La Fiera di Vicenza diventa global. E lo fa con una startup: “Origin, Passion and Beliefs”, nuova piattaforma per lo scouting nei settori design e fashion. Non che prima l’evento espositivo vicentino fosse sconosciuto. Tuttavia oggi VicenzaFiera è la prima fiera italiana ad aver avuto l’intuizione della necessità di svincolarsi dalle caratteristiche identitarie che sono proprie di una fiera campionaria stabile e periodica. Internazionalizzazione, questa la keyword dell’istituzione cui fanno capo cinquecento operatori circa, attivi nei settori del gioiello, dei metalli preziosi e, più in generale, del fashion. L’azienda ha chiuso il 2012 con un utile di 1,8 milioni di euro e un fatturato di oltre 31 milioni. Ora intende investirne altri 45 per la sua visibilità internazionale. La globalizzazione, le nuove tecnologie e l’automatico abbattimento delle frontiere dei mercati nazionali e di settore; tutto questo impone una rivisitazione rivoluzionaria del sistema fieristico. Periodicità e stabilità sono diventate ormai un vincolo ingessante per le fiere. Il concetto di Italia dei distretti e dei poli espositivi dev’essere superato.
Tre le mosse quindi effettuate da VicenzaFiera per consolidarsi come leader mondiale e come esempio di innovazione: la nomina di Matteo Marzotto alla sua presidenza, l’intervento sulla struttura che ospita gli eventi nella città veneta, ma soprattutto la scommessa su “Origin, Passion and Beliefs”.
Vedere il nome Marzotto alla leadership di VicenzaFiera non è una novità. Nel 1948, fu Gaetano Marzotto, nonno dell’attuale presidente, a volerne l’apertura. L’iniziativa venne sposata immediatamente dalle lungimiranti (allora) istituzioni politiche italiane. «Mio nonno scrisse una pagina di cambiamento del paese», ha detto Matteo Marzotto la scorsa settimana a Milano, in occasione della presentazione della piattaforma Origin. «Sono convinto che oggi sia possibile un altro cambiamento».
Secondo step: VicenzaFiera ha già in cantiere la realizzazione di un parcheggio multipiano, una riqualificazione dell’intero quartiere fieristico e un nuovo padiglione da 15mila metri quadri che può accogliere eventi per 6mila persone sedute e 9mila in piedi. Contemporanee ai lavori, assumono una posizione da protagonista «quelle mosse che ci renderanno sempre più internazionali», ha spiegato Corrado Facco, direttore generale della Fiera di Vicenza. «Andare fisicamente all’estero esportando nei paesi di riferimento le nostre manifestazioni è stato un passo dovuto che ci ha permesso di mantenere, in un mercato sempre più globale, una leadership riconosciuta». E ancora: «Non è più possibile fare fiera restando fermi sul territorio. Il nostro nome deve uscire dai padiglioni ed essere presente nei mercati strategici». Sulla base delle missioni a Mumbay, Las Vegas e Hong Kong, la Fiera di Vicenza è pronta a siglare la joint venture con il lussuoso Dubai World Trade Center. Si tratta di un accordo economico dal valore milionario che vedrà la presenza degli operatori italiani nell’emirato già dal 2015.
Internazionalizzazione appunto. Ma non limitandosi all’esportazione del marchio “Fiera di Vicenza” e seguendo i canali classici delle partnership. Per andare oltre i confini dei padiglioni, è necessario percorrere strade sconosciute e aprirne di nuove. Ed è qui che interviene Origin: una piattaforma digitale, ma anche una piazza del mondo reale, luogo di incontro per designer, creativi e investitori interessati a nuovi progetti e idee. Una startup per trasformare la Fiera di Vicenza. Una startup per valorizzare le startup di settore.
«Origin resta ancora un unicum sul mercato italiano», ha spiegato Marzotto. «è nostra l’idea di base di identificare, nei quattro settori Leather, Stone, Technology e Textile, una serie di eccellenze, tra le 60 e le 80, selezionate su rigidi criteri che spaziano dall’unicità dei prodotti proposti alla storicità delle aziende capaci di mostrare a una platea di buyer internazionali, product manager, operation manager e team creativi, prodotti assolutamente nuovi ed esclusivi, esplicativi del meglio di ciò che le maestranze produttive del nostro territorio possono e sanno proporre».
Origin è legata al format “not just a label” la più potente organizzazione di scouting di design. «Da un lato ci sono i superfornitori, dall’altro le grandi scuole di design della moda (nel circuito sono inseriti i poli di eccellenza italiani, Ndr), oltre che le menti creative distribuite sul territorio nazionale e all’estero». Il format vuole far emergere le capacità artigianali, le connesse potenzialità industriali e i sogni dei designer. L’incontro tra chi elabora e chi produce può portare a nuove formule per rendere più adatto al mercato il mondo dell’oro e del gioiello. «Vogliamo fare più dinamico il comparto e andare oltre il perimetro del fashion».
Da tutto questo, l’intenzione di superare «la stucchevole accezione dei distretti italiani», è ancora il presidente di VicenzaFiera a parlare. Marzotto è convinto che l’esempio possa trasformare l’Italia in un unico distretto. «Perché il made in Italy vanta un respiro nazionale che supera e unisce i poli fieristici e i singoli distretti industriali». Origin sembra fatto apposta per rendere il made in Italy «un soggetto 2.1».
Il problema è la ricettività delle altre fiere. La piattaforma infatti è stata installata in un Veneto da sempre sensibile alle nuove idee e all’espansione del proprio bacino di acquirenti. Può succedere lo stesso per altrove? La prova del fuoco, o più semplicemente una risposta a queste domande, Origin dovrà affrontarla al prossimo appuntamento proprio a Vicenza. Dall’8 all’11 maggio “Origin, Passion and Beliefs” disporrà del laboratorio espositivo. Si vedrà.
Antonio Picasso www.personalcommunicator.it