TECNOLOGIA E SOCIETÀ

Un’idea per far pagare le tasse direttamente ai robot: la blockchain

Il vero problema non è il lavoro “rubato” ma la riduzione delle risorse finanziarie per la collettività causata dalla crescente diffusione dei robot. La soluzione? Massimiliano Garri, CIIO di Acea, propone l’uso della blockchain per gestire la fiscalità degli androidi e trovare un equilibrio fra macchine e uomini

Pubblicato il 28 Nov 2019

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I robot saranno i lavoratori del futuro prossimo. Ma come potranno essere buoni cittadini e non elementi di disgregazione sociale? Il dibattito è aperto da tempo, va giustamente oltre gli impatti sul lavoro e chiama in causa dimensioni che non sono certo solo tecnologiche. Ma dalla tecnologia possono arrivare soluzioni imprevedibili, come ci suggerisce un interessante intervento di Massimiliano Garri, Chief Information & Innovation Officer di Acea, che sta circolando su Linkedin. Sintetizzo così la sua proposta-provocazione: affidare alla blockchain il ruolo di esattore fiscale delle intelligenze artificiali che faranno sempre di più i lavori a minore valore aggiunto attualmente svolti dagli uomini ma, visto che non producono reddito e non consumano, senza portare nulla alla comunità che noi siamo abituati a chiamare Stato.

Robot, non è il lavoro il vero problema

La prima delle tre leggi della robotica, immaginate negli anni 40 del secolo scorso per le sue saghe letterarie da Isaac Asimov, diceva: “Un robot non può recar danno all’umanità e non può permettere che, a causa di un suo mancato intervento, l’umanità riceva danno”. Far sì che venga rispettata dipenderà dagli uomini perché sono loro a dover immaginare, programmare e mettere all’opera gli androidi e definire un nuovo quadro di regole in cui farli muovere (prima che lo facciano da soli…).

Il danno che, nel sentimento comune, viene più facilmente previsto e quindi temuto è la perdita del lavoro affidato ai robot che sono instancabili e scarsamente sindacalizzati (almeno per il momento…): è una nuova versione della lotta uomo-macchina già magistralmente rappresentata nel cinema da Charlie Chaplin in “Tempi Moderni” o ancora prima dal più cupo “Metropolis” di Fritz Lang: siamo nei primi decenni del secolo scorso e, uscita dalla prima Guerra Mondiale, l’Europa è alle prese con la seconda rivoluzione industriale e le sue innovazioni (una per tutte: la luce elettrica nelle fabbriche segnò l’inizio dei turni di 24 ore…).

Non è però il lavoro il vero problema, perché se a lavorare fossero solo i software e le loro estensioni meccaniche, e noi tutti potessimo dedicarci alle attività più creative e avere più tempo libero, di che cosa dovremmo spaventarci? Sarebbe un mondo perfetto in cui faticano solo gli androidi e si realizzano tante utopie. La vera, complicata, questione è quella delle risorse necessarie per poter fare quel che ci piace di più e che noi attualmente generiamo con il sudore della fronte (anche quando non si vede) facendo quel che non sempre ci piace. “I robot non mangiano, non comprano vestiti, case, auto, non vanno al cinema e a cena. Non pagano le tasse”, ricorda Garri nella sua analisi.

Il grande rischio è il default sociale

Quindi il vero rischio è una progressiva perdita di risorse per tutti, con il rischio di un vero e proprio default sociale. I più pessimisti parlano addirittura di fine dello Stato. La questione non è di poco conto: “Con l’aumento della popolazione da un lato e la perdita di lavoro dall’altra chi continuerà a generare valore?”, si domanda Garri, che propone tre punti di riflessione sulla probabile instabilità del sistema socio-economico.

  1.  Il sistema economico creato dalle rivoluzioni industriali è un sistema di massa circolare. Un serbatoio di ricchezza da cui escono ed entrano risorse. Un serbatoio in continua crescita sin dalla prima rivoluzione industriale.
  2. La crescita – che a sua volta porta ad un aumento delle vendite di prodotti e servizi, in un ciclo di creazione di valore e benessere (malgrado la presenza di ancora molti punti di attenzione) – è un presupposto chiave del modello stesso.
  3. Oggi la quarta rivoluzione industriale da un lato e i trend demografici dall’altro rischiano di portare il sistema in una condizione di instabilità ed incertezza che potrebbe avere impatti politici, sociali ed etici difficilmente gestibili (es. shared economy generation, protezionismo, corporate economy systems, ecc.).

In sintesi: nel 2030 ci saranno 8,5 miliardi di persone nel mondo e il 50% dei lavori oggi presenti non più disponibili. Come allontanare questa prospettiva disastrosa?

Un sistema fiscale per i robot basato sulla blockchain

Difendendosi dall’avanzata della tecnologia, in questo caso l’intelligenza artificiale vestita in forme umanoidi, con un’altra tecnologia emergente, la blockchain. Massimiliano Gari, infatti, nella sua riflessione propone di fatto un sistema fiscale dedicato ai robot e gestito da una catena di blocchi. Garri pensa a “un modello di mining dedicato e basato sull’ottimizzazione della capacità delle macchine (gli strumenti sono molti e potrebbero essere integrati direttamente nei chip: premptive multitasking, predictive branch, ecc). In questo modo senza perdere l’efficienza si potrebbe iniziare a generare un nuovo valore che potrebbe essere distribuito automaticamente grazie agli smart contract evitando così i costi di strutture centrali di gestione”.

L’idea di tassare i robot non è nuova. Già Bill Gates nel 2017 aveva indicato fra i doveri dei robot quello di pagare le tasse, ma per chi li possiede e li usa. L’idea in questi anni è andata avanti come un fiume carsico che periodicamente riemerge nel dibattito politico, in maniera più o meno strumentale, sia a livello europeo che dei singoli Paesi. L’obiettivo prevalente, però, è far pagare una “penalità” a chi usa le macchine e riduce l’occupazione umana non certo di dare un nuovo equilibrio al  rapporto fra produzione e risorse sociali. Nella proposta di Garri c’è una visione decisamente più alta, con un’idea di futuro tecnologicamente fondata: “Intelligenza artificiale e Robotica porteranno alla quasi totale automazione dei processi produttivi. La Blockchain porterà ad un modello di generazione e gestione del valore nuovo e “disintermediato”, conclude. “Mettere insieme queste due forze può creare una contrapposizione che crea equilibrio e crescita nel mondo di grandi cambiamenti che ci aspetta”. Un bel tema che merita attenzione e approfondimenti.

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Giovanni Iozzia
Giovanni Iozzia

Ho studiato sociologia ma da sempre faccio il giornalista e seguo la tecnologia . Sono stato direttore di Capital, vicedirettore di Chi e condirettore di PanoramaEconomy.

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