La prossima settimana dovrebbe concludersi il percorso di collocamento in Borsa di Dropbox, la startup fondata nel 2007 da Drew Houston, una delle prime società a offrire servizi cloud per il salvataggio e la condivisione di file. C’è molta attesa perché è la prima IPO tecnologica a Wall Street nel 2018 e da come verrà accolta sarà valutato il clima finanziario attorno a questo settore. Se andrà male si tornerà a parlare di bolla, altrimenti si dirà che il rischio è passato. Il prezzo delle azioni Dropbox è stato fissato tra i 16 e i 18 dollari: se andrà bene, la società raccoglierà circa 650 milioni di dollari, con un valore di mercato intorno ai 7,5 miliardi di dollari. Vedremo.
Dropbox all’inizio del suo percorso ha rischiato di fallire. Ed è stata salvata da un consulente molto speciale, l’inventore del growth hacking. Com’è andata? Ce lo racconta Raffaele Gaito nel suo libro #Growth Hacker, pubblicato da Franco Angeli. Ecco l’estratto in cui si parla di Dropbox e degli insegnamenti da trarre da quella esperienza.
Appena nata, nel 2007, Dropbox non era né la prima piattaforma di cloud storage, né la migliore in circolazione. Esistevano aziende molto più grandi e affermate, che già da diverso tempo offrivano soluzioni simili. Già qualche anno prima della nascita di Dropbox esistevano, infatti, soluzioni enterprise per la condivisione dei file, offerte dalle grandi aziende. Allo stesso modo alcune startup avevano iniziato già da qualche anno a offrire servizi simili a clienti consumer a prezzi molto competitivi. Uno degli attori principali sul mercato era, senza ombra di dubbio, Box. Fondata nel 2005 e oggi quotata alla borsa di New York, è sicuramente uno dei principali competitor di Dropbox.
DROPBOX, L’IDEA DI DUE STUDENTI DEL MIT
Dropbox all’epoca era semplicemente una startup fondata da due giovani studenti del MIT (Drew Houston e Arash Ferdowsi) stanchi di scambiarsi file utilizzando le pennine USB. L’idea di questi due studenti era piaciuta a Y Combinator (il più importante acceleratore di startup al mondo) che gli aveva dato una possibilità e un piccolo investimento di 15.000 dollari per sviluppare e testare la loro idea.
Come tutte le startup, anche Dropbox nei suoi primi anni di vita soffriva di un problema abbastanza diffuso: acquisire nuovi utenti e farlo al più basso costo possibile. Per un paio di anni il team di Dropbox tentò soluzioni di ogni tipo e, tra le tante fonti di acquisizione utilizzate, quella più frequente era la pubblicità su Google. Per capirci, le inserzioni su AdWords. L’ostacolo maggiore era il costo di acquisizione, visto che Dropbox arrivava a spendere anche 300$ per ogni utente registrato. Non bisogna essere geni della finanza per capire che per un servizio da 99$ l’anno, acquisire utenti a 3 volte quella cifra significava una sola cosa: il business non era sostenibile, dovevano chiudere l’azienda.
LA SVOLTA DI DROPBOX: REFERRAL PROGRAM
Poi un giorno arriva Sean Ellis. Sean Ellis decide di testare su Dropbox un sistema che oggi conosciamo molto bene e chiamiamo referral program. Ossia, ogni utente già iscritto alla piattaforma avrebbe avuto la possibilità di invitare altri utenti a aderire al servizio. In caso di iscrizione completata, a entrambi gli utenti coinvolti venivano regalati 500MB di spazio gratis sul loro account Dropbox. Se usi Dropbox immagino tu conosca molto bene questa funzionalità e, molto probabilmente, l’abbia usata per aumentare lo spazio disponibile sul tuo account.
La cosa funzionò e Dropbox passò in 15 mesi da 100.000 utenti a ben 4 milioni di utenti, dando il via alla crescita incredibile che lo ha portato a diventare il colosso hi-tech da 10 miliardi di dollari che tutti oggi conosciamo.
Un referral program è un processo per stimolare il passaparola di un prodotto o servizio basato su un concetto molto semplice: dare degli incentivi agli utenti ogni volta che invitano loro amici a utilizzare il prodotto.
I referral program oggi sono considerati quasi una best practice in alcuni settori e il tipo di incentivo varia da caso a caso: c’è chi offre funzionalità premium del prodotto (Dropbox ed Evernote), chi offre un buono sconto (Uber e JustEat) e chi arriva a offrire addirittura del denaro (PayPal e Bet365).
A oggi esistono, infatti, decine di piattaforme che ti consentono, per pochi euro al mese, di duplicare esattamente quel sistema, senza nessuna conoscenza tecnica. Prova a dare un’occhiata a ReferralCandy (www.referralcandy.com) e ViralLoops (www.viral-loops.com) per vedere come ti consentono di crearne uno da zero senza la necessità di essere un programmatore.
LA LEZIONE DI DROPBOX
Quando si legge di questo aneddoto, l’accento viene messo di solito sulla soluzione tecnica utilizzata per risolvere il problema di acquisizione. A mio avviso però c’è un takeaway molto più importante in questa storia: ancora una volta, il mindset. Il processo che ha consentito a Dropbox di passare da uno scenario vicino al fallimento all’essere un’azienda di successo.
Questo esempio ci introduce, infatti, due elementi importanti relativi al mindset del growth hacking che ritroveremo anche più avanti:
1.Fai leva su quello che già hai. Nel caso di Dropbox si trattava di una community (piccola, ma esistente) di utenti soddisfatti che usavano il servizio in maniera costante. Una community che una volta attivata è stata fondamentale per la crescita esponenziale del business;
2.Dai qualcosa di valore ai tuoi utenti. Nel caso di Dropbox era, senza ombra di dubbio, lo spazio! Offrire 500MB a un utente aveva un costo quasi nullo per l’azienda, ma era un incentivo incredibile per entrambi gli attori coinvolti.