IN PUNTA DI PENNA

Fusione FCA – Renault: una mossa inevitabile di fronte alla rivoluzione dell’auto

Alti costi di sviluppo del prodotto, indebitamento, scarsa profittabilità: sono le tre principali ragioni che spingono verso il consolidamento tra le case auto. Marchionne lo aveva previsto nel 2015 e adesso bisogna accelerare perché nel mercato della mobilità sta per cambiare tutto, dalle vetture ai modelli di business

Pubblicato il 28 Mag 2019

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Fusione FCA-Renault, una storia scritta da tempo. Con un documento datato 29 aprile 2015, disponibile sul sito Investor Relations di FCA GROUP, Sergio Marchionne sintetizzava nel titolo (“Confessions of a capital junkie: an insider perspective on the cure for the industry’s value destroying addiction to capital”) quale fosse il problema principale degli OEM (Original Equipment Manifacturer) dell’auto: il crescente peso degli investimenti necessari per lo sviluppo dei nuovi prodotti.

Qual è il rapporto tra quella presentazione coraggiosa di Marchionne, fatta agli investitori, e il recente annuncio della proposta di fusione paritetica tra FCA e Renault?

La fusione annunciata è una tessera di un mosaico più complesso che il compianto leader di FCA aveva in mente da tempo. Marchionne, nel 2015, scriveva: “questo documento riguarda fondamentalmente la scelta tra la mediocrità e la possibilità di cambiare radicalmente il paradigma del settore automobilistico”.

La tesi principale è la seguente: i dati dicono che gli OEM del settore auto non sono stati in grado di ripagare il costo del capitale per un intero ciclo economico. Vediamo quali sono le argomentazioni principali a supporto.

FCA – Renault, tutta l’innovazione che verrà dalla fusione

FUSIONE FCA-RENAULT, 3 ARGOMENTI A SUPPORTO 

1. Gli alti costi di sviluppo del prodotto

La prima ragione è imputabile agli alti costi di sviluppo del prodotto. Ingenti capitali sono stati destinati allo sviluppo di componentistica proprietaria, a volte di discutibile utilità, che nemmeno il consumatore ha potuto apprezzare. Questi investimenti hanno ripagato meno di quanto hanno fatto analogamente in altri settori quali telecomunicazioni, farmaceutico, aerospaziale, chimico ma anche prodotti di largo consumo e distribuzione.

2. I livelli di indebitamento elevato

I livelli di indebitamento elevato hanno aggravato il quadro, portando benefici inferiori e accentuando la volatilità dei profitti.

3. La scarsa profittabilità del settore

Per contrastare questi problemi, gli OEM hanno reagito in due modi: alcuni hanno giocato la carta della riduzione e standardizzazione delle piattaforme al servizio di una molteplicità di brand, con l’intento di beneficiare di una riduzione dei costi medi unitari di output grazie all’aumento della scala. Altri hanno stipulato accordi di JV con produttori di componentistica per condividere i costi di sviluppo. In entrambi i casi i risultati sono stati insoddisfacenti, deprimendo oltre il dovuto la profittabilità del settore.

FCA-Renault, il consolidamento fra case auto è inevitabile

La conclusione? Il consolidamento tra gli OEM è inevitabile, in quanto solo mettendo sotto una medesima entità giuridica due aziende differenti si obbligano le parti a cercare una vera integrazione, tale da ridurre, obtorto collo, le sovrapposizioni di componenti e piattaforme dettate da anni di concorrenza che hanno esacerbato le gelosie reciproche.

FCA e Renault giocano la carta della sopravvivenza, indispensabile per ritornare ad essere appetibili agli investitori. Un’integrazione che collocherà la nuova entità al terzo posto mondiale per volumi venduti, 8,7 milioni di veicoli, dopo Volkswagen e Toyota. I risparmi attesi sono nell’ordine dei 4,5 / 5 mld di Euro all’anno di cui il 70% sono costi di ricerca e sviluppo. Inoltre, una nuova entità di questo tipo, con presenza in tutti i mercati geografici, permetterà una ottimizzazione dell’allocazione della produzione tra gli stabilimenti, anche a parità di occupati.

È questo il momento giusto per una fusione? Non vi sono dubbi, anzi, forse bisognava anticipare i tempi, proprio come Marchionne aveva intravisto. Da quando l’Unione Europea ha annunciato il nuovo limite di emissioni di 95 g/km per veicolo entro il 2020, si è immediatamente materializzato l’incubo dei nuovi veicoli elettrici e/o ibridi.

Senza l’elettrificazione dei powertrain tradizionali è praticamente impossibile raggiungere questo limite, che è letteralmente dietro l’angolo. FCA e Renault dovranno mettere mano ad un’intera gamma di prodotti, alla ricerca di sinergie di progettazione e sviluppo. La filiera dell’auto è alla soglia di una rivoluzione epocale piena di incognite industriali, quali la importantissima sfida della riconversione degli impianti, ma anche di prodotto, visto che è in discussione il modello di mobilità del futuro.

FCA – Renault, la sfida manageriale

I molti commenti che sono circolati in queste ore si sono concentrati sulla sfida dei livelli occupazionali, sulla presenza dello Stato francese nell’azionariato di Renault e quindi della nuova entità, sulle scelte di prodotto che si dovranno compiere per avviare lo sviluppo industriale dell’auto elettrica.

Poco si è detto circa la sfida manageriale di chi dovrà tenere le redini del nuovo colosso. Si tratta della questione principale perché la storia dell’automotive insegna che senza un leader capace di visione e di determinazione queste fusioni possono fare più danni agli azionisti (e non solo) di quanto s’immagini. Non si dimentichino i reiterati tentativi di integrare Chrysler con altri produttori, non da ultimo, prima di FCA, la sciagurata avventura che fu fatta da Daimler per accaparrarsi un punto d’ingresso appetitoso nel mercato nordamericano.

L’automotive non è per deboli di cuore: negli USA c’è un detto che dice: “quando l’economia ha il raffreddore, il settore dell’auto ha la febbre”. I grafici qui di seguito illustrano bene il problema: fatto 100 l’indice di produzione industriale del sistema economico, l’automotive risente moltissimo dei fenomeni recessivi, più che del resto di tutti i settori manifatturieri, creando immediatamente disoccupazione. E ciò accade sia in USA, sia in Germania, sia in Giappone, che sono tre nazioni che con l’automotive hanno fatto una scommessa importante.

Una leadership compromissoria, che rinvii i problemi e che non sia in grado di dare una visione dell’auto al mondo, agli azionisti, ai dipendenti e a tutta la filiera, sarebbe destinata a fallire al primo starnuto dell’economia. Manco a farlo apposta, le minacce di guerra commerciale tra l’America di Trump e la Cina sono pessime avvisaglie in proposito. Conoscere il prodotto, districarsi tra le leggi della finanza, e motivare le persone a raggiungere traguardi a prima vista impossibili sono le doti indispensabili per un leader con questa responsabilità. A ciò va aggiunto una non comune visione strategica, proprio nel momento in cui tutto l’automotive deve ancora intravedere una nuova luce in fondo al tunnel.

Non è uno scherzo creare una realtà unica da 8,7 milioni di vetture vendute, e farlo non per crescita organica ma con una fusione di due OEM di quasi pari dimensioni è ancora più difficile: una sfida unica che non ha precedenti per taglia, complessità e ripercussioni su tutto l’indotto. In assenza di una figura in grado di reggere tale sfida, sarebbe da sconsigliare agli azionisti di avventurarsi in questa proposta.

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Ferdinando Pennarola
Ferdinando Pennarola

Professore di Organizzazione e Sistemi Informativi all’Università Bocconi di Milano e direttore del Global Executive MBA (GEMBA) della SDA Bocconi School of Management. Si occupa di change management e di innovazione nel campo delle tecnologie informatiche e della rete.

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