Scenari economici

Niente Brexit, siamo inglesi: perché al Regno Unito non conviene lasciare la Ue

Il 23 giugno i sudditi di Sua Maestà votano per la permanenza o meno nell’Unione europea. Ci sono almeno due ragioni per cui il voto sarà probabilmente contrario: il timore del cambiamento farà premio sugli istinti primordiali di isolamento e i conti dicono che abbandonare Bruxelles è controproducente

Pubblicato il 28 Apr 2016

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Preistoria
Correva l’anno 1973, e Danimarca, Irlanda e Regno Unito diventavano membri della Comunità economica europea (Cee, che non c’è più dal 31 dicembre 1992, ma bisogna dirlo perché molti non se ne sono ancora accorti). Soltanto due anni dopo la Gran Bretagna teneva il suo primo referendum di verifica sulla voglia di quel popolo di restare o meno nella Cee. La storia si ripete. Allora, ci ricorda Gavin Davies, che c’era, il quadro era ben diverso: esistevano le élite politiche, il popolino obbediva (‘egemonia’, direbbe Gramsci in tono più nobile)… e il risultato del referendum fu che due terzi dei votanti si espressero a favore dello status quo.

Questa breve premessa per dire due cose: che i britannici hanno sempre pensato che le tempeste sul canale della Manica isolano l’Europa, non loro; e che stavolta il clamore è tanto perché non ci sono più le élite politiche di un tempo. Ma la ciccia è la stessa, sostengo io, e il risultato del referendum pure. Come lo so? Perché il popolo votante è conservatore, perché il cambiamento lo impaurisce.

Esistono, credo, tre sole prospettive per pensare a questo problema: quella dei deboli di testa e di cuore, quella teorica, e quella operativa.

Prospettiva inaccettabile. Sento circolare idiozie notevoli da entrambi i lati della Manica. Da qui, sento dire “ma sì, che se ne vadano, non ne abbiamo bisogno, chi credono di essere, si stava meglio prima che entrassero”. Da lì sento dire che “la cultura continentale non è adatta al popolo britannico, ci riempiranno di immigrati che sfrutteranno il sistema sanitario nazionale, ci ruberanno posti di lavoro…”. Idiozie infantili di coloro che, deboli di cuore e di testa, cercano sempre il meno complesso, il più piccolo, l’isolamento e l’isolazionismo, l’esaltazione di quel particulare che è la sola dimensione che concepiscono e che non li spaventa.

La prospettiva teorica. Qui entriamo nel regno della ragione. La modellazione che gli economisti usano per ragionare su queste cose ha un nome: accordi commerciali regionali. Vero, l’Ue non è più da decenni un banale ‘accordo commerciale regionale’, ma la posizione di quei Paesi che non sono entrati a far parte dell’Unione economica e monetaria (Uem, la cosiddetta area euro) assomiglia ancora molto a quella condizione. Dal 1968 i Paesi membri (della Cee prima, e poi dell’Ue), non posseggono indipendenza nello stabilire le proprie politiche commerciali, che vengono stabilite, fin dal 1968 appunto, dal Consiglio dei capi di Stato e di Governo dell’Ue, non più dai singoli governi nazionali. Quali sarebbero i vantaggi per un Paese che, membro dell’Ue, ne uscisse? Quali vantaggi commerciali potrebbe riconquistare con l’isolamento?

La risposta che, in pochi giorni, è diventata la risposta standard al quesito, sta in un ponderoso studio del Tesoro Britannico che esamina la questione dei vantaggi e degli svantaggi che un’uscita sancita il 23 giugno potrebbe portare. La conclusione sintetica dello studio del Tesoro è riportata nell’Executive Summary.

Esso prende le mosse da un documento del governo, Alternatives to membership: possible models for the United Kingdom outside the European Union. Le tre possibili alternative alla permanenza sono:

§ Richiesta di passaggio alla European economic area (Eea), associazione con la Ue cui appartiene, tra altri, la Norvegia;

§ Un accordo bilaterale ad hoc del tipo di quelli che esistono tra la Ue e Svizzera, Turchia e Canada;

§ Appartenenza all’Organizzazione Mondiale del Commercio (Omc) ma senza alcuna forma di accordo con l’Ue. Sono in questa condizione, ad esempio, Brasile e Russia.

Cito testualmente il testo con cui il Rapporto sintetizza risultati e raccomandazioni:

L’analisi riportata in questo documento mostra che il grado di apertura e di interconnessione del Regno Unito si ridurrebbero sotto tutti e tre gli scenari ipotizzati. Lo stesso avverrebbe per i flussi di commercio internazionale e investimenti diretti. Il Regno Unito sarebbe permanentemente più povero sotto tutte e tre le alternative ipotizzate. Produttività e Pil pro capite sarebbero minori, dato che i vantaggi derivanti dall’uscita non compenserebbero in una proporzione accettabile i costi ad essa associati. Le stime centrali […] prodotte per la perdita di reddito annuo dopo 15 anni dall’uscita sono, per famiglia, rispettivamente:

• £2.600/anno nel caso di adesione alla Eea
• £4.300/anno nel caso venga contrattato un accordo bilaterale
• £5.200/anno nel caso di adesione al’Omc senza ulteriori accordi diretti con la Ue.

Non basta? Se poteste votare sulla questione, e se siete degli austeri (improbabile, se state leggendo queste righe) certo vorreste l’uscita dall’Ue perché Bruxelles ladrona impone costi inaccettabili e voi pagate invece tante tasse all’Ue, giusto? Beh, eccovi serviti:

L’impatto negativo [dell’uscita dall’Ue] sul Pil produrrebbe a sua volta una caduta del gettito. Tale caduta sarebbe significativamente più sostanziale del risparmio che si otterrebbe dalla eliminazione dei contributi finanziari all’Unione. L’implicazione è che dovrebbero crescere disavanzo e indebitamento, da cui la necessità di aumenti di prelievo sostanziali e/o tagli altrettanto sostanziali della spesa pubblica. Nell’arco di 15 anni, sempre tenendo conto del risparmio ottenuto dal mancato versamento di contributi all’Ue, il gettito sarebbe di 20 miliardi di sterline l’anno inferiore nel caso di adesione all’Eea, di 36 miliardi di sterline l’anno nel caso di un accordo bilaterale, e di 45 milardi l’anno nel caso di adesione all’Omc senza alcun accordo commerciale ulteriore con l’Ue.

A queste stime, su cui torneremo nelle prossime settimane, i ‘brexiter’, quelli che vogliono uscire, rispondono che sono numeri fatti circolare ad arte per impaurire gli elettori.

La prospettiva operativa. Semplice: chi pensa che il meccanismo di ri-contrattazione di un accordo commerciale dopo l’uscita sia un processo rapido e indolore, pensa male. Anche se il clima dovesse essere amichevole e quelle del signor Schauble dovessero essere solo battute fuori luogo (immaginare, prego!), il processo sarà assai lungo, costoso, e divisivo.

Noi siamo contrari ad iniziative che dividono ciò che è costato tanto riunire. E siamo convinti che nei prossimi due mesi assisteremo a tanto furor, per nulla. Ricordate gli scozzesi e il loro referendum?

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