L'INTERVISTA

Latte, per continuare a produrre serve l’innovazione: intervista al presidente di Granarolo

Il mercato ha avuto un tracollo e per resistere abbiamo cominciato a fare open innovation, dice Gianpiero Calzolari, presidente del gruppo agroalimentare, che ha una struttura cooperativa. Sulla governance interna: “Nessun Chief Innovation Officer, puntiamo su un continuo rapporto tra R&D, mkt e sicurezza”. E con le startup

Pubblicato il 20 Feb 2019

Gianpiero Calzolari

Innovare un alimento tradizionale come il latte si può, anzi si deve. Come? Correndo più veloci degli altri, ricercando l’innovazione di prodotto con il coinvolgimento simultaneo della ricerca e del marketing, facendosi “contaminare” dalle startup. Perché i gusti e le mode, anche nell’alimentazione, cambiano con incredibile rapidità. E la soluzione per non sparire, inghiottiti dalla concorrenza, è una sola: innovazione. Mentre la protesta dei pastori in Sardegna rivela lo stato di crisi di un settore, EconomyUp ha incontrato il presidente di Granarolo, Gianpiero Calzolari, che conferma“Il mercato del latte – spiega – ha avuto un tracollo per una serie di ragioni: ci sono sempre meno bambini (tra i principali consumatori di latte), sono subentrate le intolleranze e c’è un dato culturale di rifiuto delle proteine animali. Il mercato si riduce, ma i nostri i soci vogliono continuare a produrre”. Il gruppo agro-alimentare fondato nel 1957 con sede a Bologna è infatti di proprietà cooperativa: la capogruppo è una cooperativa di allevatori con la mission di valorizzare al meglio il latte prodotto dai soci. A differenza di altre realtà, i soci sono interessati a valorizzare il proprio latte. Lo scenario è complesso: occorre aumentare la produzione tenendo il passo con la concorrenza, sottolinea Gianpiero Calzolari. Ecco perché Granarolo sta mettendo in pratica l’open innovation, cercando proposte, soluzioni e prodotti innovativi anche fuori dalle mura dell’azienda.

Come si innova nel settore caseario?

Si può puntare su nicchie come il biologico, i prodotti senza sale o senza zucchero. Ci sono tante possibilità, ma richiedono di passare dal prodotto, che deve rimanere naturale, togliendo il lattosio, o riducendo il sale nella ricettazione dei prodotti derivati. L’innovazione sul latte la facciamo solo noi. Difficilmente le grandi marche mettono sul mercato prodotti usciti dal settore Ricerca e Sviluppo nell’ambito del caseario.

RESTARE COMPETITIVI NEL DAIRY PUNTANDO SULL’EXPORT

Che cosa serve per restare al passo con i cambiamenti di mercato?

Innanzitutto bisogna essere veloci. L’innovazione che ci ha reso famosi è l’alta qualità, il giusto contenuto di grassi e proteine nel latte: è durata 20 anni, ma oggi le innovazioni hanno un tempo più veloce, perché esigenze e gusti cambiamo più velocemente rispetto al passato. Una soluzione sono le esportazioni. Oggi esportiamo circa il 30% dei nostri prodotti.

Dove?

In Europa, ma anche in Brasile, negli Usa, in Cina, in Corea. In tutto sono 72 Paesi. La Francia è il nostro primo mercato di esportazione con 150 milioni di euro di valore, il secondo la Gran Bretagna. Il latte liquido lo esportiamo solo in Libia e in Cina. Soltanto noi abbiamo l’autorizzazione a esportare latte liquido per bambini in Cina.

Un prodotto innovativo?

Sì. Per la precisione è una linea di latte liquido per bambini da 1 a 3 anni, una formulazione concordata con le autorità cinesi che sono particolarmente attente nella valutazione dei prodotti importati. Nasce dai nostri laboratori di ricerca ed è reperibile sia nella grande distribuzione sia nelle catene farmaceutiche. È una nostra esclusiva.

GRANAROLO E L’INNOVAZIONE DI PRODOTTO

Altri esempi di innovazione di prodotto?

Una crocchetta con formaggio duro da scaldare al microonde pensata solo per l’esportazione negli Stati Uniti. Da noi si userebbe per l’aperitivo, negli Usa è un’alternativa al pasto. Abbiamo acquisito una società a conduzione familiare di Brescia che ne aveva avviato la produzione. Abbiamo sviluppato il mercato e migliorato la comunicazione. I proprietari sono ancora soci. Nel corso del tempo abbiamo acquisito diverse realtà imprenditoriali, ma ci piace mantenere la partecipazione dei fondatori. Un’intera linea innovativa che invece è uscita dai nostri laboratori è la linea senza sale. Sappiamo che la presenza di sale negli alimenti è un problema molto sentito. Volevamo ridurlo nella ricettazione e allo stesso tempo produrre qualcosa di ugualmente gustoso. È diventata, appunto, un’intera linea. Il vantaggio di avere tanti prodotti è che, quando emerge una formulazione di qualche interesse, la possiamo riprodurre su tutta la gamma dei caseari.

GRANAROLO: CHI GOVERNA L’INNOVAZIONE IN AZIENDA

Come è strutturata la governance dell’innovazione in Granarolo?

Abbiamo una divisione Ricerca e Sviluppo che lavora in contatto con il marketing. Qualche anno fa, quando è esploso il boom delle bevande alternative al latte, siamo riusciti ad anticipare il fenomeno perché il marketing ci restituiva input da parte della grande distribuzione. Così abbiamo messo a punto Granarolo 100% vegetale. Oggi la soia sta diminuendo, mentre sta emergendo il desiderio di avena, mandorla, cocco. in pochi mesi uno stimolo partito dal marketing è stato recepito e tradotto in trasformazione del prodotto. Oggi siamo il terzo produttore di bevande vegetali alternative al latte. Ma l’innovazione può venire anche dal packaging.

Un esempio?

Lo Yomino. Partendo dalla qualità di Yomo, abbiamo voluto portarlo ai più piccoli. Lì era fondamentale il packaging. Abbiamo ideato una confezione squeezable, da mettere agevolmente nello zainetto o in borsa, e che dura 4 ore fuori dal frigo. Le mamme sono contente perché il bambino si nutre in modo sano, il bambino mangia divertendosi. In questo caso è il packaging che ha soddisfattol’esigenza di entrare in un nuovo mercato.

Non sentite la necessità di un Chief Innovation Officer?

Attualmente l’innovazione l’abbiamo costruita così: un ponte tra ricerca, marketing, qualità e sicurezza. Per un prodotto alimentare fresco sono temi inevitabilmente integrati. Parlo di sicurezza perché il fresco è un prodotto molto fragile, e la volontà di innovazione deve fare i conti soprattutto con i tempi di un prodotto. All’estero, per esempio, i tempi si allungano ancora. Per questo la nostra ricerca ha messo a punto mozzarelle già triturate, congelate, da scongelare all’occasione: possono essere utilizzate nelle pizzerie che propongono la pizza italiana, soprattutto nei mercati asiatici. Risponde all’esigenza dei locali all’estero, ma è mozzarella italiana fatta in Italia.

L’ACCELERATORE PER STARTUP DELL’AGRIFOOD

Il vostro rapporto con le startup?

A gennaio abbiamo lanciato Agrofood BIC, acceleratore di startup nei settori food&beverage e agro-industriale promosso con Gellify, Conserve Italia, Eurovo, Gruppo Camst e Cuniola. Siamo partiti da un’intuizione: siamo in Emilia Romagna, terra di latte, vegetali, uova, salumi. Ma ci sono anche altri distretti: il biomedicale, la logistica, le macchine agricole, il packaging. Così ci siamo detti: proviamo a mettere insieme aziende dei vari distretti per lavorare sul cibo del domani, quello che ancora non c’è. Con alcune di queste aziende ci sono già collaborazioni positive, ma resta un rapporto cliente-fornitore. Perciò abbiamo voluto inventarci le condizioni per lavorare da subito su un’innovazione condivisa. Con un ragionamento: intercettiamo le aziende attraverso un filtro, non dobbiamo prendere in considerazione migliaia di idee. Una volta intercettate le migliori, le seguiamo in modo concreto. Spesso le startup si bloccano perché mancano risorse o capacità di trasformare idee in prodotto e processo. Quelle che ospiteremo nell’acceleratore avranno a disposizione da subito uffici, la nostra divisione R&D, il reparto per il controllo qualità, il marketing ma soprattutto le fabbriche. È importante passare dal prodotto o dal processo all’attuazione. Di acceleratori o incubatori ce ne sono tanti, la differenza con il nostro è che gli startupper avranno a disposizione da subito luoghi veri di lavoro. E mi piacerebbe che fossero progetti che “costringono” la fabbrica di Granarolo a lavorare su un prodotto interessante per lo sbocco commerciale.

Quali proposte e soluzioni cercate dalle startup?

Recupero degli scarti di lavorazione, soluzioni per il freddo, economia circolare…Tutto quello che migliora la share life dei prodotti nella ricettazione, ma anche soluzioni per il packaging e la logistica. Comunque non esiste una necessità già individuata: apriamo la finestra e stiamo a guardare.

Da poco è stato lanciato il Food Tech Accelerator di Deloitte. Perché Granarolo non ha aderito?

Puntiamo a valorizzare le eccellenze del nostro territorio, anche in modo trasversale. Poi abbiamo all’interno l’Università di Bologna, Enea, partner scientifici, Aster. Non siamo completi, mancano diversi componenti della filiera, ma è già un embrione. Inoltre siamo in contatto con fondi che potrebbero portare venture capital. L’evoluzione dell’acceleratore possono essere società che prendono piede autonomamente, ma è possibile anche che, se una startup ha una bella idea, uno dei soci la sviluppa e la porta in azienda. Siamo sempre pronti a innovare.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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