Crowdsourcing.org mostra che il primo esempio di crowdsourcing risalirebbe al 1714, sotto l’egida della corona britannica, of course: a quanto riportano, si sarebbe trattato di scoprire un metodo per rilevare la longitudine di una nave.
Oltre 150 anni più tardi, il professor James A. H. Murray venne chiamato dalla Oxford University Press a dirigere il nuovo Oxford English Dictionary; stava per diventare l’antesignano nobile del crowdsourcing intellettuale, il trisavolo di Wikipedia, l’enciclopedia online che avrebbe visto la luce solo nel 2001. Il prof. Murray aderì subito allo spirito dell’iniziativa – già dal 1857 raccoglievano spunti da persone diverse in giro per il regno – comprendendo che la chiave era la partecipazione di tutti, senza barriere all’ingresso. “Anyone can help”, scrisse nell’appello pubblico (oggi diremmo: una ‘call’) che lanciò nel 1879, due anni dopo aver accettato l’incarico.
In quell’anyone, in quel chiunque, stava e sta la rivoluzione.
È scritto, dichiarato, non sottinteso. Per ‘chiunque’ si intende proprio qualsiasi persona. L’informazione può sempre giungere da fonti impensabili. Che senso avrebbe infatti impedire l’accesso a qualcuno prima di aver sentito cos’ha da dire? Come noto, quando il signor Albert Einstein diede alla luce la Teoria della Relatività non era un barone universitario, bensì un semplice tecnico dell’ufficio brevetti.
Nel 1896, dall’altra parte dell’Atlantico, anche il New York Times lanciò una call, per decidere il nuovo motto del giornale, in sostituzione di: “All the News That’s Fit to Print” (tutte le notizie che vanno pubblicate). Vinse un tale dal New Haven, ma al giornale decisero infine di tenere il vecchio motto, mostrando sin da subito il lato “oscuro” del crowdsourcing, ovvero fregarsene del risultato dell’appello pubblico. Sport peraltro molto in voga in anni recenti in Italia rispetto ai risultati dei referendum, ma questo è un altro discorso. In fin dei conti, fregarsene è sempre un’opzione. Il problema, semmai, nell’era dei social network è che poi la gente si arrabbia se si accorge che te ne freghi. In ogni caso, il crowdsourcing, nato sincero, scoprì subito che si può fare anche solo finta di ascoltare.
Come ha scritto Carlo Rovelli nel suo recente bestseller Sette brevi lezioni di fisica (Adelphi), «siamo nodi di una rete di scambi, […] nella quale ci passiamo immagini, strumenti, informazioni e conoscenza» e lo siamo sempre stati. Il crowdsourcing è vecchio come il mondo, sono solo cambiati gli strumenti e i metodi per farlo rendere al meglio, compresi quelli per controllare che i committenti non si “dimentichino” delle proposte ricevute. La morale della favola invece non è cambiata: chiunque può aiutare.
Di questo si parlerà da queste parti.
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