Il denaro costa meno? Per imprese e famiglie non cambia nulla (a breve)

Il taglio del tasso di sconto annunciato dalla BCE cambia poco. Più importante la decisione di acquistare i “titoli tossici” delle banche. A breve sono le uniche ad avere vantaggi dalla svolta dell’istituto guidato da Mario Draghi. Che potrebbe comportarsi sempre di più come l’americana FED

Pubblicato il 08 Set 2014

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Quali effeti avrà il taglio del costo del denaro annunciato il 4 settembre dalla Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi? C’era una volta…, prima del 2008, un modo semplice per dare una risposta comprensibile al quesito che costituisce il titolo di questo pezzo. Dal 2008 questo non è più possibile. Perché, chiedono i giovani e quelli meno giovani ma dalla memoria corta? Beh, perché il mondo è cambiato, nel 2008, e dunque è cambiata la politica monetaria, sono cambiati i suoi obiettivi, i suoi strumenti, sono cambiati anche i canali attraverso i quali le misure di politica monetaria producono, o non producono, effetti sui comportamenti degli agenti economici. Vediamo dunque rapidamente come eravamo, un passo necessario perché molti pensano come se fossimo ancora nel mondo pre-2008; passiamo a vedere (meno rapidamente) come siamo, e poi rispondiamo direttamente al quesito. Il tutto dopo una premessa breve ma importante.

Premessa
La banca centrale è un’istituzione. Essa non opera per ragioni di lucro, come invece fanno le banche ordinarie, bensì per contribuire a realizzare quegli obiettivi che le sono stati assegnati dal legislatore. Ad esempio, lo statuto della BCE le assegna esplicitamente il mandato di rifornire il sistema economico di una quantità di liquidità adeguata a tenere il tasso di inflazione annuale attorno al 2% e possibilmente un poco meno. La FED ha invece un mandato duale, nel senso che deve adottare politiche adeguate a tenere il tasso di inflazione annuale attorno al 2% e possibilmente un poco meno, ma anche contribuire a contrastare l’aumento della disoccupazione o, alternativamente, a favorirne la riduzione. Dunque la banca centrale, europea, statunitense o giapponese che sia, conduce la propria politica in funzione di obiettivi che essa stessa sceglie all’interno del quadro di riferimento costituito dal proprio statuto.
Come concretamente questi obiettivi vengano perseguiti è materia di scelta o, si potrebbe dire, è lasciato alla discrezione della banca. E tra pre-2008 e post-2007 non vi sono stati cambiamenti negli statuti delle maggiori banche centrali. Che cosa dunque è cambiato?

I. C’era una volta…
Nell’antico mondo pre-2008 i libri di testo parlavano da un lato di ‘strumenti della politica monetaria’, e dall’altro di ‘canali di trasmissione della politica monetaria’. Concetti che esistono ancora: ma si tratta di vedere se esistono ancora i fatti che li sottendono, cioè se sono concetti che servono a rispondere al nostro quesito.

1.1 Gli strumenti della politica monetaria
Quelli erano e quelli sono: tasso di sconto, operazioni di mercato aperto, in un certo senso anche tasso di riserva obbligatoria. Ma prendiamo il tasso di sconto, che è la variabile sulle cui modificazioni la BCE fa un annuncio alle 13:45 di ogni primo giovedi del mese. Quando il tasso era (pre-2008) una grandezza sufficientemente lontana dallo zero, diciamo il 4%, era concepibile che una riduzione sostanziale, diciamo dello 0,5% (ma spesso era maggiore), avrebbe indotto le banche commerciali a prendere in considerazione l’ipotesi di allargare il ventaglio dei prestiti anche a progetti precedentemente non remunerativi e/o ad offrire tassi inferiori ai precedenti a tutta la clientela. Ma: e ora che siamo al tasso di sconto praticamente a zero? Ha senso logico, ed economico, pensare al tasso di sconto come uno ‘strumento della politica monetaria’? Rispondiamo a questo quesito al punto 3, sotto.

1.2 I canali di trasmissione della politica monetaria
Quelli erano e quelli sono. Come funzionavano? Beh, l’abbiamo detto poco sopra, anche se in maniera molto sintetica. Ma allora cosa è cambiato? È successo che ora non funzionano più.

2. Dal 2008….
Quando nel luglio 2007 la crisi finanziaria si svelò anche al pubblico europeo in tutta la sua gravità, si capì che al cuore della crisi stava il fatto che le banche stavano smettendo di estendere credito alle altre banche e, anzi, stavano ritirando i crediti che avevano precedentemente ad esse erogato: non a caso parlavamo di ‘stretta creditizia’ o ‘credit crunch’. La reazione delle banche centrali di tutti i paesi ad alto reddito pro capite fu assai rapida e, anche se diversa nelle forme e nella misura degli interventi, omogenea nel suo obiettivo: irrorare il mercato interbancario di liquidità. L’obiettivo era di non far mancare liquidità sul mercato in modo tale che esso potesse continuare a funzionare, così che la stretta creditizia, di origine privata, non danneggiasse quelle banche che pure avrebbero avuto la possibilità di estendere prestiti a realtà produttive impegnate in progetti remunerativi. In altre parole, si sperava che i canali di trasmissione della politica monetaria avrebbero funzionato come avevano fatto tante volte in passato. Ma non fu così. E non fu così molto a lungo. E in Unione Economica e Monetaria è ancora così. (Chi ne avesse voglia e tempo potrebbe voler andare a rileggersi alcuni pezzi su questo sito in cui si parla esplicitamente di ‘alluvione di liquidità’ già nel 2008).
Perché dunque il canale di trasmissione non funziona più, perché l’impulso dato dalle banche centrali non funzionò per tutto il 2008 e 2009 dovunque, e in UEM non funziona ancora oggi? Semplice: per funzionare, l’impulso dato dalla banca centrale mediante aumento di disponibilità di liquidità può essere trasmesso al settore reale dell’economia, famiglie e imprese, soltanto se le banche si assumono il compito di fare da portatrici dello stimolo stesso verso l’economia reale, verso le famiglie e le imprese appunto. Ma proprio questo è venuto a mancare: le banche, la loro funzione tradizionale di intermediazione.

3.. Le misure annunciate dal presidente della BCE
3.1 Tasso di sconto e tasso sulle riserve libere detenute dalle banche commerciali presso la BCE
Il consiglio direttivo della BCE ha deciso di tagliare tutti i tassi sotto il proprio controllo, quelli che chiamiamo i ‘tassi di policy’, di 10 punti base, vale a dire il 10% dell’1%. La mia reazione personalissima: embè!? Ci attendiamo che le banche cambino la propria predisposizione a dare a prestito sulla base di un taglio di questa rilevanza quando non lo hanno fatto dal 2008 ad oggi a fronte di tagli decine di volte più sostanziosi? La risposta è, ovviamente no.

3.2 Annuncio di un piano di acquisto di Asset Backed Securities (titoli cartolarizzati)
Questo annuncio è veramente importante, invece, poiché per la prima volta in sette anni di crisi la BCE decide di acquistare prodotti cartolarizzati dalle banche. Si tratta di una misura importante per diverse ragioni:
a) Perché libera i portafogli delle banche commerciali di almeno una parte di prodotti cartolarizzati di bassa qualità (quelli che una volta, nel 2009, furono chiamati ‘titoli tossici’), con ciò migliorando la dotazione di capitale delle banche stesse;
b) Perché segnala al mondo intero che la BCE è uscita dalla paralisi in cui è da troppo tempo, e fa seguire all’annuncio sui Targeted Long Term Refinancing Operations dei mesi passati una misura del tutto nuova nel panorama dei suoi strumenti e delle sue azioni;
c) Perché a questo punto la probabilità che nei prossimi mesi la BCE passi ad operazioni simil-FED chiamate Quantitative Easing, cioè all’acquisto diretto di obbligazioni governative dei paesi membri, diventa una probabilità non-zero. Se adottata, una misura di questo genere favorirebbe una compressione dei differenziali dei tassi di interesse sia tra obbligazioni comparabili che su tutto lo spettro del debito obbligazionario, e costituirebbe dunque una forte spinta verso quella deframmentazione del mercato finanziario tanto invocata quanto disattesa.

In conclusione
I possibili effetti delle misure annunciate dalla BCE il 4 settembre vanno classificati al minimo secondo due parametri: in due scenari, breve e lungo periodo, e relativamente a due classi di agenti economici, banche e famiglie+ imprese.

Le banche percepiranno l’effetto positivo delle misure annunciate in maniera non ambigua tanto nel breve che nel lungo periodo. Non a caso, i prezzi delle loro azioni sono saliti di molto a seguito dell’annuncio. Esse sanno che a fronte di una riduzione (di dimensioni trascurabili) del tasso sui depositi presso la BCE, riceveranno moneta sonante per almeno una parte delle ABS che hanno in portafoglio. Ciò farà aumentare la consistenza del loro capitale e, nel più lungo periodo, potrebbe condurre ad un atteggiamento meno repulsivo della domanda di credito da parte di famiglie+imprese. (Personalmente lo dubito, ma certo le condizioni perché ciò possa avvenire sono migliorate).

Nel breve periodo fe famiglie+imprese non risentiranno di queste misure in alcun modo. Si, alcuni temono che le banche potrebbero voler finanziare il costo dei depositi liberi presso la BCE con un inasprimento delle condizioni per i correntisti, ma si tratta di un’ipotesi che le banche non dovrebbero perseguire per non inasprire i rapporti con i propri depositanti. Nel lungo periodo, la maggior disponibilità di liquidità nel sistema potrebbe innescare quel meccanismo appena descritto sopra a partire da un atteggiamento meno repulsivo della domanda di credito da parte di famiglie+imprese. (Peraltro, come sopra, lo dubito, ma certo le condizioni perché ciò possa avvenire sono migliorate).

Infine, il cambio. Stavolta l’euro ha risentito subito e molto dell’annuncio, e si è deprezzato rispetto al dollaro Usa, alla sterlina, e perfino rispetto al renminbi. Bene: Draghì può cominciare a sperare di avere l’inflazione in cui spera! Io penso che questo modo di ottenere reflazione sia completamente errato (ma per far aumentare i prezzi facciamo aumentare i costi delle imprese importatrici di intermedi, finiti, energia!? Che modo di ragionare è questo?) La reflazione di ottiene combattendo le cause che la rendono necessaria, e cioè stimolando la domanda aggregata. In breve, più spesa pubblica finanziata a livello dell’intera area euro. Che sta mostrando pericolosi segnali di avvio verso il sottosviluppo.

* Fabio Sdogati è docente di Economia Politica al Politecnico di Milano

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