Due volte l’anno, in autunno e in primavera, il Fondo Monetario Internazionale pubblica il suo World Economic Outlook, un insieme di studi settoriali e/o paese e una raccolta molto ricca di dati macroeconomici su gran parte delle economie al mondo. Ovviamente, mentre gli studi di paese o di settore attraggono prevalentemente l’attenzione degli specialisti, i dati sulla crescita prevista del pil attraggono l’attenzione di tutti. Ed è a proposito dei dati pubblicati in aprile che vorrei riflettere in questa sede.
Prima i dati retrospettivi. Non ne riporto in questa sede per non essere noioso e ripetere quello che tutti sanno: è andata decentemente bene negli Stati uniti e nei paesi emergenti, assai meno bene in Europa, anche se è vero che il segno negativo è scomparso dalle valutazioni della crescita del pil di molti paesi. Ma sarà bene ricordare che non è vero che ‘nel 2014 c’è stata la ripresa’: la verità è che sembra essere finito il peggioramento costante che abbiamo vissuto dal 2008 in avanti (in Italia, periodo caratterizzato da ben tre recessioni secondo la definizione tecnica di ‘recessione’). E sarà ancora bene ricordare che non è vero che ‘la Germania tira’.
Adesso le previsioni. Premettiamo, anche se non mostriamo qui i numeri, che le previsioni del Fondo sono sempre state eccessivamente ottimistiche rispetto a quanto poi le economie sarebbero effettivamente state capaci di produrre (e di occupare). Nella tabella che segue riportiamo le previsioni relative ai tassi di crescita degli anni 2015, 2016 e 2017 per i paesi di maggior rilevanza per noi (e forse per tutti).
Suggerisco di leggere d’un fiato tutti i tassi di crescita futuri stimati per tutti i paesi ad alto reddito procapite. Si noterà subito che si tratta di tassi di crescita molto bassi se comparati a quelli pre-crisi, con la sola eccezione degli Stati uniti, che il Fondo stima cresceranno del 3% nel 2015 e nel 2016, e poco meno nel 2017. Non sono tassi spettacolari, ma è crescita. Incoraggiante, non fosse per il fatto che pochi giorni dopo la pubblicazione di queste stime il Governo Usa ha reso pubblico che nel primo trimestre 2015 il pil del paese è cresciuto solo dello 0,2%. Il che implica che gli Usa dovranno crescere davvero nei prossimi tre trimestri perché le stime del Fondo si avverino.
Veramente miserabili, invece, le stime di crescita per i paesi dell’Unione Economica e Monetaria (UEM), tra i quali solo la Spagna sembra avere un qualche guizzo di vita. Fuori dall’UEM decenti le stime per il Regno unito, mentre il Giappone fa peggio dell’UEM. La famosa locomotiva d’Europa non sembra pronta a ‘tirare il treno della ripresa’ (che modo di esprimersi!). Ricordate la distinzione, popolare fino a poco tempo fa, tra un’Europa del nord ‘che tira’ e un sud d’Europa ‘che arranca’? Finita: dopo sei anni di sforzi gli austeri, vestali del pareggio di bilancio, sono riusciti a livellare il futuro di tutti verso il basso. Congratulazioni, austeri!
La parte inferiore della tabella mostra le previsioni per una selezione di paesi emergenti. Qui i tassi di crescita previsti sono su di un’altra scala, e rafforzano il messaggio che andiamo ripetendo da anni: quel che ci sarà di crescita al mondo, verrà essenzialmente dai paesi emergenti.
Fin qui i numeri. Adesso le riflessioni. In un articolo dello scorso 1 maggio Olivier Blanchard, capo economista del FMI, individua quattro forze come determinanti del quadro economico mondiale:
1. L’alto livello del debito sia pubblico, che d’impresa, che delle famiglie a livello mondiale
2. Il declino del prodotto potenziale, indotto essenzialmente dall’invecchiamento della popolazione e dalla caduta della produttività nelle economie ‘avanzate’ (così si esprime il Fondo)
3. La caduta inattesa del prezzo del petrolio
4. Fluttuazioni molto larghe dei tassi di cambio (www.voxeu.org/article/assessment-state-world-economy).
La conclusione di Blanchard è che nel 2015 i paesi ad alto reddito procapite faranno un poco meglio, e quelli emergenti un poco peggio, di quanto non sia avvenuto nel 2014.. In media, un mondo che non si discosterà molto da quello del 2014, ma un mondo nel quale i destini dei singoli paesi saranno generalmente diversi da quelli degli altri.
Per dirla con Bradford Delong, Professore di Economia a Berkeley, “[…] one thing has become abundantly clear: optimism is out of fashion.”