L'INTERVISTA

Il guru della leadership Marty Linsky: “Ecco come affrontare le difficoltà del cambiamento”

“Un leader deve porre domande scomode e arrecare disturbo, ma a un livello tollerabile dal sistema” dice a EconomyUp il docente di Harvard che ha scritto un libro sulla leadership adattiva, quella in grado di portare le persone fuori dalla loro comfort zone. E cita aziende e manager. Oltre a dire la sua sull’Italia…

Pubblicato il 20 Ago 2018

Marty Linsky

“Non è vero che la gente resiste al cambiamento. La gente non è stupida e, quando il cambiamento le sembra conveniente, lo accoglie molto volentieri. Ciò a cui la gente oppone resistenza non è il cambiamento di per sé, ma la perdita. Per questo una competenza vitale per esercitare la leadership in azienda è imparare a capire quali perdite potrebbero essere arrecate” A dirlo è Marty Linsky, uno degli esperti mondiali di Leaderhsip. Statunitense, docente alla John F. Kennedy School di Harvard dal 1982, Linsky ha avuto una pausa politica quando, dal 1992 al 1995, è stato segretario personale del Governatore dello Stato del Massachsetts, William Weld, repubblicano “libertariano”. EconomyUp ha intervistato Marty Linsky in occasione del tour italiano di presentazione della traduzione italiana di un suo saggio, “La pratica della leadership adattiva” scritto con Ronald Heifetz e Alexander Grashow (FrancoAngeli editore). Un volume rivolto ai leader (o agli aspiranti tali) di aziende, organizzazioni o comunità per aiutarli a rafforzare le loro capacità di guida in un mondo in continuo cambiamento ed evoluzione. Si chiama, appunto, leadership adattiva: un tipo di comportamento in grado di portare le persone al di fuori delle loro zone di comfort e affrontare le sfide più difficili. “Quando si è in una posizione di autorità – dice Linsky – si subiscono molte pressioni da parte del gruppo di cui si è parte. Tutti aspiriamo a essere visti come competenti, quasi eroici, nel risolvere i problemi. Se invece ci permettiamo di porre domande scomode, veniamo normalmente emarginati. La leadership, però, ci richiede di essere capaci di sopportare le ostilità da parte del gruppo su cui cerchiamo di intervenire e di rimanere connessi con i nostri obiettivi. Lesercizio della leadership implica arrecare disturbo, ma a un livello che sia tollerabile dal sistema“.

Marty Linsky
Quali sono i settori industriali più “adattivi” e quali quelli più resistenti al cambiamento?

Gli esempi sono vari. Penso al mondo della ristorazione: le persone vanno al ristorante perché amano la relazione e l’ospitalità, ma questi luoghi stanno diventando sempre più impersonali attraverso gli acquisti online, il food delivery o la possibilità di ordinare in anticipo e passare a ritirare in un secondo momento. Ma è difficile trovare lo stesso livello di soddisfazione nell’online rispetto al rapporto personale. Anche se c’è una crescita dell’e-commerce nel food, molti preferiscono l’esperienza. Accade qualcosa di simile nel cinema: la diffusione dei tv movie ha avuto un enorme impatto su molte sale cinematografiche. Guardare un film al cinema è naturalmente un  tipo diverso di esperienza, eppure un’industria molto potente come quella cinematografica sta lottando per tenere il passo con i cambiamenti. Per questo le sale cinematografiche negli Usa (e penso sia così anche in Italia) si stanno dotando di poltrone sempre più comode, stanno aprendo spazi per vendita di cibo e bevande ecc. ecc. Un altro caso di digital disruption sta avvenendo nel mondo dei taxi. Negli Usa, per un tassista, è quasi impossibile competere con le tariffe di Uber e Lyft. I taxi cercano di gareggiare sul campo della sicurezza, ma non è che Uber e Lyft siano molto più insicuri. A New York io ancora prendo i taxi tradizionali ma solo per simpatia umana. Penso che il loro business andrà avanti ancora per un po’, protetto dai politici che, per lavoro, devono proteggere lo status quo. So che in Italia Uber è stata dichiarata illegale, ma credo che prima o poi qualcosa cambierà anche nel vostro Paese.

Qualche esempio di azienda che ha gestito male la trasformazione e di chi invece ha saputo fronteggiarla?

Una grande azienda farmaceutica, di cui purtroppo non posso fare il nome perché è un cliente, ha licenziato 52mila persone per email in un solo fine settimana. Tutti sapevano che sarebbero successo ma, trattando così crudelmente i dipendenti, l’azienda ha perso il rapporto di fiducia non solo con loro, ma anche con i loro amici e colleghi. In pratica ha rovinato le relazioni con le persone. È una questione morale, ma anche tattica. Quanto invece a buoni esempi di aziende con leadership adattiva, possono citare alcune organizzazioni di HR con cui ho lavorato, che invece di lasciar andare i dipendenti impiegano molto tempo nell’aiutarli a trovare un nuovo lavoro. Di solito gli avvocati consigliano di non farlo, e magari è un buon consiglio dal punto di vista legale, eppure è un gesto positivo dal punto di vista della culturale aziendale.

Quanto è utile il reskilling per aiutare i dipendenti che rischiano di uscire dal mercato del lavoro?

È una buona tattica, ma fa un grande differenza se hai 20-30 anni o se ne hai 50-60. Il mio dentista mi ha detto che andrà in pensione perché non è più capace (o non ha intenzione) di adattarsi a un modo diverso di curare i denti. Non so se, accettando di riadattarsi, sarebbe felice. Per alcuni il reskilling è utile, altri non ce la faranno.

E cosa si può fare per gli over 50 disoccupati?

Diciamo che il reskilling è utile se è customizzato. Guardiamo al retail, un settore che richiede sempre più customizzazione. Così deve essere il reskilling: invece di trattare tutti come se fossero uguali, occorre procedere in modo diverso per ogni persona. È relativamente facile per un’azienda dire ai dipendenti: questo è il programma, lo dovete seguire altrimenti siete fuori. Le persone non sono un blob, una massa unica, perciò ogni soluzione deve essere accuratamente sintonizzata sui suoi valori e sulle sue opzioni. Quando ero segretario personale del Governatore del Massachusetts dovevo assumere e licenziare: lì ho imparato che, se parli con le persone delle loro paure e speranze, puoi trovare diversi modi di aiutarle. È accaduto a un’azienda manifatturiera mia cliente: un dipendente non aveva più le skills necessarie e ha dovuto lasciare. Ma ha espresso il desiderio di diventare insegnante, perciò abbiamo cercato il modo di supportarlo per garantirgli un anno di formazione per docenti. Ma il reskilling ‘customizzato’ può prevedere anche altro: pensione, volontariato, pensione anticipata.

Un esempio di leader adattivo?

Jeffrey Robert Immelt, ex presidente del board di General Electric. È un leader adattivo perché ha voluto introdurre una profonda trasformazione in azienda, sapendo che doveva fare dei cambiamenti ma senza essere al 100% sicuro che avrebbero funzionato. Sotto di lui per la prima volta in 50 anni la General Electric non pagò il dividendo agli azionisti: quello stesso giorno Immelt investì 250mila dollari in azioni dell’azienda. È stato un messaggio potente, significava che aveva la volontà di assumersi dei rischi. Lo definisco “modelling the behaviour”. Spesso le persone sono in ansia e preoccupate per il loro futuro, ma se sentono che qualcuno è dalla loro parte riemerge in loro il conforto e la speranza.

Ritiene che l’open innovation sia uno strumento utile per gestire la trasformazione digitale?

Troppe società dicono di voler favorire l’innovazione, ma in realtà la favoriscono solo quando funziona. L’innovazione è per sua natura un’impresa sperimentale, si deve poter sbagliare e l’errore sarà un’esperienza di apprendimento. Le aziende che rispetto di più sono quelle che fanno innovazione quando non funziona. C’è per esempio una banca internazionale dove il Ceo ha riunito tutti i dipendenti che hanno commesso errori di innovazione e li ha mandati in giro per il mondo a spiegare al resto dell’organizzazione come ci si assume dei rischi e cosa hanno imparato dagli errori. In questo modo ha ricompensato le persone che hanno rischiato ed ha usato l’esperienza negativa per generare esperienze positive.

Lei senz’altro conosce le teorie di John Kotter su come guidare il cambiamento. In cosa si diversifica dalla sua teoria sulla leadership adattativa?

Ho lavorato con Kotter e ho enorme rispetto per il suo lavoro, ma penso che non presti attenzione alle perdite, ovvero alla teoria in base alla quale il cambiamento comporta perdite che devono essere affrontate e gestite. Kotter ha un approccio più tecnico e più ottimista che funziona molto bene, ma che potrebbe essere arricchito se impiegasse più tempo a pensare quali sono le ragioni umane e psicologiche per cui la leadership non si verifica molto spesso e spesso non ha successo. Questo mio libro, e il libro precedente, sono stati un tentativo di capire perché le persone che cercano di fare la cosa giusta incontrano un sacco di problemi così spesso. Io e gli altri autori volevano far cogliere il “lato perspiration” della questione, il sudore e la fatica, non solo il lato “inspiration”, la parte ispirazionale.

Le aziende hanno capito l’importanza della “perspiration”?

Personalmente abbiamo rilevato che alcune società di consulenza, penso a società come Deloitte, sono molto brave ad analizzare i problemi e a fornire soluzioni tecniche, ma non sono così efficaci nell’aiutare le organizzazioni con le questioni ‘politiche’ che riguardano l’implementazione delle loro raccomandazioni.  È un  lavoro completamente differente, del resto.

In questo momento negli Usa l’economia è ai massimi livelli. Il fenomeno è stato favorito dall’emergere di una leadership sempre più adattiva?

L’amministrazione Trump ha fatto capire alle aziende che farà tutto quello che è in suo potere, sia per quanto riguarda il taglio delle tasse sia sulla deregulation, per supportarne la crescita. Ma mi sembra una politica economica di breve respiro e potrebbe accentuare il divario tra i redditi. A un certo punto questo potrebbe diventare politicamente intollerabile.

E cosa ne pensa della situazione in Italia? Secondo lei è un Paese che sta innovando politicamente ed economicamente?

Negli Usa arrivano poche notizie sull’Italia, di solito solo quelle più brutte. Da quanto ho potuto leggere, i 5 Stelle e la Lega dicono di essere più interessati a restare “puri” invece che a governare. Sarà interessante vedere cosa succede quando dovranno scendere a compromessi. Certamente le politiche migratorie hanno avuto un effetto disruptive sull’Italia. Non voglio dire se siano giuste o sbagliate, ma devo rilevare che l’Italia si è dovuta far carico dell’immigrazione in ambito UE e questo ha avuto un effetto pesante sul Paese. Le questioni che richiedono molto “adattatività” sono anche le stesse che esigono tempo ed esperienza. Se uno ha un problema tecnico, chiama un tecnico. Per l’immigrazione non esiste una soluzione tecnica, abbiamo teoricamente molte soluzioni possibili. Il linguaggio della sperimentazione è molto duro da accettare, specialmente per le persone sopra una certa età. Bisogna avere il coraggio di dire alla gente: non sappiamo cosa fare, ma faremo un sacco di esperimenti per trovare la strada giusta. Per questo la leadership è così difficile da esercitare.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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