Da sette anni, in Europa, si registra una disconnessione totale tra analisi economica e politica economica.
La teoria economica dice che da una recessione, in particolare se grave come quella che colpì i Paesi ad alto reddito pro capite nel 2008-2009, si esce stimolando la domanda aggregata, cioè la spesa per consumi e investimenti (modalità e proporzioni tra le due sono a discrezione del governo).
La politica economica attuata in Europa va da sette anni esattamente nella direzione opposta: il nome che si sono scelti i governanti europei è austerità. Che suona bene, ma fa sanguinare l’economia.
La dittatura del 18 a 0, cioè la scelta di riduzione dei deficit correnti da parte di tutti e 18 i governi dell’Unione Economica e Monetaria (nota come area euro a, e così pubblicizzata da, quelli che l’Unione la vogliono sfasciare) ha fatto sì che la Banca centrale europea restasse la sola autorità di politica economica in campo potenzialmente capace di dare un contributo all’alleviamento della crisi.
E questo la Bce ha fatto, nei limiti del suo mandato, prima tagliando il tasso di sconto a zero e poi allagando il mondo di euro con cui sta comprando circa 60 miliardi al mese di buoni del tesoro (in gran parte tedeschi, nessuno greco). (A questo link, nella sezione ‘Public sector purchase programme’ potete trovare il dettaglio dei titoli governativi detenuti della Bce. Noterete che la Grecia… non è presente nella tabella).
Il problema? Beh, come hanno scritto economisti e commentatori in genere, probabilmente troppo male non ha fatto, ma del gran bene non se ne è visto. Un esempio per tutti è Ryan Cooper che scrive che le politiche monetarie ‘non convenzionali’ adottate dalle banche centrali si sono dimostrate inefficaci sia nello stimolare i prestiti concessi alle imprese sia nel portare l’inflazione ai livelli previsti dagli statuti delle banche centrali.
Perché? Esattamente come dice la teoria economica, quando il tasso di interesse è già a zero da tempo, allagare il mondo di liquidità serve a poco o niente: l’economia vuole domanda di beni e servizi, non ulteriore liquidità. E infatti le banche e gli intermediari finanziari in genere hanno dirottato questa liquidità sui mercati finanziari. (Si noti che negli Stati Uniti il quantitative easing ha ‘funzionato’ perché abbinato a politiche di spesa pubblica.)
Ovviamente, che il nuovo leader del Labour Party inglese, Jeremy Corbyn, sia un estremista lo dice uno statista della statura di Tony Blair, colui che tutti ricorderanno ha, insieme a George Bush, riportato la pace in Iraq (e portato milioni di profughi impoveriti e terrorizzati in Europa). E lo dice il Financial Times, che in questa vicenda mostra la sua faccia peggiore.
Corbyn è cattivo, dunque, in un mondo di buoni. Non fosse per il fatto che Corbyn se ne esce con un’idea che attrae l’attenzione degli economisti professionisti, idea che qui riassumo con uno slogan come hanno fatto i quotidiani: vogliamo quantitative easing da parte della Bce? Bene, facciamo un quantitative easing per la gente.
Vale a dire: perché non emettere liquidità che serva a finanziare investimenti produttivi, anziché le banche? Le quali, continua Corbyn, non hanno usato e non usano quella liquidità per finanziare le imprese produttive, cioè per finanziare la creazione di ricchezza e lavoro, ma per alimentare le transazioni finanziarie e i prezzi dei titoli. Facendo solo la felicità di chi lavora nel settore finanziario dell’economia (“Le banche centrali hanno fatto arricchire i ricchi […] e tutti noi che lavoriamo nei mercati finanziari siamo in debito con il quantitative easing”, scrive sul Financial Times del 22 settembre Paul Marshall, estremista e presidente di Marshall Wace, un hedge fund londinese).
Gli economisti saltano sull’idea. Alcuni, non estremisti, ne rivendicano (giustamente) la paternità e collocano la loro proposta nel 2010. Altri si mettono a studiare le difficoltà di realizzazione del progetto (difficoltà che si stanno rivelando sostanzialmente di semplicissimo superamento). Altri ancora, sempre non estremisti, riprendono una vecchia espressione di Milton Friedman degli anni Sessanta del secolo scorso, helycopter money, cioè liquidità paracadutata dagli elicotteri a disposizione di tutti, ragionando così: e chi ci dice che se facciamo quantitative easing à la Corbyn, per finanziare investimenti, poi ne creiamo l’ammontare giusto?
Perché non cambiamo radicalmente la concezione che abbiamo della banca centrale e la pensiamo come sistematicamente impegnata nel fornire DIRETTAMENTE liquidità alle famiglie e alle imprese, tanta quando l’economia è in difficoltà, poca quando l’economia tira? Se è vero che abbiamo bisogno di domanda aggregata, e sappiamo che di un euro aggiuntivo nel loro bilancio le famiglie spendono circa la metà, non è meglio che dare quell’euro alle banche, visto che le banche non passano quell’euro alle imprese e alle famiglie se non in una proporzione irrisoria?
Estremisti?
Post scriptum
Il 21 dicembre 2011 e il 29 febbraio 2012 la Bce mise a disposizione delle banche 500 miliardi di euro la volta per un periodo di tre anni e a un tasso dell’1% (potete vedere le banche sbavare). Cosa fecero di quel denaro? Circa 70% in buoni del tesoro, circa 30% ridepositati sul proprio conto presso la Bce al tasso dello 0,75%!
Ovviamente commentavamo in aula quelle vicende mentre avvenivano, e un mio studente se ne uscì dicendo (all’incirca): Ma perché la Bce non obbliga le banche a dare a prestito alle imprese? Io, non essendo un estremista, misi in guardia contro una simile ipotesi, la cui adozione avrebbe violato bla bla le norme di un’economia di mercato bla bla, la libertà delle banche bla bla….
Ovviamente, come sempre, aveva ragione lo studente. Nel 2012 era già arrivata l’ora di ripensare il ruolo delle banche centrali, il ruolo del credito, le modalità di funzionamento del meccanismo di trasmissione della politica monetaria. C’è voluto un vecchietto di 66 anni per farci pensare seriamente al problema. Estremista.