Un ecosistema, recita un qualsiasi dizionario della lingua italiana, è un «insieme indissolubilmente interrelato, costituito da una comunità di organismi animali e vegetali e dall’ambiente fisico in cui essa vive». Serve quindi una comunità, con i suoi abitanti, che si confronti in maniera indissolubile con il contesto in cui vive. Un ecosistema delle startup in questi termini non esiste ancora, semmai ne esistono diversi, di differente natura, dimensione e posizione, culturale e geografica. L’ecologia delle startup quindi prevederebbe una maggiore interrelazione fra uomini e cose, associazioni e istituzioni e anche con le altre porzioni di biosfera sociale ed economica.
Ecosistema, lo sappiamo bene, è parola usata e abusata, perché rassicurante e inclusiva ma a me piace leggerla soprattutto come espressione di un’ambizione che illumina la via verso una destinazione possibile e necessaria: un sistema forte con una continua interazione tra “biocenosi” ed “ecotopi”, se vogliamo continuare a divertirci con la metafora ecologica (gli ecotopi sono le componenti senza vita dell’ambiente, diciamo le tecnologie; i biocenosi quelli vitali, pensiamo agli imprenditori, gli investitori, le istituzioni). È questo l’unico modo possibile per raggiungere un equilibrio di fattori e di azioni tutti tendenti al benessere e allo sviluppo generale dell’ecosistema, appunto.
Giovedì 13 marzo ItaliaStartUp ha dato appuntamento a Milano per fare il punto sullo stato di salute del pianeta startup. Ha chiamato coraggiosamente l’incontro “Stati generali dell’ecosistema startup italiano”. Sarà un momento di confronto e riflessione su quanto fatto finora e quanto resta da fare alla vigilia di un importante evento internazionale dedicato all’imprenditorialità, a Mosca, evento che nel 2015 sarà ospitato proprio a Milano. Si parlerà di incentivi fiscali e altro, ci sarà il presidente della Piccola Industria di Confindustria, quell’Alberto Baban che dalle sue parti, in Veneto, è già andato avanti nell’integrazione fra nuove e vecchie imprese. Ci sarà il neoministro Federica Guidi, che debutta così sulla scena delle startup. Un incontro importante che non rappresenta però ancora l’ecosistema, anche perché l’ecosistema non c’è ancora. E non ci sarà fino a quando la giusta competizione fra soggetti e territori produrrà contrapposizione e veti incrociati. La gara a chi è più avanti va bene, ma solo se c’è qualcosa da trainare altrimenti resteremo come brillanti nani nella terra dei giganti. Pensare di essere la capitale delle startup, a NordEst come a SudOvest, va bene perché concentrare risorse ed energie è necessario, ma non ci sono capitali senza un Paese. E da qualche parte questo Paese delle startup e dell’innovazione bisogna pure cominciare a costruirlo e soprattutto farlo crescere.
Non ci possiamo più permettere campanilismi ed e invidie personali. Semplicemente. Siamo tutti contenti che di startu si parli finalmente a Porta a Porta e a Ballarò. Ottimo. Ma ce ne facciamo poco dei passaggi televisivi se non cambiano le dimensioni del fenomeno. Basti vedere il divario che ancora divide Europa e Stati Uniti: mille miliardi di dollari di investimenti. Non solo: «Il valore delle startup europee», ricorda Alberto Onetti, presidente della Fondazione Mind the Bridge, « è complessivamente stimabile in 36 miliardi di dollari mentre quello delle cugine a stelle e strisce 1773 miliardi». E noi stiamo ancora qui a brigare attorno alle briciole? «Ci sono tanti luoghi, tante iniziative, tanti progetti ma sono terribilmente sparpagliati e scoordinati», ha detto a EconomyUp il capo della segereteria tecnica del Mise Stefano Firpo, uno che ne intende.. «Bisogna tirare fuori maggiori risultati, maggiore visibilità, maggiore densità». Con questo spirito e questi obiettivi bisogna partecipare agli Stati Generali dell’ecosistema che ci sarà.