TECNOLOGIA SOLIDALE

Come la tecnologia sta aiutando gli italiani alle prese con la Brexit. Parla Matteo Cerri

“Noi italiani a Londra siamo come una grande città, ma più ricca, giovane e connessa. Per troppo tempo non sono arrivate risorse né innovazione dalla madrepatria” dice Cerri, founder di The Family Officer Group. Tuttavia, prosegue, il digitale aiuta a fare rete. Anche in tempi di Brexit

Pubblicato il 07 Feb 2020

Matteo Cerri, founder di The Italian Office Group, parla di Brexit e tecnologia

“Londra è la quinta città italiana nel mondo. Ma di noi italiani in Gran Bretagna non si interessa quasi nessuno. Davvero lei vuole parlare dell’impatto della Brexit sulle nostre vite?”

Sì, caro Matteo Cerri. Vorrei capire in che modo la tecnologia vi aiuta nella situazione in cui siete ora e vorrei saperlo da lei che è un imprenditore italiano da oltre vent’anni a Londra. Perché i numeri (vale a dire le persone) sono impressionanti. Attualmente siete iscritti all’Aire in circa 370.000 e, di questi, circa 290.000 (ormai sono 300.000) hanno fatto richiesta di Settled Status, una sorta di permesso di soggiorno post Brexit.

(Matteo Cerri ha fondato a Londra, oltre 20 anni fa,  The Family Officer Group, tra i più importanti family office di origine italiana con uffici di rappresentanza in oltre 20 paesi nel mondo. Nel corso degli anni il Gruppo ha ampliato il suo campo di applicazione e i suoi interessi nel settore assicurativo, immobiliare, intrattenimento e food & beverage, affiancando i propri servizi professionali, più tradizionali, ad aziende in fase di crescita. Negli ultimi anni, come tutti gli imprenditori, ha dovuto affrontare la questione Brexit, ndr).

Innanzitutto, come stanno operando le istituzioni italiane in tempo di Brexit?

“Le istituzioni italiane sul nostro territorio, Ambasciata e Consolato in primis, hanno reagito, compatibilmente con risorse veramente minime, nel migliore dei modi.”

Però mi dicono che ogni giorno ci sono centinaia di persone in coda al Consolato…

“Le capisco ma mi creda: dati gli strumenti a disposizione lo sforzo è veramente titanico. Si stima che gli italiani nel Regno Unito siano tra le 700 e le 800 mila persone, dunque la pressione sul Consolato in particolare è esplosa. Tuttavia la loro produttività è a livello di eccellenza, se paragonata alla pubblica amministrazione italiana. Inoltre le numerose iniziative di istituzioni private nate negli ultimi anni, ma anche quelle storiche di supporto, sono sempre di più un valido riferimento e sempre più aperte o connesse, e quindi efficaci e accessibili.”

Bene…

“Aspetti…Da Roma invece non hanno certamente aiutato. Roma, mi spiace dirlo, non ha ancora colto il fenomeno degli italiani all’estero. Siamo visti non come risorsa del Paese, ma come scappati di casa, casi persi, fuggiti ecc. La realtà è molto diversa! Liberati dalla cappa che purtroppo molti di noi vivevano in Italia, ci siamo rimessi a disposizione con lavoro, impresa e investimenti. Non siamo svaniti nel nulla.”

Aiuti a capire meglio me e chi ci legge…

“Non sono arrivati per troppo tempo fondi, risorse e, soprattutto innovazione nella nostra rete diplomatica. Se per avere un documento che a Milano si può fare online qui serve fare ore in coda solo per prenotarsi, c’è qualcosa che non va. È come se alla Farnesina siano rimasti ai numeri e alla tecnologia di venti anni fa.”

Però lei prima ha lodato le istituzioni italiane locali…

“Sì, perché i nostri diplomatici si sono messi a facilitare dialogo, integrazione, promozione del Paese e degli operatori italiani. Hanno, almeno questa è la mia impressione, trascinato anche il vecchio ICE, ora ITA, e supportato le iniziative private come partner. Paradossalmente la Camera di Commercio ci ha messo, pur da ente privato, più tempo a capire che le cose erano cambiate. Ma gli ultimi segnali sono positivi anche lì.”

Quindi il problema è con la madrepatria…

“È negativo il rapporto con le istituzioni centrali italiane. Se non fosse per la rete diplomatica, l’Italia per molti di noi non avrebbe un volto. Ritengo umiliante la miopia di Roma verso noi italiani all’estero. Neanche la forte esposizione sui media (di noi si parla molto, sempre di più) sembra avere fatto breccia. La nostra rappresentanza (Comites e CGIE) è organizzata con strumenti vecchi, poco efficaci e offline. La stragrande maggioranza dei residenti all’estero non ne conoscono esistenza e funzione. Il voto per posta senza controlli nel 2020 è ridicolo! Infine, se passasse la riduzione dei parlamentari al referendum del 29 marzo, ci troveremmo con meno di un parlamentare ogni milione di cittadini.”

Veniamo al punto digitale.

“Una premessa. A partire dal 2010, la tecnologia e la fame di opportunità hanno ricostruito lavoro dove si era bruciato per la crisi. L’esplosione dei nuovi media, gli incentivi alle imprese innovative, gli incubatori, la sharing economy, il fintech… tutto è successo su scala temporale di mesi e Londra ne è stato l’hub, almeno a livello europeo. Gli italiani si sono riversati in decine/centinaia di migliaia. In tutti i settori e in modo visibile.”

Bene. Questa è stata la premessa per avere strumenti tecnologici (app, siti, social, mailing list) che usate tra voi per sostenervi?

“Ha aiutato. La rete ha creato quel senso di comunità che solo dieci anni fa era impossibile immaginare. La sola Londra conta decine di blog di italiani, connessi persino con il nostro Consolato, per far circolare informazioni e contenuti. Oltre ad alcuni giornali cartacei, ci sono numerosi siti di notizie (ItaloEuropeo o Londra Italia per citarne alcuni), una radio (LondonOneRadio), una tv su YouTube, The Italian Community (le nostre pagine gialle on line) e tantissimi MeetUp tematici: potrei citarne almeno una dozzina di dimensioni importanti.”

In fondo, ma non troppo, proprio a questo dovrebbe servire la rete. A mettere insieme le persone per rispondere a un bisogno specifico…

“La usiamo in questa direzione. Abbiamo anche decine di app tematiche o locali e infiniti gruppi sui social media, per professioni oppure per provenienza, con numeri importanti, nell’ordine delle migliaia di membri. Noi italiani non siamo bravi a fare rete, ma iniziamo a cercarci, a domandarci su come fare sistema e a modo nostro, pressione politica.”

E dall’Italia?

“Siamo seguiti in modo crescente dall’Italia. Siamo italiani nel mondo, ma quasi mai ‘lontani’ dal nostro Paese. Se ne sono accorti tutti i media italiani, rappresentati da un crescente plotone di corrispondenti che ci raccontano. Uno sopra tutti, Repubblica.it, che ha una sezione locale, come fossimo una città italiana. Una città più ricca, più giovane, più connessa. Una città italiana nel mondo, tanto che l’unica alternativa ideale per molti di noi è Milano.”

E lei come si sta impegnando per aiutare i nostri connazionali?

“Abbiamo investito nel legame con le istituzioni italiane, con le charities italiane: la Chiesa, la scuola, i diversi movimenti associativi, i media della comunità etc…”

Come?

“Facendo quello che siamo bravi a fare: creando legami tra la comunità inglese e quella italiana, investendo in ‘Italianità’ e dando spazio alla creatività e imprenditoria italiana. Abbiamo quindi iniziato a fare rete con chiunque era sul territorio a tutti i livelli. Qualcosa si stava muovendo velocemente e in modo diverso e inaspettato, nasceva una nuova comunità, più giovane, più ‘rapida’, più ‘connessa’ e molto più affamata di crescere, di innovare, di vivere … e noi ci siamo trovati in mezzo. È una sorta di giving back che non nasconde anche un discreto ritorno commerciale e finanziario. Non siamo una charity, ma con la nostra crescita siamo riusciti a sostenerne molte.”

Poi è arrivata la Brexit….

“Personalmente e come Gruppo, in questo periodo di Brexit abbiamo moltiplicato i nostri sforzi. Siamo in UK fieramente italiani, ma grati e integrati con il Paese che ci ospita. In meno di tre anni abbiamo triplicato le imprese di italiani da noi partecipate e le iniziative con l’Ambasciata, il Consolato, la Camera di Commercio, gli incubatori e le associazioni di imprenditori italiani, ma anche il rapporto con l’Ambasciata UK in Italia, con l’agenzia London & Partners, con le Lobby del settore turistico inglese e con partner istituzionali Italiani come Enit e Federlegno. Nel 2018 abbiamo fondato un luogo di riflessione ‘OPEN SOURCE’, Italy UK Community & Business Forum, con eventi e iniziative, di confronto tra rappresentanti della comunità, imprenditori e istituzioni. Una sorta di format ‘nomade’ tra Italia e UK dove i partecipanti, liberi di contribuire secondo le regole di Chatam House, intervengono e si confrontano.”

Quindi lei è ottimista, nonostante la Brexit?

“Brexit? Sono stato educato a trarre da ogni circostanza, anche quelle in apparenza più negative, un bene. Dunque…”

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Antonio Palmieri
Antonio Palmieri

Antonio Palmieri, fondatore e presidente di Fondazione Pensiero Solido. Sposato, due figli, milanese, interista. Dal 1988 si occupa di comunicazione, comunicazione politica, formazione, innovazione digitale e sociale. Già deputato di Forza Italia

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