Tassi di interesse negativi. Ne abbiamo scritto a maggio, quando il fenomeno venne all’attenzione del grande pubblico. È ora di tornarci sopra, perché il 3 dicembre prossimo il consiglio direttivo della BCE prenderà decisioni di politica monetaria potenzialmente importanti tra le quali, alcuni immaginano, quella di ridurre ulteriormente il tasso di interesse che paga sui depositi, tasso già ora negativo. Siccome poi queste decisioni condizioneranno, esplicitamente o meno, le decisioni che la FED prenderà il 16 dicembre circa il proprio tasso di sconto, è bene rivedere rapidamente questa storia del ‘tassi negativi’ per poter poi valutare bene gli effetti potenziali delle decisioni che ci aspettano in fine d’anno.
Quello che insegniamo. Da tempo immemorabile insegno che “il tasso d interesse è il costo opportunità del detenere liquidità”, vale a dire il costo che il detentore di liquidità è disposto a pagare per separarsi dalla propria liquidità quando la dà a prestito. Questo costo è esattamente compensato dal rendimento che il prestatore chiede a chi prende a prestito da lui, il tasso di interesse, appunto. [In realtà il tasso di interesse è anche altre cose. Ad esempio, la cedola che il titolo paga periodicamente è anche una forma di rimborso del valore del titolo prima che esso giunga a scadenza. Ma questo non ci interessa in questa sede.]
Nel mondo come lo conoscevamo, cioè prima della crisi da prosciugamento del credito inizia nell’agosto 2007, la politica monetaria veniva attuata attraverso una serie di strumenti, il principale tra i quali era il tasso di sconto, cioè il tasso a cui la banca centrale ‘scontava’ i titoli (carta) che le banche commerciali le davano in deposito a fronte di liquidità (l’espressione ‘scontare una cambiale’, sconosciuta ai giovani, dovrebbe risvegliare ricordi istruttivi nei meno giovani). In buona sostanza, quando la banca centrale riteneva che vi fosse troppa liquidità nel sistema dei consumatori, imprese e governo, elevava il tasso di sconto in modo da rendere più costoso il loro approvvigionamento di liquidità e, presumibilmente, più onerosa la fornitura di credito alle famiglie, alle imprese e al governo; quando fosse stata di opinione opposta, ovviamente avrebbe ridotto il tasso di sconto.
Fast forward. Da anni ormai le banche centrali, inclusa la BCE, si sono precluse la possibilità di usare il tasso di sconto per politiche espansive del credito, poiché alla crisi del credito reagirono tutte, chi prima e chi dopo, portandolo fino a zero. E questo zero veniva ritenuto il limite invalicabile. Da noi tutti. Infatti, si pensava, se è vero che il tasso di interesse è un costo che va a remunerare chi cede liquidità, che senso avrà mai che esso sia negativo?
E qui arriviamo finalmente al polverone. Quando leggiamo che ‘i tassi di interesse sono negativi’ dobbiamo ribellarci, perché non è vero. Punto. E infatti chi si indebita per abbonarsi alla palestra sotto casa o per acquistare l’abitazione sa bene che essi sono positivi e come! Ma alcuni tassi di interesse sono negativi, è vero. Quali?
Primo tra tutti il tasso di interesse che la BCE usava pagare alle banche commerciali sui depositi che esse detenevano presso di lei (giustamente, poiché la banca centrale è banca delle banche). La necessità di portare il rendimento di quei depositi in negativo divenne evidente quando le cosiddette Long Term Refinancing Operations del 21 dicembre 2011 e del 29 febbraio 2012, cioè due prestiti della BCE alle banche commerciali a condizioni eccezionalmente buone, finirono per finanziare l’acquisto di buoni del tesoro e, in parte, ridepositate presso la BCE a un tasso inferiore a quello che erano costate alle banche stesse! Dopo studi, tentativi, ripensamenti e via perdendo tempo, la BCE decise di pagare interessi negativi sui saldi nei depositi delle banche: l’obiettivo ovvio era, ed è, di rendere costoso alle stesse detenere liquidità e, quindi, stimolarle indirettamente ad usare quei fondi per aumentare l’offerta di credito alle famiglie e alle imprese.
Bene, che un tasso di politica monetaria sia negativo non dovrebbe dunque scandalizzare nessuno. Ma che possiamo dire dei tassi sui titoli del debito pubblico (i bot)? Non è forse vero che una gran quantità di bot, specialmente di scadenza biennale, paga un rendimento negativo? Addirittura in Italia. Mi si chiede: e chi sarebbe il demente che dà a prestito sapendo di perderci?
Piano con i complimenti. In primo luogo, il soggetto di cui stiamo parlando non è un individuo, non è la famiglia XY: è una banca, un intermediario finanziario. Il quale intermediario non compra btp per il loro rendimento (anche se sarebbe ovviamente carino che lo pagassero), bensì per usarli come collaterale da scontare in, o addirittura vendere alla, banca centrale. In secondo luogo, quello attuale (diciamo gli ultimi sei anni) è un ambiente molto rischioso sui mercati finanziari i quali, anche se in continua crescita, sono stati spinti dal cosiddetto Quantitative Easing a cercare impieghi sempre più rischiosi (guardate dove sono gli indici azionari europei, nonostante l’economia reale sia ferma al palo da anni!). Comperare buoni del tesoro svizzeri, svedesi, tedeschi o perfino italiani, con la certezza di perderci solo l’1% rassicura, no!?
In conclusione: che ci sia un tasso di politica negativo è qualcosa di nuovo ma perfettamente comprensibile; e che i rendimenti dei titoli del debito pubblico siano negativi, pure. Che poi queste considerazioni ci calmino quanto al futuro dell’economia e dei nostri risparmi è, ovviamente, un altro paio di maniche.