitale ci viene in soccorso. Anche consentendo lo scambio di “abbracci”, seppure virtuali

Pubblicato il 06 Mar 2020

abbracci
Martedì, in commissione, il collega accanto a me ha fatto due starnuti. Aveva il naso chiuso da inizio giornata. Soffiato il naso, mi chiede se ho una penna. In tasca ne avevo una. Gli ho detto che ne ero privo: non volevo rischiare di portare con me una biro “infetta”.
Questo è uno degli effetti perversi della situazione che stiamo vivendo. Il prossimo (in ogni senso), colui che ti sta accanto, diventa tuo “nemico”, un possibile untore. Passami il paragone: è un po’ come quando sei in campagna elettorale per la preferenza e chiunque incontri non è più un essere umano ma solo un possibile voto che cammina…
Qui però la differenza è molto più grande e negativa, perché l’attenzione all’evitare il possibile contagio e il divieto di contatto fisico incidono pesantamente sulla nostra condizione di esseri relazionali, cioè fatti per vivere in relazione con gli altri. Una relazione di norma fondata sulla fiducia reciproca.
Ora la paura fa saltare questo “meccanismo fiduciario”. Presi come siamo dalle notizie sull’emergenza sanitaria ed economica, di questo effetto negativo si parla poco. Però, siccome questo stato di cose si intuisce che durerà molte settimane, credo valga la pena rifletterci, per non perdere di vista la consapevolezza di noi stessi.
Tuttavia, se la dimensione materiale della relazione ci è “negata”, il digitale ci viene in soccorso. Ieri un amico ha concluso il suo messaggio Whatsapp scrivendomi “un abbraccio“. Subito dopo, ha aggiunto: “vabbè, insomma… l’equivalente di un abbraccio”. Gli ho risposto che in Whatsapp gli abbracci sono sempre consentiti, perché non portano malattia ma cercano di trasmettere vicinanza tra noi.
Questo è il punto. Dobbiamo tenere fisicamente lontani la malattia e il contagio, non l’umanità. Ecco allora che digitale e umano tornano a essere in piena sintonia, consentendoci di recuperare ciò che perdiamo nel materiale, non solo a scuola o nel lavoro ma anche nei rapporti. La tecnologia diventa pienamente solidale. Anzi, solida. Perché ci aiuta a mantenere le relazioni, senza le quali la vita diventa meno umana.
P.s. Dopo la richiesta del collega (e amico), mi sono alzato e ho chiesto in segreteria una bic della dotazione assegnata agli uffici, che gli ho prontamente portato “in regalo”, a parziale riscatto della mia bugia…

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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