Scrivevo in un pezzo del 28 aprile scorso che il risultato del referendum nel Regno Unito era ovvio, e lasciavo anche intendere tra le righe che la vittoria sarebbe stata di dimensioni comparabili a quella ottenuta dal “remain” nel referendum del 1973, quando due terzi degli aventi diritto al voto si espressero a favore della permanenza. Con un pezzo del 26 giugno cercavo di identificare le ragioni del mio errore di previsione ma, siccome si perde il pelo ma non il vizio, mi lanciavo anche in ulteriori previsioni, stavolta sugli effetti potenziali del Brexit. Qui riprendo quelle prime previsioni e le aggiorno/espando.
Mi riferisco prevalentemente ai potenziali effetti economici. Rispetto ai quali è bene chiarire subito che a livello macroeconomico essi non sono ancora visibili. E ciò per due ragioni: perché le statistiche, per esempio, sul commercio estero tra Italia e Regno Unito, arrivano solo fino a luglio; e perchè occorreranno anni perché le conseguenze del Brexit si riverberino attraverso i settori produttivi, i mercati del lavoro e delle merci, i prezzi.
Le dimensioni lungo cui si deve sviluppare il ragionamento sono: 1. Breve e lungo periodo; 2. Effetti economici ed effetti politici; 3. Effetti sul Regno Unito e sull’Ue/Italia; 4. Reazione delle imprese e delle istituzioni intermedie.
1. Effetti economici su Regno Unito e Ue/Italia nel breve e nel lungo periodo
È opportuno guardare separatamente a mercati finanziari e mercati ‘reali’. Dopo una reazione iniziale piuttosto forte, i primi sono tornati nell’ambito della normalità. Ovviamente la volatilità è intrinseca nell’andamento dei mercati finanziari, ma essa è veramente bassa in questa fase, forse ‘congelata’ dall’attesa delle elezioni Usa. Quanto ai mercati reali, dicevo a giugno e confermo ora che nelle prossime settimane e nei prossimi mesi non succederà assolutamente nulla di visibile a livello aggregato. Chi esporta verso il Regno Unito, come chi da essa importa, continuerà a farlo. Le variazioni del cambio euro/sterlina non avranno effetti importanti sulla competitività delle merci: questo non è il 1992. Quanto agli effetti di più lungo periodo, nessuno può prevederli perché dipenderanno dagli accordi che verranno, o non verranno, raggiunti tra Ue e la controparte. Questo è quanto ci dice la teoria economica, e questo è quanto stiamo osservando. L’annullamento di rapporti commerciali privilegiati ha sempre effetti negativi sui contraenti, ma quanto essi siano negativi non lo si può dire senza conoscere quali accordi commerciali alternativi ciascuno dei due partner stabilirà con altre realtà economiche. E sappiamo che processo di separazione da un lato e processo di sottoscrizione di accordi dall’altro prenderanno molto tempo, anni e anni, anche se il Regno Unito avesse lucidità e coesione sufficienti a condurre i due processi simultaneamente. E, dulcis in fundo, non sappiamo neanche se la controparte sarà il Regno Unito come lo definiamo oggi.
2. Effetti politici: spinte alla disintegrazione del Regno Unito e dell’Ue
Questo è uno dei problemi che in questo momento mi preoccupano di più. Il voto a favore dell’appartenenza è stato forte a Londra, in Irlanda del Nord, in Scozia. Le spinte centrifughe entro il Regno Unito saranno forti, anche se le pressioni provenienti da Scozia e Irlanda del Nord per la separazione, forti a luglio, sembrano essersi ridimensionate. Peraltro, è della fine di settembre l’annuncio delle dimissioni del ministro per l’energia, mentre frizioni su tempi e metodi sembrano emergere con chiarezza tra i membri del governo May. Forse il congresso dei conservatori che comincia oggi a Birmingham potrà contribuire dei chiarimenti.
Anche le spinte all’emulazione che avevano immediatamente eccitato le destre di Francia, Olanda e Italia sembrano essersi ridimensionate abbondantemente. Non sappiamo se questo sia dovuto alla realizzazione che il processo di separazione avverrà in tempi lunghissimi e in modi ancora da capire, o se i caporioni hanno capito che anche i loro seguaci sono rimasti intimoriti dalla prospettiva di una uscita dall’Ue, ma tant’è.
3. Le reazioni delle imprese e delle istituzioni intermedie
Mentre è vero che tanto gli effetti aggregati sull’economia reale che quelli politici si paleseranno negli anni, è anche vero che le imprese e gli agenti economici in generale tendono a reagire nell’immediato per sfruttare finestre di opportunità generate dall’avvio del processo. Chi volesse ‘vedere’ effetti nel breve periodo deve quindi prestare attenzione alle scelte di specifiche imprese e singoli agenti economici, privati e pubblici. Un’economia di mercato non si adatta a una nuova situazione istituzionale trovando un nuovo equilibrio immediato. Ma è anche vero che agenti economici, privati e pubblici, si muovono, si organizzano, stimano la probabilità del verificarsi di questo o quello scenario mesi e anni da oggi.
Riporto qui, in maniera frammentata e incompleta, alcune ‘evidenze’ di movimenti già visibili:
►Banche localizzate a Londra hanno avviato la ricerca di immobili a loro adatti in molte città nei paesi aderenti all’Unione;
►Banche statunitensi si stanno preparando ad assumere eventuali vittime del ridimensionamento del settore bancario/finanziario londinese;
►Produttori britannici di elettrodomestici si stanno lamentando per gli aumenti di costo in sterline di materie prime e semilavorati importati sia da Ue che da area dollaro;
►Imprese startup stanno valutando il vantaggio (o svantaggio) che la nuova situazione presenta loro e stanno valutando strategie adeguate;
►Istituzioni intermedie hanno avviato e stanno avviando procedure per offrire la propria candidatura ad ospitare agenzie Ue già ospitate nel Regno Unito: è noto che Milano si è candidata ad esempio a ospitare l’agenzia per il settore farmaceutico.
Grazie a un’iniziativa del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, venerdi 30 settembre abbiamo parlato con Stefano Mizio, Ceo di InnoVitsLab, che ha sedi a Milano e a Manchester, e con Stefano Mainetti, Ceo di Polihub, specificatamente di come i nostri innovatori e startupper stanno riflettendo sui potenziali effetti del Brexit. Il messaggio di fondo che mi permetto di riassumere qui è questo: Brexit o non Brexit, la competitività delle nostre startups sta nel progetto, nel capitale umano, nelle relazioni di gruppo. Ma abbiamo una debolezza per quanto riguarda il finanziamento, inizialmente modesto e quindi fornito da capitali personali, ma che viene meno quando la startup è pronta ‘a fare il salto’.