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Museo del Fallimento: dai Google Glass a Nokia, 6 lezioni dagli errori delle aziende

Innovazione e fallimento, un binomio inscindibile da valutare con attenzione. Lo ha evidenziato Samuel West attraverso il suo Museo del Fallimento inaugurato in Svezia nel 2017 e oggi in tour nel mondo. Da Procter & Gamble a Amstrad fino a Google, ecco in cosa hanno sbagliato le imprese. E quali lezioni possono ricavare

Pubblicato il 17 Feb 2020

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Fare innovazione implica esplorare terreni incerti e sconosciuti e prendere decisioni che potrebbero portare al successo ma anche al fallimento. È quello che ha voluto mostrare Samuel West, psicologo svedese svedese esperto di organizzazioni e ideatore del Museo del Fallimento.

Il Museo del Fallimento di Samuel West

Aperto nel 2017 a Helsingborg, in Svezia, il Museum of Failure è stato creato con l’intenzione di convincere le persone a parlare ed accettare più apertamente il fallimento. Un luogo in cui innovazioni aziendali fallite sono inscatolate all’interno di teche di vetro accompagnate da spiegazioni scritte sui motivi per cui non hanno ottenuto il successo sperato.

Il messaggio della mostra agli imprenditori e alle aziende

Ogni innovazione presuppone che le aziende si prendano rischi significativi. E se questo non avviene, allora significa che non si produce nessuna innovazione e l’azienda non è innovativa. Inoltre, le organizzazioni (non solo le aziende private), devono migliorare il processo di apprendimento generato dai fallimenti. Devono essere in grado di discutere i propri fallimenti apertamente e in modo produttivo.

“Per imparare dai fallimenti dobbiamo parlarne. Il museo è un buon metodo per creare tale discussione”, afferma West.

Il Museo del Fallimento nel mondo

Quando West ha lanciato la sua iniziativa nel 2017, nessuna società voleva aiutarlo a reperire gli articoli, ma ora la mostra ha guadagnato una fama tale da ricevere numerose donazioni.

I 140 oggetti raccolti vengono esposti tramite un tour che fa tappe in tutto il mondo, di solito trascorrendo tre mesi alla volta in ogni città. (La prossima mostra si terrà alla Cité du Design di Saint-Étienne in Francia alla fine di aprile).

Sei insegnamenti dal Museo del Fallimento

Questo è ciò che West ha appreso del fallimento mentre si occupava di allestire la collezione:

I fallimenti altrui ci danno più coraggio

Prima di tutto, vedere i progetti di altre persone fallire ci fa sentire più liberi e coraggiosi nel provare cose nuove. “Dopo aver visto la mostra, la gente mi dice sempre che ‘se queste grandi aziende possono fallire, allora anche io posso correre dei rischi'”, afferma West. E questo può accadere sia per piccoli che grandi cambiamenti. Lo psicologo racconta la storia di una coppia spagnola che una volta ha passato ore a guardare il display e alla fine è andata a ringraziarlo. Gestivano una guest house e dissero a West che guardare i grandi fallimenti aziendali li aveva ispirati a aggiornare il menù per la colazione.

Molte cause del fallimento sono dovute alla sopravvalutazione del progetto

È difficile individuare un colpevole comune in caso di errori perché “ogni innovazione di successo è uguale, ma ogni innovazione fallita fallisce a modo suo”. Se esiste un tema comune, tuttavia, si tratta di prodotti sopravvalutati. “Molte aziende faranno di tutto per promuovere il proprio prodotto, ma non si rendono conto che se non saranno all’altezza delle aspettative, verranno schiacciate. Un esempio conosciuto da tutti è quello dei Google Glass, gli occhiali intelligenti lanciati da Google nel 2014. Google ha fatto uno sforzo enorme per rendere gli occhiali appetibili, vendendoli solo ad una nicchia di “Glass Explorer” qualificati ad una cifra accattivante di 1500 dollari, prima di renderli disponibili al pubblico.

Il fallimento Chief Executive’s pet project

Un altro tipo di fallimento comune è il “chief executive’s pet project”. Un esempio è rappresentato dall’Amstrad E-m@iler , lanciato nel 2000 dall’imprenditore britannico Sir Alan Sugar. Sir Alan era una leggenda della tecnologia, grazie al successo ottenuto negli anni ’80 con il suo Amstrad PC, famoso per l’eccellente progettazione e realizzazione dell’hardware. Ma, per quanto riguarda E-m@iler, un telefono fisso che offriva accesso online limitato e connettività e-mail, era già obsoleto al momento del suo lancio. “Chi avrebbe pagato Amstrad al minuto per inviare e-mail quando si poteva giù navigare online gratuitamente?” dice West.

Non c’è via d’uscita dal fallimento

Cercare una via d’uscita dal fallimento è difficile, quasi impossibile. È questo il caso dell’olestra di Procter & Gamble negli anni ’90. Un sostituto del grasso privo di calorie che prometteva di mangiare qualsiasi alimento senza ingrassare. L’unico “piccolo” inconveniente era l’effetto lassativo che causava alle persone. Inizialmente Procter & Gamble cercò di appianare il problema rinominando l’effetto come “perdita anale”, trasformando così il prodotto, da semplice fallimento a prodotto apertamente deriso da tutti.

Un altro errore di prodotto è stato fatto da Nokia con Nokia N-Gage, “morto” nel 2005 dopo poco più di un anno di vita.  All’epoca in molti avevano sia i telefoni cellulari sia le console da gioco portatili. Nokia ha messo insieme questi due dispositivi in un’unica unità e ha lanciato il N-Gage nel 2004. Non è stato solo un fallimento di idee, ma un fallimento di attuazione. Il dispositivo doveva essere smontato per cambiare i giochi. E, per usarlo come un telefono, l’utente doveva tenerlo lateralmente, con il bordo sottile contro la testa. Questo ha portato all’ironico soprannome di “telefono taco”. Insieme ai difetti di progettazione, mancavano anche giochi realmente buoni.

Saper fallire consapevolmente

Le startup, nonostante il mantra “fail fast“, non sono costruttive in caso di fallimento. “Sono brave ad accettare il fallimento ma non imparano da esso. Continuano invece, veloci per la loro strada. Questo sistema può funzionare nella Silicon Valley perché ci sono così tanti soldi da potersi permettere di sbagliare e mandare in fumo più progetti. Ma potrebbe non tradursi bene in altre parti del mondo”, afferma West, che vorrebbe vedere sia le startup che le aziende fallire” consapevolmente “, cioè considerare i propri errori e imparare da loro, piuttosto che trascinarseli dietro e nasconderli.

Essere critici e costruttivi nei propri confronti

Dopo l’apertura del Museo e nonostante le discussioni che ne sono derivate, è ancora molto difficile creare una cultura che accetti il ​​fallimento. West afferma di ripiegare spesso sulle teorie della professoressa della Harvard Business School, Amy Edmondson, riguardo la creazione di sicurezza psicologica. Si tratta di creare un ambiente in cui è giusto per i dipendenti suggerire idee poco intelligenti, fare domande scomode e mostrare incompetenza. Ma, dice West, non esistono ancora sufficienti consigli pratici su come affrontare questo aspetto. I senior manager delle aziende sono inoltre molto restii nell’applicare questo tipo di pratica su sé stessi. “Le persone che mi assumono dicono che questa strategia funziona solo per il proprio personale ma, se ammettessero loro stessi un fallimento a livello esecutivo, andrebbero fuori di testa.”

È importante quindi, accettare il ‘flop’, ma non solo: stimolare la discussione attorno ai progetti fallimentari è, in generale, importante per ispirare e dare alle persone il coraggio di provare e riprovare.

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