Il Premier Matteo Renzi ha annunciato l’aumento della tassazione delle rendite finanziare dal 20 al 26%. Il provvedimento, qualora ricevesse l’ok del Parlamento, dovrebbe decorrere dal 1 maggio 2014 ed avrebbe l’obiettivo di rilanciare l’economia, finanziando il taglio del 10% dell’Irap.Un provvedimento analogo era già stato previsto dal Governo Letta, che però non riuscì a far passare l’aumento al 22%. Già nel 2011, il Governo Monti aveva modificato la tassazione delle rendite finanziarie. In particolare con il decreto legge n. 138 del 13 agosto 2011 (convertito in legge n. 138 del 13 agosto 2011) le ritenute e le imposte sostitutive sugli interessi, premi e ogni altro provento che costituisca reddito di capitale e le imposte sostitutive sui redditi diversi, a decorrere dal 1 gennaio 2012, sono state unificate in un’aliquota del 20%.
La misura che vorrebbe varare il Governo Renzi sarebbe quindi la seconda in meno di tre anni. Giustificazione dell’intervento è la volontà di allineare la tassazione delle rendite finanziare alla media degli altri paesi europei, illustrata nella tabella sottostante.
LA TASSAZIONE DELLE RENDITE FINANZIARIE NEI PAESI EUROPEI | ||||
Paesi | Dividendi | Interessi | Capital Gains | Annotazioni |
Germania | 25% + 1,375% | 0% | 26,375%2 (dato da 5% + 1,375%) | Per gli interessi su depositi di banche tedesche la ritenuta è del 25%. |
Francia | 30% | 18% | 34,5% (dato da 19% + 15,5%) | |
Spagna | 21% | 21% | Compreso tra il 21% e il 27% | Per i Dividendi: non si applica se superiori al 5% e detenuti per almeno 12 mesi oppure può essere soggetto a riduzione in caso di doppia imputazione con paese estero. Per Capital Gains: varia in funzione del reddito. |
Gran Bretagna | 0% | 20% | 18% o 28% | Il Capital Gains: varia in funzione del reddito. |
Italia | 20% | 20% | 20% | La ritenuta sui Titoli di Stato, sulle obbligazioni di Stato, inseriti nella White List, risparmi a lungo termine, buoni di risparmio postali, obbligazioni di emittenti sovranazionali, è del 12,50%. |
Non va dimenticato che, oltre alla tassazione delle rendite, da qualche anno i risparmiatori pagano in Italia anche la mini patrimoniale, imposta di bollo, ora pari al due per mille.
È allora auspicabile che il sistema della tassazione delle rendite finanziarie venga rivisto per i seguenti motivi: innanzitutto, sul risparmiatore italiano rispetto agli altri paesi europei gravano altre imposte. Si creerebbe poi una disparità di trattamento tra il possessore di partecipazioni non qualificate, che pagherebbe un’imposta maggiore, e il possessore di partecipazioni qualificate. Ciò rischierebbe di disincentivare il piccolo risparmiatore, che potrebbe scegliere altre forme di investimento, penalizzando lo sviluppo dell’economia italiana sorretta anche da una miriade di piccoli risparmiatori.
Sarebbe quindi opportuno prevedere, come suggerito da Pierluigi Paracchi nel suo intervento, un trattamento volto ad incentivare gli investimenti per rilanciare l’economia favorendo le start up in genere, o quanto meno le start up innovative, presumendo, nel caso di detenzione per almeno due anni delle quote, un’aliquota inferiore, la stessa prevista per i titoli di stato, 12,50%.
Il rilancio dell’economia reale non può che avvenire potenziando gli interventi sulle start up a tutto campo: solo così non avremmo interventi solo speculativi, ma finalizzati alla costruzione di aziende che creino sviluppo, innovazione e lavoro. In tal modo l’investitore, attratto da una tassazione agevolata, potrebbe focalizzare i propri interventi nelle start up, con ritorni immediati sulla crescita del Paese.
Si consideri che la fuoriuscita dal capitale di una start up, con una plusvalenza di un milione, sconterebbe con l’aliquota del 26 per cento un’imposta pari a 260.000 euro, rispetto alla soluzione prospettata di euro 125.000. Diversamente, qualora non si attuassero politiche incentivanti sulla tassazione delle rendite, rischieremmo che gli investitori si focalizzino solo su speculazioni esclusivamente finanziarie, penalizzando l’economia del paese con interventi minimali nei confronti delle start up.
Un’aliquota ridotta per le start up avrebbe come effetto un maggior introito erariale, rispetto alla previsione di un’aliquota maggiore ed agevolerebbe l’avvio di nuove attività che, per loro natura, potrebbero essere il futuro del nostro Paese in quanto innovative.
Non si dimentichi che un investimento in start up presenta rischi più elevati, pertanto si ritiene corretto creare, a livello fiscale, agevolazioni che favoriscano lo sviluppo delle stesse.
* Studio Trevisan & Cuonzo Avvocati