Le piattaforme online sono le protagoniste dell’economia digitale e non solo. Hanno innescato un meccanismo effervescente che ci restituisce una pluralità di realtà e modelli. Lo spettro di iniziative ricomprese nella “platform economy” è infatti estremamente ampio, volutamente poco circoscritto a indicare potenzialmente tutte le nuove idee imprenditoriali ispirate dal modello della piattaforma.
Platform economy, un nuovo modello di business
Per fare un esempio di ecosistema, prendiamo Google, Microsoft e Amazon: attorno a questi giganti gravitano e proliferano realtà «born digital», da Airbnb, a Spotify, a Wikipedia, per citarne alcune. Di più: circa il 70% dei cosiddetti “unicorni”, ovvero startup private con una valutazione che supera il miliardo di dollari senza essersi ancora quotate, sono costruite su un modello piattaforma. Ma attenzione, non dobbiamo pensare che le piattaforme siano appannaggio solo dei big. Tutt’altro. Il centro studi di Assolombarda ha condotto un’analisi sulla platform economy che lo spiega. Innanzitutto, una piccola precisazione: la platform economy è stata definita come un nuovo modello di business che usa la tecnologia per connettere persone, organizzazioni e risorse all’interno di un sistema interattivo non strettamente digitale in cui si crea e scambia valore. E l’espressione “non strettamente digitale” gioca un ruolo chiave. È importante che si comprenda che si tratta di una economia che non si ferma al mondo digitale: ispirati dalle piattaforme nascono anche pratiche e modelli di business innovativi all’interno di tutti i settori industriali, non necessariamente a connotazione tecnologica.
Le imprese della platform economy producono più valore
Quello che succede è che di fatto ogni azienda per la quale l’informazione e i dati siano un elemento fondamentale può affacciarsi alla platform economy, traendone importanti vantaggi. Nessuno è escluso a priori, ma anzi, l’onda positiva può essere sfruttata per potenziare il proprio business. È con questo proposito che Assolombarda ha costituito uno Steering Committee: per inquadrare meglio il fenomeno e aiutare le imprese socie a interfacciarsi con le piattaforme. Tutte le imprese, anche di ambiti e settori differenti, sono egualmente papabili a partecipare.
Che i potenziali di sviluppo economico siano particolarmente elevati lo sottolinea anche un’analisi promossa da Deloitte che spiega come le imprese che seguono un modello piattaforma producano più valore rispetto a quelle tradizionali. Il rapporto price-to-earnings è stimabile infatti intorno all’8%, da due a quattro volte più alto rispetto a quello di produttori con un forte utilizzo di asset fisici. Ma anche rispetto a fornitori di servizi e settori ad alto contenuto tecnologico. Non solo: queste imprese conseguono anche maggiori profitti e crescono più velocemente.
Nessuno è escluso dalla platform economy
Sia chiaro che non è valida l’equazione che vede le piattaforme come un nuovo re Mida, ma i margini su cui lavorare sono indubbiamente interessanti, anche se ancora non ben definiti. Come anticipavo, la portata del fenomeno tende a lasciare alcuni osservatori disorientati, perché è ancora difficile da delineare. Non solo la platform economy è grande, composita ed economicamente rilevante. Ma ha anche impatto a livello di relazioni industriali, protezione dei consumatori, utilizzo e protezione dei dati personali, tassazione, competizione e diritti di proprietà. Tutti fronti su cui il dibattito è aperto ma che non devono desistere dal far cogliere le implicazioni positive che possono derivare per il business. Tutte le imprese che sfruttano la piattaforma come infrastruttura o acquisiscono e integrano i dati da essa raccolti nel proprio modello di business, lo possono fare anche senza agire direttamente sulla piattaforma stessa. Le tradizionali logiche dell’impresa sono ribaltate: non più una realtà incentrata sulle risorse interne e circoscritta a un luogo fisico, ma in grado di sfruttare risorse terze e di operare a livello globale per crescere.