Paola Corna Pellegrini (Allianz Partners): così innoviamo l’assicurazione per la nuova mobilità

L’azienda ideale è quella dominata dal pensiero positivo, dice l’amministratore delegato della società del gruppo Allianz, che in questa intervista esclusiva a EconomyUp racconta il modello seguito per fare innovazione. E anticipa il lancio di un nuovo prodotto assicurativo per le persone che vivono nuovi stili di mobilità

Pubblicato il 18 Set 2018

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Nella sua ultra-trentennale carriera Paola Corna Pellegrini, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Allianz Partners in Italia, ha voluto – e saputo – tenere tutto insieme: la top manager, ma anche la moglie, la madre di due figli (Francesca 29 e Matteo 24 anni), la persona impegnata nella tutela dei diritti delle donne e in campagne sociali. Ha funzionato, anche in termini numerici: negli ultimi 5 anni il fatturato di Allianz Partners è cresciuto del 20%, i dipendenti sono passati da meno di 600 ad oltre 700, la presenza femminile è aumentata. Laboratori di innovazione, telelavoro, sostegno ai disabili sono alcune delle sue sfide presenti. E per l’immediato futuro, dice in questa intervista a EconomyUp, c’è il lancio di una proposta innovativa in ambito new mobility. “Nell’era della sharing economy e della intermobilità, stiamo lavorando a soluzioni che garantiscano protezione e aiuto alle persone che oggi vivono nuovi stili di mobilità”. In attesa di dettagli, vediamo chi è Paola Corna Pellegrini, cosa sta facendo e quali sono le sue strategie di innovazione aziendale.

CHI È PAOLA CORNA PELLEGRINI

Laureata in Matematica a Padova, un MBA alla Business School CUOA di Vicenza, Paola Corna Pellegrini inizia nel 1982 in Henkel Cosmetic, dove a soli 28 anni diventa Marketing Manager Personal Care. Nel 1990 entra nel mondo dei servizi di Europe Assistance, prima come Marketing Director e poi in qualità di Sales&Marketing Director. Nel 1996 fa il suo ingresso nel mercato farmaceutico come Marketing Director di Novartis Consumer Health Italia, divenendo nel 2002 BU Head OTC e nel 2004 General Manager OTC. Agli inizi del 2006 entra in Zambon Pharma: è Worldwide General Manager e membro del CdA, oltre che Amministratore Delegato di Zambon Italia. Dal 2009 intraprende un percorso indipendente di consulenza in materia di Corporate & Business Strategy nei settori Heathcare e Well-being, lavorando per diverse aziende farmaceutiche, cosmetiche, biotech e agenzie di comunicazione nazionali che internazionali. Da 7 anni in Allianz Partners, lo scorso 21 maggio Paola Corna Pellegrini ha ricevuto il Premio Internazionale #Tecnovisionarie 2018, per la categoria “Digital Customer Experience”. In particolare l’associazione promotrice del premio, Women&Tech-Associazione Donne e Tecnologie, nata nel 2009 da un’idea di Gianna Martinengo, ha individuato tra le iniziative più rilevanti lo sviluppo dell’InnovationLab@AllianzPartners: un progetto che, grazie al continuo dialogo tra azienda e università, ha saputo arricchire i servizi digitali di Allianz Partners migliorando l’user experience anche delle nuove generazioni. Partiamo proprio da qui nell’intervista di EconomyUp a Paola Corna Pellegrini.

Paola Corna Pellegrini
Come è nato l’InnovationLab@AllianzPartners?

La cultura dell’innovazione va coltivata a lungo e con tenacia su molti fronti. Lo facciamo sia a livello di Gruppo, grazie ai nostri Innovation Center dedicati alle nostre aree di business automotive, salute, viaggi e assistenza. Ma lo abbiamo fatto anche localmente quando abbiamo dato vita all’InnovationLab@AllianzPartners. Abbiamo quindi creato un brand, un team interfunzionale composto da tutte le funzioni aziendali e abbiamo portato al nostro interno l’esperienza del mondo accademico. Così, nel 2014, è nata la partnership con la Facoltà di Ingegneria dell’Università La Sapienza di Roma. Un centro di ricerca avanzato: hanno sviluppato droni, stanno lavorando sulla sensoristica e su soluzioni telematiche per veicoli con aziende dell’automotive e dell’accessoristica per auto.

Come è strutturato il team dell’InnovationLab@AllianzPartners?

Io sono, diciamo, lo sponsor dell’Innovation Lab, il direttore marketing è il project leader e nel team digitale figurano uno o più rappresentanti per ogni funzione aziendale, identificati anche in base alle attitudini tecnologiche. Con loro un paio di studenti e alcuni docenti de La Sapienza, tra cui il nostro referente prof. Calcaterra.  Il team si riunisce periodicamente, in media una volta al mese, nella nostra sede di Milano. L’obiettivo è presentare al Comitato esecutivo le soluzioni tecnologiche identificate relative a un tema che rinnoviamo ogni anno. Il Comitato le valuta e identifica quelle sulle quali è opportuno concentrarsi.

Quali temi avete approfondito?

Abbiamo lavorato in modo molto aperto e incentivato il processo creativo dei partecipanti allo scopo di individuare bisogni degli utenti non ancora coperti da soluzioni: ne sono venuti fuori output su un nuovo approccio alla mobilità. Ma abbiamo anche lavorato su target specifici identificati dai nostri assicuratori: donne, famiglie, anziani. Gli anziani, in particolare, sono un target emergente, che ha sempre più bisogno di protezione. La tecnologia può offrire un importante contributo, per esempio una centrale operativa può farsi carico di ricordare all’anziano le terapie da eseguire, o essere a disposizione per dubbi o emergenze. Il terzo anno abbiamo sviluppato il tema delle coperture assicurative per i nuovi servizi per il viaggiatore.

Risultati concreti scaturiti dall’attività dell’InnovationLab?

Le soluzioni che ricerchiamo sono così innovative che richiedono tempo per essere identificate. Abbiamo una serie di novità, che sarà nostra cura comunicarvi non appena saremo pronti al lancio.

L’OPEN INNOVATION DI ALLIANZ PARTNERS

Oltre all’Innovation Lab, quali sono le altre strategie di open innovation di Allianz Partners?

Come Gruppo ogni anno organizziamo un hackathon per identificare soluzioni tecnologiche e digitali di supporto all’assistenza assicurativa. Lo facciamo in vari Paesi del mondo, Italia compresa. Ne possono derivare collaborazioni ad hoc con realtà impegnate in temi specifici. Siamo anche attenti al mondo delle startup, motivo per cui sono spesso coinvolta in tavoli di lavoro finalizzati proprio a valutare soluzioni interessanti e disruptive che possano portare valore aggiunto ai nostri clienti.

La tecnologia renderà inutile l’intervento umano nel settore assicurativo?

La tecnologia è un potente abilitatore e ha tutto il potenziale per offrire risposte ai bisogni del cliente. Non la vedo come una minaccia, se per minaccia si intende la disintermediazione che comporta la Digital Transformation. Negli Usa sta già emergendo il trend per cui, in ultima analisi, il contatto umano viene sempre privilegiato dall’utente. Noi offriamo assistenza a persone in momenti di difficoltà, che in quelle circostanze non sono inclini a un uso disinvolto o lucido di applicazioni tecnologiche. Certo, vogliamo che le nostre app siano user friendly. MyTravelApp, per esempio, che offre supporto ai nostri clienti viaggiatori in tutto il mondo, è molto vicina alle esigenze del cliente: lo geolocalizza e lui, con un solo touch, può richiedere assistenza operativa ovunque si trovi. Però alla fine l’utente ha bisogno di sentirsi rassicurato.

Come cambierà il lavoro dei vostri dipendenti con la Digital Transformation?

Cambierà il profilo del lavoratore. Dovrà essere sensibile, empatico, andare oltre la “scheda cliente”, con un livello di preparazione che non sia più soltanto tecnico-operativo. Serviranno insomma le soft skills. Il fatto è che ancora oggi non abbiamo chiaro quali saranno le nuove professioni e non riusciamo a identificare le competenze che saranno richieste. Anzi, paradossalmente sappiamo quali skills serviranno per le nuove tecnologie come AI, Internet of Things o Machine Learning, ma non abbiamo chiarezza su come coniugarle con le soft skills. In realtà l’obsolescenza della conoscenza tecnica è così rapida che è più importante imparare ad apprendere e a capire i bisogni futuri. Imparare il coding va bene, ma serve anche apertura mentale e capacità di adattamento. Io, per esempio, ho fatto il liceo classico, poi all’università mi sono iscritta a Matematica: il primo anno è stata dura, ma il pensiero analitico applicato all’analisi dei testi in latino mi ha consentito di colmare il divario. Serve multidisciplinarietà. Ricordiamoci che Sergio Marchionne aveva tre lauree: filosofia, economia e giurisprudenza. Mi è dispiaciuto molto che ci abbia lasciati così presto: ha dato tanto e avrebbe potuto ancora dare tantissimo, soprattutto ai più giovani. Sono certa che una persona come lui si sarebbe orientato verso il “give back”, il restituire agli altri in forma gratuita quanto si è ricevuto nel corso della vita e della carriera.

Come approcciarsi ai mutamenti causati dalla trasformazione digitale nel mondo del lavoro?

Occorre essere aperti, ma avere anche volontà di consolidare: il tocca e fuggi è pericoloso. Per questo quando vedo curricula di giovani aspiranti  lavoratori che hanno già cambiato diversi posti chiedo loro perché l’hanno fatto. D’altra parte occorre anche essere non stanziali, disposti alla mobilità. Molti giovani vanno a lavorare all’estero, ma per l’Italia è una perdita di opportunità. Per questo, con il Forum della Meritocrazia, siamo riusciti a sostenere una legge che prevede agevolazioni per chi rientra dall’estero. Quello che non vedo è un investimento serio sui giovani per offrire loro occupazioni adeguate e non sottopagate. Stiamo bruciando una o più generazioni.

Aiuterà l’introduzione del reddito di cittadinanza?

È un provvedimento sbagliato perché non incentiva le persone a farsi parte attiva nel recuperare competenze o nel darsi all’imprenditorialità. La maggior parte degli italiani vuole un posto fisso, è un fatto. Bisognerebbe sviluppare la cultura imprenditoriale fatta di competenze, voglia di mettersi in gioco e rischiare, aiutando le persone a pensare in positivo, a fare networking, ad aderire a progetti di co-working.

SMART WORKING E TELELAVORO

In Allianz Partners avete 10 operatori con disabilità visiva che lavorano con supporto tecnologico. Ci racconta il progetto?

Si chiama MyLight ed è già sviluppato in Brasile dal Gruppo Allianz Partners Brasile, per l’Europa è stato deciso di sperimentarlo in Italia. I nostri dipendenti non vedenti fanno riferimento a un software che li aiuta a gestire l’assistenza al cliente come gli altri colleghi normo-dotati. Non diamo loro un lavoro di ripiego, ma un posto vero per cui è richiesta la medesima efficienza degli altri. In partnership con l’Istituto dei Ciechi di Milano abbiamo lavorato sul percorso che ci ha permesso di individuare 10 persone di grande valore. Ora vorremmo aiutarli anche nel percorso casa-lavoro. E puntiamo a introdurne alcuni nell’Innovation Lab.

Siete favorevoli al telelavoro e altre forme di flessibilità?

Va cambiato il modo di valutare le persone, non bisogna più guardare alla quantità di ore lavorate. In questo caso la tecnologia funziona in modo eccellente, consente di tenersi in contatto lavorando da remoto, di sviluppare il telelavoro. In Allianz Partners stiamo lavorando sul telelavoro soprattutto per le funzioni di middle management, di ufficio e di back office. Per il front office si fa più fatica, si deve essere in postazione, ci sono turni precisi, forniamo un servizio 24 ore su 24. Inoltre promuoviamo il congedo parentale anche da parte dei padri. In azienda abbiamo avuto periodi di alternanza padre-madre per seguire i figli nell’inserimento all’asilo.

AZIENDE E GENDER GAP

Eppure il gender gap nelle aziende è ancora un problema.

È vero, lo dicono i numeri: le Chief Executive Officer sono meno del 10%, le posizioni executive sono al 19%. Passi avanti a livello di board sono stati fatti con la legge Golfo-Mosca del 2011, in base alla quale gli organi sociali delle società quotate devono essere rinnovati riservando una quota pari ad almeno un quinto dei propri membri alle donne. Ma la legge è in scadenza e il rinnovo potrebbe porre un tema di costituzionalità. Si deve pensare a qualcosa di dirompente, a far penetrare la questione nel Dna delle aziende per fare in modo che la presenza femminile a vari livelli diventi parte integrante della cultura aziendale. In Allianz Partners abbiamo il 40% delle donne dirigenti e il 44% top manager.

Pensa che l’Italia stia cogliendo tutte le opportunità offerte dalla trasformazione digitale?

L’Italia resta un Paese a due velocità, anzi a molte velocità: Nord, Sud, Milano, le operose cittadine del Nord e del Nordest…Abbiamo dimostrato di avere grandi competenze e grandi talenti, non solo nell’arte e nella cultura, ma anche talenti scientifici e manageriali. Purtroppo l’apparato burocratico impedisce ogni sviluppo e i tempi della giustizia estremamente lenti fanno perdere la volontà di investire. Le nuove norme introdotte da questo governo a mio parere contribuiranno a irrigidire il mercato del lavoro. Con il Jobs Act abbiamo creato posti di lavoro, non possiamo tornare indietro. D’altra parte noi italiani siamo resilienti, caparbi e abbiamo imprenditori e imprese encomiabili per dedizione ed eccellenza, non solo nel manifatturiero o nella moda: penso a marchi come Ferrari o Lamborghini nell’automotive. Poi abbiamo cibo, vini, patrimonio artistico…Il mio sogno sarebbe lavorare come brand manager del brand Italia. C’è un valore inespresso che va valorizzato. Penso a Milano, che dopo l’Expo ha avuto il 40% di arrivi in più. Non è la più bella città d’Italia, ma sta valorizzando quello che ha con sapienza e visione.

INNOVARE IN AZIENDA È…CERCARE LA FELICITÀ!

L’azienda ideale?

Quella dominata dal pensiero positivo. Il mio obiettivo è far sì che i miei collaboratori entrino con il sorriso in ufficio e addirittura si divertano. Per questo in Allianz Partners abbiamo avuto il coraggio di parlare di felicità e pensiero positivo, e abbiamo proposto, in occasione della nostra convention annuale, l’intervento di un ospite speciale, che ama definirsi un “giullare d’impresa FelicitAttore”. In pratica un Trainer del Buon Umore.  L’autosoddisfazione e l’autorealizzazione fanno diventare migliori le persone, nel lavoro come nella vita.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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