“La digitalizzazione della Pubblica Amministrazione è un elemento importante e prioritario per l’agenda nazionale, ma non può prescindere da una visione di sistema dei processi di trasformazione digitale del Paese, che comprenda imprese, terzo settore, infrastrutture, competenze, politiche industriali” dice a EconomyUp Roberto Masiero, presidente e co-fondatore di The Innovation Group (TIG), una società di servizi di consulenza e di ricerca di mercato indipendente, specializzata nello studio delle evoluzioni del mercato digitale e nei processi d’innovazione abilitati dalle tecnologie e dalla conoscenza.
Quindi, presidente Roberto Masiero, lei propone una visione d’insieme, che non mette più la pubblica amministrazione al centro del processo di digitalizzazione del Paese.
“Guardi, proprio a Roma ho ribadito il mio pensiero a fine novembre, aprendo l’edizione 2019 del nostro Digital Italy summit. Oltre alla pubblica amministrazione, per trainare il mercato del digitale servono una politica di investimenti pubblici in infrastrutture digitali; il potenziamento delle politiche di Industria 4.0; una efficace adozione del procurement pubblico. Tuttavia la questione non si esaurisce qui. Sarebbe troppo “semplice”.
Quali elementi bisogna aggiungere, a suo avviso?
“Il primo è l’utilizzo del 5G per la trasformazione digitale delle imprese. Ma insisto sulla necessità di agire sull’inefficienza dei sistemi di procurement pubblico (e a Roma lo hanno fatto sia la Ministra Pisano che la Ministra Dadone): non è possibile che per le prime gare per il Cloud dovremo aspettare ancora più di un anno. E il CAD è buono per comprare le opere, non i servizi. Insomma, il Pubblico non è attrezzato per comprare innovazione: e deve diventarlo rapidamente. E ve ne è un altro, che abbiamo specificato nella tappa inaugurale del nostro Summit alla Camera dei Deputati. Lei non era in sala e dunque non ha potuto coglierlo…”
Per la verità ero in aula per il consueto turno di lavoro parlamentare. Il vostro incontro era di martedì pomeriggio…
“Non si arrabbi, lo so che lei è un parlamentare diligente. È che avrebbe apprezzato l’indicazione di un altro elemento qualificante, che di solito non viene mai considerato a proposito del digitale: l’impegno dell’industria nei confronti di quello che ho definito il “mercato dei bisogni”.
Vale a dire?
“Vale a dire che le imprese devono andare oltre la “Corporate Social Responsability” e contribuire allo sviluppo di un nuovo Welfare, basato sul partenariato pubblico-privato. La spesa delle famiglie Italiane in Welfare nel 2018 è stata di oltre 143 Miliardi di €, con un tasso di crescita del 6,9%. Anche questo ambito può dare, secondo la ricerca da noi effettuata e presentata al Summit, una notevole spinta al mercato italiano del digitale, favorendo allo stesso tempo il miglioramento non solo dell’efficienza, ma soprattutto dell’efficacia della spesa in Welfare: è la dimensione in cui finalmente l’innovazione digitale può diventare fattore abilitante dell’innovazione sociale.
Questo mi interessa molto. Ne parleremo anche giovedì 12 dicembre, in occasione di “Tecnologia solidale 2019“.
“Glielo avevo detto che avrebbe gradito. Questa visione rientra in un cambio di prospettiva: l’innovazione deve essere compresa e accolta in modo organico. Attraversiamo una fase di cambiamento tecnologico vivace e pervasivo. Le tecnologie di frontiera e l’intelligenza artificiale, i progressi dell’ingegneria genetica e delle neuroscienze, di cui tutti parlano – e non tutti con cognizione di causa – rappresentano solo la punta dell’iceberg.”
E sotto la punta cosa si trova, a suo giudizio?
“Ci dobbiamo porre una serie di domande. Cosa significa oggi essere cittadini in una società divenuta sempre più interconnessa e complessa? In che modo imprese, lavoratori e sindacati possono affrontare in maniera costruttiva le sfide del lavoro algoritmico? Come l’economia dei dati può sostenere il passaggio verso la circular economy, caratterizzata dalla condivisione delle risorse, dall’impiego di materie prime da riciclo e dall’uso di fonti energetiche rinnovabili? Quali strumenti e misure dobbiamo adottare per far fronte alle implicazioni sociali ed etiche che le nuove tecnologie dell’intelligenza artificiale ci porranno di fronte? Se partiamo da qui sapremo governare il cambiamento. Altrimenti rischiamo di venirne travolti.”
Lei sta ampliando il campo da gioco in un modo interessante. Se capisco bene, rifiuta la tradizionale visione da addetti ai lavori e ne propone una molto più vasta.
“È così. Il mercato digitale è stato troppo spesso analizzato da una prospettiva autoreferenziale, ricercando nelle variabili endogene le sue principali determinanti. Noi ci siamo sforzati di identificare le relazioni tra trend economici e andamento del mercato digitale e dei suoi principali segmenti e di fornire input utili allo sviluppo di politiche pubbliche e iniziative private più efficaci”.
Ed è riuscito a farsi ascoltare all’evento annuale che lei organizza con il suo The Innovation Group? A partire dai suoi partner, (Anitec-Assinform, Confindustria Digitale, Fondazione Astrid e Gruppo Maggioli) la sua impostazione ha trovato attenzione?
“Sono soddisfatto, anche se sono consapevole che un cambio di approccio e dunque di mentalità richiede tempo e lavoro. Del resto, il mercato italiano del digitale ha una crescita che per il 2019 e il 2020 stenta a superare l’1%, perché la stagnazione del PIL impatta pesantemente sugli investimenti in ICT delle PMI. Una crescita più corposa è possibile se si segue il cammino che ho indicato. Bisogna ampliare l’orizzonte.”