Tra la fine del secolo scorso e l’inizio di questo secolo è esploso un fenomeno destinato a cambiare profondamente l’esistenza degli esseri umani, della società e del mondo imprenditoriale: l’innovazione digitale. Dalla creazione del World Wide Web nel 1991, quando l’informatico inglese Tim Berners-Lee pubblicò il primo sito web, passando per la graduale e dirompente affermazione di tutte le possibili applicazioni dell’utilizzo della rete (dall’ecommerce al digital advertising, solo per citare qualche esempio), la corsa all’innovazione digitale non si è ancora fermata. Ma vediamo meglio cos’è e come viene applicata in azienda.
Innovazione digitale, una definizione
Con innovazione digitale si intende un concetto molto ampio e trasversale al centro di tutti quei cambiamenti tecnologici, organizzativi, culturali, sociali e creativi in grado di migliorare l’esistenza quotidiana. Come scrivono gli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano, fare innovazione digitale, in sostanza, non vuol dire semplicemente utilizzare le nuove tecnologie, ma partire da queste per ripensare e semplificare un processo produttivo e creativo, erogare nuovi beni e servizi volti al miglioramento della vita degli utenti, e ridisegnare, in una logica di apertura al cambiamento, i modelli che governano il business.
Innovazione digitale e digital transformation
L’innovazione digitale è un concetto che va di pari passo con quello di Digital Transformation, ovvero l’integrazione della tecnologia digitale in tutte le aree di un’azienda, integrazione che implica un cambiamento nel modo di operare e di dare valore ai clienti. La trasformazione digitale comporta un cambiamento di mentalità: alle organizzazioni è richiesto di sfidare continuamente lo status quo, sperimentando e imparando a cogliere il fallimento come opportunità. La trasformazione digitale è dunque una sfida e un’opportunità in ogni settore. Perché garantisce un vantaggio competitivo alle imprese ed è, in fondo, “democratica”. È un fattore competitivo oggi imprescindibile perché le aziende, costrette ad affollare mercati globali, devono necessariamente condividere logiche internazionali e allo stesso tempo ottimizzare i propri processi per essere più profittevoli. È “democratica” perché sostanzialmente il digitale consente di diminuire il costo di accesso alle soluzioni innovative.
Breve storia dell’innovazione digitale
Il processo di semplificazione e “massificazione” del digitale è iniziato a cavallo del nuovo millennio. In realtà la rivoluzione digitale, ovvero il passaggio dalla tecnologia meccanica ed elettronica analogica a quella elettronica digitale, era già cominciata nei Paesi industrializzati verso la fine degli anni Cinquanta con l’adozione e la proliferazione di computer e memorie digitali. Il fenomeno è proseguito fino ai nostri giorni attraversando la terza e la quarta rivoluzione industriale.
Ricordiamo che le origini di Internet vanno ricercate in Arpanet, una rete di computer costituita nel settembre del 1969 negli Usa da Arpa (Advanced Research Projects Agency), agenzia costituita 11 anni prima dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti per ampliare e sviluppare la ricerca soprattutto in chiave anti-sovietica, in un periodo particolarmente rischioso per l’ordine mondiale come quello della Guerra Fredda.
Ma il processo di massificazione del digitale può essere collocato a cavallo tra ventesimo e ventunesimo secolo, con la comparsa e l’iniziale implementazione di Internet e dell’eCommerce, In particolare l’anno 2002 è considerato il momento in cui l’umanità è stata capace di immagazzinare una maggiore quantità di informazione in una forma digitale, invece che in forma analogica. Si fa risalire dunque a quella data l’inizio dell’era digitale. Così è chiamata la fase storica caratterizzata dall’ampia diffusione di vari prodotti digitali con il conseguente innesco di cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti grazie alla digitalizzazione di gran parte degli accessi all’informazione.
L’era digitale è stata caratterizzata dalla comparsa degli smartphone, destinati a diventare il device cardine delle nostre esistenze; dalle reti di terza, quarta e quinta generazione; dal Cloud Computing, tecnologia abilitante per eccellenza della trasformazione digitale.
Protagonisti dell’innovazione digitale sono i colossi di Internet quali Google e Facebook, senza i quali non sarebbero esistiti il Digital Advertising e le diverse forme di comunicazione e marketing proprie dell’online.
Dell’era digitale sono parte integrante Big Data, Data Science e Machine Learning e l’Internet of Things (IoT), così come la Blockchain.
Negli ultimi 20 anni – rilevano gli Osservatori Digital Transformation del Polimi – tutti questi trend innovativi si sono affermati e consolidati, rivoluzionando il business e la società e penetrando in tutti i settori dell’economia: PA, logistica, banche e finanza, HR e lavoro, sanità, cultura, retail, turismo, automotive, studi legali, agricoltura, industria del food, dello sport, dei media. Senza contare le implicazioni per la Security e la Privacy che l’innovazione comporta e comporterà.
Esempi di innovazione digitale in azienda che hanno fatto scuola
Secondo una ricerca Pwc che ha coinvolto 130 aziende italiane, per il 97% dei manager l’innovazione rappresenta la possibilità di incrementare i ricavi e introdurre nuovi prodotti e servizi. Inoltre, secondo il 91%, si possono raggiungere obiettivi di efficienza operativa mediante l’introduzione di tecnologie emergenti. L’88% ha dichiarato che l’innovazione digitale serve per rafforzare il brand, ma anche attrarre nuovi talenti in azienda (82%).
È perciò interessante guardare ad alcuni modelli di digital innovation internazionale che possono generare spunti di riflessione per quanti stanno lavorando in quest’ambito.
Il caso Netflix
L’esempio di Netflix è paradigmatico perché si tratta di un’azienda che è riuscita a soppiantare un colosso internazionale come Blockbuster (che aveva 8mila punti vendita) muovendosi con agilità in base a decisioni data driven, ovvero ha saputo adattarsi alle richieste dei propri interlocutori in base alla capacità di analisi dei dati raccolti. Fondata nel 1997 a Scotts Valley, in California, da un ingegnere informatico e un esperto di marketing, Reed Hastings e Mark Randolph, Netflix puntava a soddisfare una nicchia di mercato che i grandi colossi della distribuzione di DVD e VHS come Blockbuster non riuscivano a raggiungere. La società consentiva di sottoscrivere un abbonamento mensile collegandosi al sito Internet, scegliere tre titoli, riceverli per posta, restituirli e riceverne altri anche nell’arco dello stesso mese. Nel 2005 Netflix spediva un milione di DVD al giorno. Nel 2007 al noleggio affiancava la piattaforma di streaming video. A partire dal 2013 è stata trasmessa la prima delle produzioni originali, la serie House of Cards. Il brand Netflix è diventato, così, virale e ha contribuito alla trasformazione delle abitudini degli utenti.
La digital transformation della Lego
Un altro caso da manuale riguarda Lego, la famosa aziende produttrice dei mattoncini colorati per giocare nata nel 1970 e cresciuta a livello mondiale finché nel 2004 non ha rischiato la chiusura per bancarotta. Tantissime le iniziative alle quali ha fatto ricorso per scongiurare questo rischio, dalla razionalizzazione della catena di approvvigionamento, alla riduzione dei pezzi unici, all’acquisto dei diritti per usare i personaggi di film e cartoni animati (Guerre stellari, Harry Potter, Toy’s e così via). L’azienda è riuscita a fare un grande lavoro in termini di coinvolgimento e fidelizzazione dei clienti nell’ambito relativo allo studio di nuovi prodotti, cosa resa possibile dalle molteplici opportunità di comunicazione digitale. Inoltre, tra i progetti più innovativi a livello di prodotto c’è Mindstorm RIS (Robotic investor system), la linea di prodotti che combina mattoncini programmabili con motori elettrici, sensori e pezzi di Lego Technic (ingranaggi vari) pensati per costruire robot e sistemi automatici e interattivi.
Innovazione digitale 2020 in Italia
La relazione tra piccole e medie imprese italiane e digitalizzazione non è ancora matura, perché si diffonda davvero innovazione digitale nelle Pmi, perciò servono più investimenti in tecnologia e risorse umane. È quanto emerge dalla ricerca svolta dall’Osservatorio Innovazione Digitale nelle PMI del Politecnico di Milano su un campione di circa 1.500 piccole e medie imprese italiane. Lo studio sottolinea che solo il 26% delle piccole e medie imprese italiane nel 2020 è pronta a sfidare i mercati mondiali potendo contare su tecnologie avanzate e processi produttivi digitalizzati. Questo nonostante 9 imprenditori su 10 considerino l’innovazione e la visione 4.0 necessari per lo sviluppo del business aziendale.
Digital innovation, che cosa aspettarsi dal futuro prossimo
Da uno sguardo al Gartner Hype Cycle 2019 è possibile avere qualche anticipazione su cosa ci attende nei prossimi 5-10 anni e quali sono le tecnologie che avranno maggior impatto non solo sul business, ma anche sulla società e sulle persone.
Le tendenze emergenti riguardano nello specifico: sensoristica e mobilità, augmented human, computazione e comunicazione post-classica, ecosistemi digitali e analisi e intelligenza artificiale avanzate.
In primo luogo, ci si aspetta un aumento delle capacità delle macchine di comprendere l’ambiente in cui sono inserite. Il riferimento non è solo ai veicoli a guida autonoma e ai droni per le consegne, ma anche a quelli che vengono definiti digital twin aumentati, sistemi che forniscono mappe virtuali del mondo, al fine di creare database che alimentino sistemi e applicazioni di realtà virtuale e realtà aumentata.
Il secondo trend, l’augmented human, riguarda il miglioramento generale e cognitivo come parte integrante del corpo umano (si pensi per esempio a protesi sempre più evolute), ma Gartner cita anche i biochip, hardware applicato all’analisi di elementi biologici, studiato per la medicina personalizzata. Su tutt’altro fronte, questa tendenza si potrà sviluppare in ambito di immersive workspace per creare aree di lavoro che potenzino collaborazione e interattività tra le persone. E naturalmente nell’ambito dell’augmented human non si può non fare riferimento all’intelligenza artificiale per cui Gartner vede un futuro di collaborazione con l’uomo, esprimendo l’auspicio che i responsabili IT abbiano un approccio progettuale all’AI concentrato su cosa si può fare per le persone, non sulla mera automazione.
Parlando di computazione e comunicazione post-classica, si fa riferimento al 5G (tecnologia che va quasi ad annullare la latenza e può offrire grande scalabilità) o alla stampa 3D su scala nanometrica. Inoltre, le memorie di prossima generazione vanteranno tecnologie quali PCM, Phase-Change Memory (memoria a cambiamento di fase) SCM, Storage Class Memory (un nuovo tipo di memoria flash NAND non volatile che non richiede alimentazione per conservare i dati) che faranno decisamente evolvere le prestazioni delle applicazioni emergenti.
Nuovi ecosistemi digitali muteranno poi completamente le catene del valore classiche e promuoveranno migliori servizi e nuovi prodotti. Per esempio, il Web 3.0 (decentralizzato) permetterà lo sviluppo di app per controllare identità e dati (grazie anche all’utilizzo della blockchain) e favorire interazioni e transazioni peer to peer. Una componente importante degli ecosistemi digitali sarà il DigitalOps, un approccio, più che una tecnologia emergente, pensato per un rapido sviluppo e un adattamento veloce di prodotti e applicazioni aziendali dinamici, in tempo reale e scalabili. Emerge infine in questo genere di ecosistemi il valore, da un lato, dei grafici della conoscenza (knowledge graphs) ossia strutture di dati di qualsiasi natura codificati in grafici, appunto, per meglio recuperare le informazioni necessarie; dall’altro, dei dati sintetici, ossia classi di dati generati artificialmente.
L’ultimo trend individuato da Gartner guarda all’intelligenza artificiale avanzata citando tecnologie che permetteranno di fare approfondimenti e previsioni sempre più puntuali e generare raccomandazioni: tra queste l’adaptive machine learning – machine learning adattivo; l’edge analytics (per prendere decisioni vicino a dove vengono generati i dati); l’explainable AI cioè l’intelligenza artificiale che spiega se stessa e il generative adversarial network (reti che sfruttano i modelli di intelligenza artificiale per creare simulazioni originali di oggetti).