Dall’open banking all’open finance. Se fino a poco tempo fa il primo sembrava essere il trend dominante dopo l’entrata in vigore della PSD2, ora è il secondo che prende il suo posto e ne è la naturale evoluzione. Perché l’open finance altro non è che l’open innovation nei servizi finanziari. Il termine comprende tutti i settori industriali: non è la visione di un unico attore, ma di tutti i player che si occupano dei servizi finanziari, al di là delle banche.
Open finance, che cos’è
La rivoluzione digitale investe finanza e assicurazioni, portando banche e attori tradizionali del settore a lavorare insieme a nuove imprese innovative, BigTech, case automobilistiche, retailer, utility e imprese di molti altri settori. Si chiama appunto Open Finance ed è l’innovazione aperta (open innovation) in tutte le componenti del mondo finanziario.
Un’innovazione promossa anche a livello europeo: la Commissione Ue infatti sta spingendo nella direzione dell’open finance grazie a iniziative come il Digital Finance Package, l’Open Finance Consultation e l’EU Data Act.. Il Digital Finance Package è un insieme di misure che definiscono come l’Ue può sostenere l’innovazione e la trasformazione digitale del settore finanziario.
L’Open Finance Consultation è una consultazione pubblica mirata della Commissione Ue per raccogliere pareri sull’Open Finance, oltre che sull’applicazione e l’impatto della direttiva PSD2.
L’obiettivo comune a queste iniziative è potenziare servizi e modelli di business basati sulla condivisione dei dati, a partire dal settore dei pagamenti.
Una competizione finanziaria allargata
Una competizione finanziaria allargata è la conseguenza dell’open finance. Nell’idea di open finance, i servizi finanziari sono infatti trattati indipendentemente dall’attore che li propone: banca, operatore tradizionale, startup, BigTech, case automobilistiche, negozi, utility ecc.
Tra questi attori sono incluse le BigTech, come Amazon, Apple, Facebook o Google, che oggi offrono una parte della propria gamma di servizi finanziari solo fuori dall’Europa, ma da cui è possibile aspettarsi a breve un’estensione anche al nostro continente. Il concetto di banking diventa dunque limitante rispetto al cambiamento che sta investendo il mondo finanziario e assicurativo.
Le piattaforme europee
Il Global Open Finance Report 2023 di CBI e PwC analizza e confronta le offerte di 50 operatori finanziari: 27 banche tradizionali, 8 banche digitali, 15 operatori fintech e fornitori tecnologici. Esse offrono complessivamente 3.250 API (Application Programming Interface). L’offerta resta focalizzata sui servizi di Account Information (AIS) e Payment Initiation (PIS), che rappresentano il 55% delle API monitorate. Quelle per servizi di investimento costituiscono il 10% del totale. Gli operatori si focalizzino su funzionalità premium relative a statistiche e informazione (11%) e l’8% su quelle di sicurezza.
Le piattaforme italiane
Il Global Open Finance Report 2023 di CBI e PwC fa il punto anche sullo stato dell’arte dell’open banking in Italia. Le banche registrano tassi moderati di utilizzo di Internet Banking tra i clienti (circa il 50%), mentre i servizi open banking e open finance sono utilizzati da circa il 6% dei clienti digitali (+1% rispetto al 2021). Secondo la ricerca, i principali ostacoli all’adozione di open banking e open finance sono: consapevolezza sul tema (60%); elevati investimenti (69%); barriere tecnologiche (54%); cultura aziendale (38%).
L’indagine condotta tra le banche nel 2022 ha mappato anche i servizi che vanno oltre la compliance alla PSD2. La maggior parte dei servizi (85%) riguardano l’account aggregation, seguito da Personal Financial Management (PFM, oltre il 60%); Check Iban (oltre il 60%); pagamenti ricorrenti e BFM (Business Financial Management).
Open Finance: 3 motivi per cui bisogna parlarne
Parlare solo di open banking non è più sufficiente. Lo spiega Filippo Renga, Co-Fondatore degli Osservatori Digital Innovation della School of Management del Politecnico di Milano, e Direttore degli Osservatori Innovazione Digitale nel Turismo, Fintech & Insurtech e Smart Agrifood. Le ragioni sono tre:
Innovation pianificata
L’innovazione e l’apertura ragionata ad altri attori che possono portare innovazione all’interno di un’impresa – scrive Renga sul blog degli Osservatori – non può essere spinta solo da un fattore normativo. L’innovazione deve essere un processo strategico pianificato per rendere più competitive le aziende nel lungo periodo, anche attraverso modelli strategici che supportino l’innovazione come il Design Thinking.
Finance a 360°
L’innovazione – continua Renga – non deve essere limitata ai soli servizi bancari di conto corrente e di pagamento, ma applicata a tutti i servizi finanziari, a partire da quelli di gestione dei patrimoni o di intermediazione finanziaria, che sono i più contigui, ma anche quelli più “innovativi” e non prettamente bancari come la strong authentication, i nuovi servizi assicurativi o tutto l’open commerce.
Non solo startup per l’open innovation
Infine, il processo innovativo deve coinvolgere tutti gli attori che gravitano intorno al mondo finanziario. L’open innovation non si fa solo con le startup, ma con i propri clienti (aziendali o consumer), con le università, gli incubatori, ecc. A questo riguardo, proprio per la staticità del mondo bancario, sono centinaia le aziende a livello mondiale che stanno sviluppando servizi finanziari non strettamente collegati con il proprio core business (Enel e Juventus in Italia, e poi Facebook con Libra o Apple con Apple Pay).
(Articolo inizialmente pubblicato il 05/03/2023 e aggiornato al 03/04/2023)