Scenari economici

La Fed alza i tassi: servirà? Non molto, e gli effetti saranno lenti

La decisione della banca centrale americana di innalzare il tasso di sconto produrrà effetti sui tassi di mercato e sui rendimenti dei titoli a breve. Ma un risultato già evidente è il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro

Pubblicato il 17 Dic 2015

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Janet Yellen, presidente della Federal Reserve

Tanto tuonò, che piovve, dice il proverbio. E la Fed ha deciso quel che ormai tutti, da mesi se non da anni, si attendevano: l’innalzamento dei tassi. E adesso? È davvero finita un’epoca? Possiamo fare previsioni su come sarà la nuova?



Per cominciare, non è vero che la Fed ha alzato i tassi (come vedo scritto e sento dire). È vero che ha alzato il tasso di sconto, cioè quel tasso a cui sconta i titoli che le banche commerciali le danno in deposito in cambio di liquidità. Il tasso di sconto era stato per decenni lo strumento di politica monetaria più potente in mano a una banca centrale, quello che essa alzava quando credeva che l’economia stesse avvicinandosi alla piena occupazione e le pressioni inflazionistiche in aumento, e che abbassava quando immaginava che il livello dell’attività produttiva e dell’occupazione fossero bassi o, in generale, potessero far prevedere un avvicinamento alla stagnazione economica. Poi, con l’avvento della crisi del credito nel 2007 e, appunto, con l’intenzione di cercare di prevenire una recessione (che non prevenne), ridusse il tasso di sconto fino a zero. Era il 2008.



Da allora il tasso di sconto è rimasto a zero. Le espansioni monetarie, che nella testa dei banchieri centrali e in quella di chi pensa che le imprese prendono a prestito perché i tassi sono bassi e non perché hanno aspettative di domanda crescente per i beni e i servizi che producono, sono state condotte attraverso il cosiddetto Quantitative Easing, cioè, ricordiamo, l’acquisto di buoni del tesoro, derivati e immondizia finanziaria varia di cui erano (e sono) ben dotati i bilanci delle banche commerciali. Dal 2008 il tasso di sconto non è più esistito come strumento di politica economica, e la Fed ha lavorato attraverso il QE quintuplicando il proprio bilancio – cioè quintuplicando la quantità di moneta in circolazione.



Ha fatto bene, ha fatto male? Non importa, ne parleremo. Qui e ora interessa mettere in evidenza due fatti: uno, che quella del 16 dicembre 2015 è stata la prima azione della Fed sul tasso di sconto dopo sette anni; due, che essa è stata la prima azione di rialzo del tasso di sconto dopo nove.



Uno. La prima azione sul tasso di sconto dal 2008. Beh, sì, inutile tergiversare, questa azione segna un cambio epocale. Era stato un cambio epocale vedere la Fed passare dalla manovra del tasso di sconto all’acquisto di titoli per tentare di influenzare il mercato, ed è un cambio epocale vederla tornare agli antichi strumenti. Con una differenza importante: che ora essa sa che può usare, se dovesse ritenerlo opportuno, una mistura di azioni sul tasso di sconto e QE. Cioè può cercare di muovere l’economia con un numero più vasto di strumenti, e con un’esperienza settennale sulla gestione e gli effetti dei QE che prima non aveva. [Nota personale: rimane sempre il fatto che occorre crederci, al fatto che la politica monetaria sia utile per il controllo del ciclo economico, cosa in cui io non credo. Ma questa è un’altra storia].



Due. Il primo rialzo del tasso di sconto dal 2006. L’operazione sul tasso decisa il 16 dicembre 2015 è poi unica perché è la prima volta che la Fed rialza il tasso di sconto dopo averlo tenuto a zero per sette anni. Caspita, viene da chiedersi, ma supponiamo di pensarla come la Fed, e cioè che il tasso di sconto vada ridotto quando si vuole stimolare l’economia, e aumentato quando la si vuole ‘raffreddare’. Era da raffeddare questa economia? Vero, il 5% di disoccupazione Usa è la metà di quello europeo, ma quello europeo è stato ed è voluto da 18 governi dell’area euro (eccezione quello greco, che la subisce per non vedere il paese con le reni spezzate). Ma è un tasso ‘di piena occupazione’? Voglio dire, è un tasso che lascia presagire un eccesso di domanda di lavoro a breve, con conseguente aumento delle richieste salariali e, sempre pensando come la Fed, dell’inflazione? Ovviamente, la destra risponderà in maniera positiva, la sinistra in maniera negativa. In altre parole: la sinistra non voleva un rialzo del tasso di sconto, la destra sì. Che la decisione piaccia o meno (a me non piace), è fatta. Tasso di sconto di nuovo significativamente diverso da zero.



E allora? Cosa ci aspetta? Beh, pur fuori controllo come è la finanza, ci si può aspettare che i tassi di mercato piano piano cominceranno a salire e, in particolare, cominceranno a risalire i rendimenti dei titoli del debito pubblico che, si ricorderà, erano diventati negativi per i titoli di molti governi. Alle 11 circa di giovedi 17 dicembre faccio un controllo e vedo che il rendimento del decennale statunitense è sostanzialmente immutato, mentre quello del biennale è ben sopra la media dell’ultimo mese. Giusto, quello che ci si doveva aspettare, il titolo a scadenza lunga reagisce poco o niente, quello a scadenza corta sì, e nella direzione giusta.



Fine dei rendimenti negativi, dunque, poiché il graduale aumento dei rendimenti sul governo Usa drenerà liquidità da altri paesi e anche i governi di questi dovranno cominciare a sborsare rendimenti positivi? Si, ma non domattina. Forse si è invertito un ciclo, ma nessuno ne è ancora certo e nessuno può predire la velocità a cui i rendimenti torneranno significativamente diversi da zero. Intanto, quanto meno, registriamo la soddisfazione delle società di assicurazione e dei fondi pensione, che amano il rendimento ‘sicuro’ per quanto basso (ma non a zero!).



Infine: e il cambio? Esattamente quello che mi aspettavo: controllo attorno alle 11: di giovedi 17 e vedo che il dollaro Usa si sta apprezzando sull’’euro: mercoledi 16, prima della comunicazione della decisione, era inchiodato a $1,094 per 1€; ora servono solo $1,084 per 1€. Aspetto negativo di questo deprezzamentino dell’Euro? Che mi toccherà sentire daccapo il chiacchiericcio insulso ed ignorante sul rilancio delle esportazioni italiane.

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