Da qualche parte ho letto che se puoi pensare una cosa, se riesci a immaginarla, allora la puoi anche realizzare. Ho sempre pensato che fosse una buona traduzione del “volli, volli, fortissimamente volli” di Vittorio Alfieri e che, al tempo stesso, anche il “volli” debba fare i conti con i limiti che la realtà ci impone, volenti o nolenti.
In Italia, c’è qualcuno che un giorno ha pensato che anche una persona sordocieca potesse (dovesse?!) parlare liberamente al telefono. Se lo puoi immaginare, lo puoi anche realizzare. Specialmente se si è un gruppo di persone appassionate di tecnologia, con alle spalle diversi anni di ricerca in settori come robotica, scienze informatiche e tecnologie assistive, guidati a partire dal 2011 dal professor Carlo Geraci, linguista del Politecnico di Torino. Così è nata Looqui, startup italiana fondata nel 2015, che ha di fatto realizzato un “telefono” per sordociechi.
La sordocecità è una grave disabilità multisensoriale, che porta alla perdita sia della vista che dell’udito. Nella maggior parte dei casi, la persona diventa sorda alcuni anni prima di perdere anche la vista. Quindi dapprima impara a comunicare con il linguaggio dei segni, poi continua a comunicare tramite il linguaggio tattile dei segni. Ciò comporta la necessità di doversi trovare fisicamente nello stesso posto, per poter comunicare con il proprio interlocutore.
Prima al mondo, Looqui ha sviluppato una tecnologia in grado di trasmettere informazioni in linguaggio tattile, rendendo possibile la comunicazione a distanza per i sordociechi. Funziona così: davanti a una videocamera una persona comunica a gesti; questi vengono “visti” e riprodotti da una mano robotica collocata accanto alla persona sordocieca che deve ricevere il messaggio. La persona tocca la mano robotica, riconosce i segni e dunque può dialogare a distanza.
Grazie anche al programma di Tim Working Capital, Looqui ha avuto la possibilità di continuare a lavorare alla evoluzione del prototipo. Inoltre la mano robotica è stata da loro realizzata con una stampante 3D, così da produrre la protesi con un costo relativamente basso, grazie alla onlus Open Biomedical Initiative che realizza tecnologie bimedicali a basso costo, open source e stampabile in 3D. Tutti insieme, per realizzare ciò che si può immaginare. Anche se sembra non solo irrealizzabile ma anche inimmaginabile.