Scenari economici

La Cina svaluta ancora. Ma la crisi non è solo finanziaria e ne sentiremo gli effetti

Terza svalutazione in tre giorni per lo yuan da parte della Banca centrale cinese: in 72 ore è stato svalutato del 4,65%. Il rallentamento di Pechino si ripercuoterà sul resto del mondo attraverso diversi canali. Ecco cosa potrebbe succedere per importazioni, esportazioni e investimenti diretti

Pubblicato il 13 Ago 2015

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I fatti

Fabio Sdogati, docente del Politecnico di Milano


♦ Terza svalutazione in tre giorni per lo yuan da parte della Banca centrale cinese per rafforzare l’economia. La banca centrale cinese, ancora una volta senza preavviso, ha aggiustato il tasso di cambio giornaliero in ribasso di un altro 1,1% a 6,4010 contro il dollaro Usa. È la terza svalutazione in meno di 72 ore. Il tasso di cambio è adesso di 6,4010 yuan contro il dollaro, ha affermato il China Foreign Exchange Trade System. Ieri era di 6,3306. Lo yuan è stato svalutato in tre giorni del 4,65%.

♦ Le riserve in valuta presso la banca centrale cinese sono diminuite per quattro trimestri consecutivi

♦ Le importazioni cinesi sono diminuite del 17% nel solo mese di luglio
♦ Lunedi 25 luglio il prezzo del rame era al minimo da sei anni
♦ Il prezzo del BRENT è sceso sotto i $50/barile
♦ Il prezzo dell’oro è sceso rapidamente attorno ai 1100 US$ l’oncia
♦ Standard & Poor’s annuncia che al Brasile potrebbe essere negato lo status di paese ‘investment grade’
♦ Quasi tutte le valute dei paesi emergenti sono in forte deprezzamento

Basta? I fatti qui elencati non sono scorrelati tra loro. Tutt’altro. E presi insieme essi non lasciano prevedere molto di buono per l’economia mondiale. In sintesi, la ragione di ciò è che la parte finanziaria della crisi sarà tutto sommato gestibile, ma quella reale avrà un impatto duro sulle economie di tutto il mondo.

L’intepretazione

Nell’ultimo quarto di secolo l’economia cinese è cresciuta a tassi da miracolo in gran parte degli anni – e negli altri si sono visti dei modesti 7%! Occorre chiedersi quali siano le fonti della crescita, o si rischia di dare alla situazione attuale cinese una valenza soltanto finanziaria.

I non economisti tendono a sottovalutare il significato vero della crescita. La quale, se misurata dalla variazione del Pil da un anno all’altro, avviene (semplificando un po’) per due ragioni:

  1. Per l’inglobamento nell’economia di mercato di persone e attività che nel mercato non erano nel periodo precedente. L’esempio tipico è quello di una famiglia che viva in una zona rurale e che dedichi gran parte della propria attività lavorativa alla produzione per l’autoconsumo. I prodotti dello sforzo lavorativo non passano per il mercato, e dunque non possono essere contabilizzati nel pil. Quando l’attività non è più diretta all’autoconsumo allora essa viene contabilizzata e il pil aumenta.
  2. Per l’aumento, anno dopo anno, della produttività dei fattori della produzione occupati.

È evidente che i due fenomeni hanno una rilevanza completamente diversa sulla crescita del Pil: il primo spinge risorse, lavoro in primo luogo, verso l’economia di mercato; il secondo ‘assume’ l’esistenza di un’economia di mercato e ne fa aumentare la capacità di produrre.

Gli imponenti movimenti migratori dalla campagna alle città che hanno caratterizzato la Cina, e con lei tutte le economie emergenti, hanno contribuito fortemente per decenni alla crescita dell’economia di mercato. Ma ora il fenomeno ha cominciato a rallentare, e la crescita della produttività assume un ruolo sempre più importante se il paese vuol mantenere tassi di crescita comparabili a quelli del passato quarto di secolo.

Effetti sull’economia mondiale

Se, come credo, questa ‘crisi’ cinese è sì finanziaria ma ha anche un carattere fortemente reale, allora ciò che ci deve preoccupare è quali potrebbero essere gli effetti sul resto del mondo. Perché gli effetti di una crisi puramente o prevalentemente finanziaria sono sostanzialmente contenibili, ma quelli di una crisi reale no. Vale a dire che una crisi finanziaria in Cina verrà trattata, mutatis mutandis, allo stesso modo in cui è stata trattata la crisi del credito del 2007 e seguenti, cioè con una espansione monetaria forte.

Dal punto di vista dell’economia reale, invece, sarà più problematico contenere la crisi, poiché molti sono i canali mediante i quali il rallentamento dell’attività in Cina spingerà alla contrazione le economie del resto del mondo:

  • Le importazioni. Una loro caduta è necessariamente caduta di domanda di merci prodotte all’estero. Questo fenomeno toccherà sia le economie che forniscono alla Cina semilavorati ed intermedi, quale è il caso di gran parte deii paesi del sud-est asiatico, sia le economie ad alto reddito procapite, che forniscono in quantità automobilistici, farmaceutici, meccanici, beni di consumo;
  • Le esportazioni. Una caduta della crescita non può essere, e non sarà, lasciata pagare tutta al consumo interno. Anche le esportazioni dovranno ridursi in qualche proporzione, e dunque dovranno ridursi gli approvvigionamenti del resto del mondo dalla Cina;
  • Gli investimenti diretti. Questi cadranno in entrambe le direzioni: dal resto del mondo verso la Cina perché il ridimensionamento della crescita produttiva cinese li renderà meno attraenti; e dalla Cina verso il resto del mondo, perché il ridimensionamento della crescita produttiva genera meno capitale disponibile per l’impiego all’estero.

Non vedo un buon autunno-inverno.

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