Cattivi pensieri

L’emendamento Quintarelli e la tecnofobia della stampa

Una settimana dopo la modifica all’articolo 117 della Costituzione, che introduce una regia digitale nazionale, colpisce il silenzio dei grandi giornali. Che rubricano come periferiche le questioni digitali. Nonostante la parole del presidente Mattarella…

Pubblicato il 18 Feb 2015

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Una settimana dopo l’approvazione dell’emendamento all’articolo 117 della Costituzione, che prevede una regia nazionale per lo Stato digitale, è assordante il silenzio della grande stampa, degli opinion leader televisivi e non, degli analisti politici che si scaldano di fronte a ogni evanescente passaggio politico.

Che cosa è accaduto una settimana fa? Il Parlamento ha approvato all’unanimità (4 astenuti) l’emendamento 31.26, presentato dal deputato di Scelta Civica Stefano Quintarelli (ben noto a chi si occupa di Internet e digitale..), che introduce il principio del «coordinamento informatico dei dati, dei processi e delle relative infrastrutture e piattaforme informatiche». Prima di entrare nel merito, c’è un dato storico: non accadeva dal 1948 che un articolo di riforma costituzionale venisse approvato con così ampio consenso.

Non successe neanche quando si trattò di abolire la pena di morte. Un’eccezionalità colta dai commessi della Camera, subito corsi dall’onorevole Quintarelli per chiedere un selfie. Chi avesse voglia di rivedere questo voto storico , può farlo qui

Nulla di eccezionale o quantomeno di interessante invece sembrano aver trovato in quel voto gli editorialisti da prima pagina, gli abili narratori di correnti e spifferi. Nonostante il fatto avvenisse nelle stesse ore in cui in aula i parlamentari passavano velocemente dalle parole ai fatti, anzi alle mani. Gli stessi che si sono ritrovati uniti di fronte a poche righe che capovolgono in chiave digitale il logorante decentramento amministrativo del nostro Paese e creano le condizioni per una gestione razionale e moderna della macchina statale, grazie alle tecnologie digitali.

Tutti distratti gli opinion maker? Tutti attirati solo dal sangue della rissa e dalla politica dei clamori? No, semplicemente quando leggono la parola informatica o digitale rubricano immediatamente la questione alla voce tecnologia, roba per smanettoni, incomprensibile e incompresa, periferica nell’agenda politica e ancora di meno nelle baruffe di potere. Nelle ore successive all’approvazione dell’emendamento c’è stato gran giubilo sulla Rete, testate e blog digitali hanno festeggiato Quintarelli. Solo un quotidiano cosiddetto nazionale ha dedicato un flash nella sua versione .it, ma nel canale tecnologia, appunto. Se si parla di macchine, software, sistemi e via ingegnerizzando non c’è gusto politico.

E pensare che pochi giorni prima il presidente della Repubblica diceva nel suo discorso di insediamento: «Penso alla pubblica amministrazione che possiede competenze di valore ma deve declinare i principi costituzionali, adeguandosi alle possibilità offerte dalle nuove tecnologie e alla sensibilità dei cittadini, che chiedono partecipazione, trasparenza, semplicemente degli adempimenti, coerenza nelle decisioni». Certo, anche lui parla definisce nuove “tecnologie” che hanno un quarto di secolo, ma qui finisce che Sergio Mattarella, 73 anni, arrivato dritto dritto dalla Prima Repubblica, sia più “giovane”, lungimirante e tecnologico di tanti autorevoli opinion maker “separati” dall’opinione pubblica che continuano a vivere felicemente solo grazie al rispecchiamento con la classe politica. Forse è l’inevitabile destino della carta stampata, se anche in Inghilterra The Guardian titola: Perché la carta stampata resta il “media power” dominante. Nonostante la gente ormai abbia più fiducia in Wikipedia che nei quotidiani. Qui si può leggere l’articolo.

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