Scenari economici

Non è l’euro a minacciare l’Ue, ma i governi dei paesi membri: ecco perché

L’idea di abbandonare la moneta unica sarebbe un avvenimento drammatico per molti paesi membri. I singoli governi sarebbero in balìa dei mercati finanziari e tante nazioni subirebbero la sorte toccata alla Grecia per mano dei mercati finanziari

Pubblicato il 22 Set 2016

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Fatico da settimane nel pensare a come affrontare la recensione del libro di Joseph Stiglitz The Euro and its threat to the future of Europe (Allen Lane, Penguin Random House, 2016). Ora penso di aver trovato il bandolo della matassa, ma non so quanto esserne soddisfatto. Vedremo. So che voglio parlare del rapporto tra Europa ed euro avendo come riferimento la posizione di Stiglitz. Voglio parlare del rapporto tra i due, poiché essi sono due entità diverse non solo e non tanto perché all’Unione aderiscono 27 paesi e ad adottare l’euro sono soltanto 19, bensì perché l’Unione precede l’euro storicamente e logicamente. Il quesito principale è: che scopo ha l’euro entro l’Ue? Che ruolo ha nel processo di costruzione dell’Europa? Quesiti che ne rievocano un altro, “il” quesito: perché abbiamo voluto l’Unione? Perché, nel processo di costruzione dell’Unione, abbiamo ritenuto che l’euro fosse un passo avanti importante, forse decisivo? So bene che potrei fallire, ma spero che quello che sto per scrivere solleciti discussioni e critiche razionali tra le persone con cui mi interessa parlare, quelle appassionate d’Europa. Astenersi tutti gli altri, grazie.

Trovo che le parole più belle e più importanti del libro siano quelle con cui, a p. xxix, Stiglitz ringrazia la moglie per avergli costantemente ricordato the importance of the European project (“l’importanza del progetto europeo”), e che the key question was [is, fs] the impact of the euro on that (“la domanda chiave è l’impatto dell’euro su quel progetto”). La signora Stiglitz ha idee molto chiare, e io mi associo ai ringraziamenti del marito: il punto fermo, quello che non si discute, quello che viene ‘prima’ storicamente, logicamente, e politicamente, è l’Unione. L’euro viene dopo. Ora, quello che ho appena detto non è realmente semplice da interpretare, poiché si potrebbe pensare che, se l’euro è di impedimento al processo di costituzione dell’Unione, allora basta eliminarlo. Non è un caso che questa ‘liberazione dall’euro’ venga assai spesso auspicata da anti-europeisti da quattro soldi, nazionalisti, separatisti, impauriti dal diverso sempre e comunque, le cui argomentazioni sono informate alla più grande confusione mentale. Avrete sentito certamente dire che “bene hanno gli inglesi a uscire dall’euro”. Ignoriamo la solita confusione tutta italiana tra Inghilterra e Gran Bretagna. Ma quando mai la Gran Bretagna è uscita dall’euro? Non ci è mai entrata.

E qui arriva il momento doloroso, doloroso per due motivi. Il primo è che, nonostante la sua attenzione, i suoi distinguo, le sue analisi attente, Stiglitz viene utilizzato a piene mani dai suddetti figuri, viene osannato con frasi del tipo “lo dicono anche i premi Nobel” [che bisogna uscire dall’euro, fs]. La seconda ragione per cui il momento è doloroso è che debbo proporre una visione radicalmente diversa da quella di Stiglitz, che considero un maestro come pochi, come ben sanno i miei studenti. E dichiaro che il problema è ben altro! (Ricordo ancora un altro maestro, italiano, che anni fa mi diceva che il nostro è il paese del ‘benaltrismo’, cioè di coloro che non sapendo rispondere a un quesito affermano che il problema è ‘ben altro’. Sosterrò la mia tesi sperando di non scadere agli occhi del maestro italiano). E per oggi mi limito a proporre questa visione alternativa, mentre le argomentazioni di dettaglio verranno nelle prossime settimane.

La transizione dallo Stato-nazione all’Unione europea

È generalmente accettata dagli storici la tesi secondo cui lo Stato-Nazione come lo conosciamo ebbe le sue origini nel Trattato di Westfalia del 1648, con il quale le parti in guerra misero fine alle miserie di tanti anni (secoli, in realtà). Tutti ricorderanno che nei libri di storia di scuola media l’Ottocento veniva definito il secolo degli Stati-Nazione. Due secoli per il materializzarsi dello Stato-Nazione. In Europa.

Ora, il quesito interessante è: che cosa è uno Stato-Nazione moderno per un economista? Se lo si guarda dal punto di vista appropriato, e cioè quello delle autorità della politica economica che regolano, o cercano di regolare, le attività produttiva e commerciale, esso è un costrutto il cui funzionamento ruota attorno a quattro politiche: la politica commerciale, la politica fiscale, la politica monetaria, la politica del cambio. Il processo di costruzione dell’Unione europea è avvenuto trasferendo progressivamente a uno ‘stato’ di grandi dimensioni l’autorità degli stati membri su queste quattro aree: dapprima la politica commerciale nel 1968, poi la politica monetaria nel 1999 e, con essa, la politica del cambio. [Che la politica del cambio non sia stata ‘allocata’ alla Bce è vero, ma questo non implica che essa sia rimasta appannaggio degli stati-nazione, tutt’altro]. Perché metto tra virgolette la parola ‘stato’ quando mi riferisco all’Ue? Perché esso, evidentemente, uno stato non è: gli manca, per esserlo, l’autorità fiscale, l’autorità di spendere e tassare.

L’Ue è, dunque, uno stato senza governo. Questo è il problema dell’UE, non l’euro! Gli stati nazione non possono fare politica fiscale se non entro i limiti del bilancio in pareggio, quella condizione che Soros chiama ‘l’interpretazione tedesca della stabilità’. In questa impostazione, ciascun governo dei paesi membri è il solo responsabile della propria politica fiscale. Responsabile di fronte a chi? Beh, di fronte ai mercati finanziari, i quali sono liberi di azzannarre i governi uno a uno e portarli sull’orlo dell’espulsione dall’Unione: vedi Grecia, il più piccolo dei paesi Ue e dunque il più adatto a farne un esempio per tutti.

In altre parole, quale banca, quale fondo d’investimento, quale fondo pensione oserebbe attaccare l’area euro nel caso essa adottasse un approccio centralizzato alla politica fiscale? Nessuno, e non solo per la dimensione dell’area: ma soprattutto perché l’area ha una banca centrale. Banca centrale che la Grecia non aveva e non ha (ricordo che ancora oggi il debito del governo greco non viene accolto nei programmi QE, quando se lo fosse tanti problemi finanziari del paese sarebbero risolti…).

Da qui la mia tesi: non è ‘restituendo’ ai singoli stati-nazione l’autorità sulla politica monetaria che il progetto di Unione europea progredisce, bensì trasferendo da loro all’Unione anche l’autorità sulla politica fiscale.

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