“Qual è il senso di questo libro?” si domanda Alfonso Fuggetta nelle prime pagine di Cittadini ai tempi di Internet e, affidandosi all’interpretazione dell’amico Federico Butera, propone tre risposte in stile montaliano (“Codesto solo oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non vogliamo”): “Non voglio ripetere osservazioni fatte altrove su Internet…; non voglio dilungarmi in esempi e casi di studio….; non voglio perdere tempo in lunghe argomentazioni…”.
Un manifesto politico per la nuova democrazia digitale
C’è però una quarta possibile risposta, in positivo, che non so quanto rientri nelle intenzioni dell’autore: questo pamphlet è la bozza di un manifesto politico di un possibile (necessario?) movimento culturale digitale e progressista in grado di rappresentare il nuovo mondo cambiato per effetto di Internet. Una lettura particolarmente utile in una stagione in cui fake news, esibizionismo e bullismo digitale si intrecciano con la politica delle emozioni generando una miscela che sembra poter mettere in discussioni i modelli di democrazia finora conosciuti.
Non a caso il volume si apre con una citazione dei “terrapiattisti” (coloro che sul web sostengono che non è vero che la terra sia rotonda perché dall’aereo la vedono piatta…). “Viviamo in un periodo caratterizzato da un tragico paradosso: lo sviluppo delle tecnologie digitali permette di diffondere conoscenze e informazioni come mai è accaduto nella storia dell’uomo e, al tempo stesso, si rivela come un pericolo enorme per un corretto e sereno sviluppo delle nostre relazioni sociali ed economiche”
Le conseguenze dello tsunami digitale
Fuggetta è un ingegnere informatico, docente al Politecnico di Milano, amministratore delegato e direttore scientifico del Cefriel (Centro per l’innovazione digitale fondato da università, imprese e amministrazioni pubbliche). Ma “Cittadini ai tempi di internet”, edito da Franco Angeli, è un libro di sociologia delle tecnologie in cui confluiscono anni di riflessioni da professore e di progetti da consulente di fronte all’avvento e alla diffusione della Rete. Non vengono poste questioni tecnologiche ma, appunto, sociali, e quindi di cittadinanza in un Paese e in un mondo che non è già più lo stesso e che sarà sempre più diverso.
Una cultura e una cittadinanza ai tempi del digitale
Le “linee di indirizzo” vanno ben oltre l’ambito tecnologico visto che, sin dall’inizio del libro, Fuggetta avverte come non abbia più senso parlare di cultura o cittadinanza digitale e che si debba lavorare per una cultura e una cittadinanza ai tempi del digitale: le tecnologie digitali sono ormai parte integrante della nostra vita, privata e sociale. Lo sperimentiamo tutti i giorni ma probabilmente non ne abbiamo coscienza, cosa tanto più vera quanto ci si avvicina nell’area delle classi dirigenti, politiche e non. Non c’è sufficientemente coscienza degli effetti, soprattutto. Da qui la necessità di un “politiche per il digitale” che devono riguardare tutti gli ambiti della vita sociale: dalla scuola alle imprese, dai media fino ai principi più generali della convivenza, cioè etica e responsabilità.
Non esistono cittadini maturi indipententemente dal digitale
C’è quindi un gran lavoro da fare per gestire la rivoluzione digitale. “Non esistono cittadini maturi indipendentemente dal digitale”, afferma senza esitazione Fuggetta, togliendo ogni alibi a tutte quelle pericolose forme di “giustificazionismo analogico” e “ipocrisia tecnologica” che si manifestano periodicamente in Italia, ultimo caso sulla fatturazione elettronica. Non tutto sarà perfetto, certo, e ci vorrà un po’ di rodaggio ma non si possono spiegare le difficoltà della nuova procedura digitale dicendo che molti professionisti e/o imprenditori non sanno usare un computer! Nel 2019! Giustificarli significa condannarli alla marginalità politica, sociale ed economica.
I nativi digitali non sono maturi digitali
Attenzione a non affidarsi ai giovani! A pensare che tutto si risolverà con il ricambio generazionale. La cittadinanza ai tempi di internet è un diritto da conquistare indipendentemente dallo stato anagrafico. I “nativi digitali” non sono “maturi digitali”, ricorda Fuggetta. Così come “manualità non siginifca maestria”. Non basta saper usare Facebook o trascorrere buona parte del proprio tempo fra app e chat per potersi dire “consapevoli digitali”. “Il digitale ha sì abbattuto le barriere all’ingresso ma non ha in alcun modo eliminato le complessità concettuali e strutturali che caratterizzano la nostra vita e le nostre interazioni”. Non è certo più semplice vivere e interagire con il mondo nell’era del digitale. Anzi, la situazione si è complicata e servono “attrezzi” nuovi, che programmaticamente dovrebbero essere messi a disposizione di tutti.
Si tratta, quindi, di giocare una partita decisiva che non è solo economica ma è civile e, appunto, politica. Ora si tratta di andare oltre a cio che siamo, per capire “ciò che vorremmo diventare”, come dice il titolo della seconda parte del libro di Fuggetta. Un ottimo stimolo di riflessione ma anche un invito ad agire molto utile in un inizio d’anno che sarà sicuramente fluido, meticcio e fragile.