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Elezioni 2018, Luciano Floridi: “Al futuro governo serve un matrimonio tra green e digitale”

“Bisogna mettere insieme verde e blu, ambiente e nuove tecnologie” dice, in vista delle politiche del 4 marzo, il filosofo italiano che insegna a Oxford. Ma suggerisce anche di privatizzare i beni culturali e trasformare il reddito di cittadinanza in prestito una tantum erogato dallo Stato. Ecco le sue proposte

Pubblicato il 19 Feb 2018

Luciano-Floridi-web-photo-courtesy-of-Ian-Scott

Incentivare i più ricchi a investire in società con scopi sociali, concedere prestiti di Stato ai cittadini meno abbienti, dare in gestione i beni culturali a società private, coniugare l’economia green con l’economia “blu” del digitale, perché “su Internet non siamo presenti in modo serio e non possiamo rischiare una Caporetto tecnologica”: sono alcuni suggerimenti al governo che uscirà dalle urne il 4 marzo da parte di Luciano Floridi, professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione all’Università di Oxford, dove dirige il Digital Ethics Lab. Abbiamo intervistato una delle voci più autorevoli della filosofia contemporanea nell’ambito dell’iniziativa di Digital360#InnovationFirst, che punta a raccogliere indicazioni dai protagonisti dell’innovazione sulle priorità per la trasformazione digitale e la crescita del Paese nell’agenda del prossimo governo. L’autore de “La quarta rivoluzione – Come l’infosfera sta trasformando il mondo” vive e lavora nel Regno Unito, ma è italiano e mantiene legami con il Paese d’origine. Perciò non ha difficoltà ad elencare quelle che, a suo parere, sono le principali sfide che dovrà affrontare il nuovo governo. Partendo non dall’Italia, ma dall’Europa. “L’esecutivo che verrà – dice – dovrà espandere e rafforzare l’euro”.

Dunque l’Italia ha bisogno di più Europa?

A mio parere sì. L’euro deve diventare una valuta più forte e includere più nazionalità al suo interno. Di conseguenza occorre rafforzare la Banca Centrale Europea e assicurarle un ruolo da protagonista nella gestione dell’euro. È progetto con tempi lunghi: non l’Europa come tappabuchi, che serve solo quando le cose vanno male, ma un’Unione europea in linea con il 21esimo secolo. L’Ue è stata costituita nel 20esimo secolo, è il momento di aggiornarla e rafforzarla. Del resto l’Europa è una grande potenza.

Non rischiamo di finire schiacciati tra Stati Uniti e Cina?

Sa qual è il ‘Paese’ del G20 con la più alta percentuale di Pil (prodotto interno lordo) rispetto a quello mondiale, un’elevata spesa in ricerca e sviluppo e una bassa presenza di stranieri residenti? Non si tratta né della Cina, né degli Stati Uniti: è l’Europa. Un’Europa considerata come un’unica entità e non come una somma di nazioni, che dunque primeggia tra le 20 realtà più industrializzate del pianeta. Per intenderci: se l’Europa corresse ai giochi olimpici come un’unica nazione stravincerebbe. Gli Stati Uniti hanno ottenuto oltre 2500 medaglie, la Russia un migliaio, ma UK ne ha prese 847, la Francia 713, la Germania 615 e l’Italia 578. Solo sommando queste quattro nazioni finiremo al primo posto. È chiaro che insieme siamo una grande forza. Quindi auspico per l’Italia una politica internazionale mediata da questa interfaccia che si chiama Ue, nella quale dovremmo avere un ruolo da protagonisti e non da comparse. Penso a personalità come Mario Draghi, presidente della Bce: questa è l’Italia che fa scuola nel mondo.

Fin qui la politica internazionale. E per quella nazionale?

Sarebbe bello riuscire a ricucire il tessuto sociale che si è strappato malamente e ricostruire il patto generazionale: la generazione precedente deve fare sacrifici per la generazione futura. In questo contesto la politica deve saper infondere speranza e fiducia nel futuro. Come? Innanzitutto con il realismo: bisogna smettere di promettere tagli alle tasse, sappiamo che è una presa in giro. Ci vorrebbero invece più investimenti in ammortizzatori sociali. Non parlerei di reddito di cittadinanza ma di capitale di cittadinanza.

Qual è la differenza?

Non bisogna regalare niente a nessuno perché non è giusto, ma non è neanche giusto che vengano fatti sacrifici da milioni di persone e poi il frutto di questi sacrifici non venga goduto da nessuno. Il vantaggio di vivere nel 21esimo secolo è in fondo anche questo: avere uno Stato in grado di dare fiducia al cittadino. Quindi lo Stato dovrebbe poter erogare prestiti. Se sono un cittadino italiano devo aver diritto a un minimo di capitale che lo Stato può prestarmi: posso decidere di utilizzarlo per arredare la casa, o aprire una startup, o seguire un corso di formazione, o acquistare un’auto. In Gran Bretagna si fa per gli studenti, lo Stato concede loro borse di studio: chi in futuro guadagnerà adeguatamente restituirà il denaro ricevuto, chi invece non ce la farà non sarà costretto alla restituzione. In questo modo il Paese dimostra la volontà di investire nella propria popolazione. Ovviamente poi ci sarà da disegnare la cornice di questo provvedimento: potrebbe essere previsto solo per determinate fasce di reddito e magari una sola volta nella vita, o in un determinato periodo della vita. Tutto questo dovrà essere messo a punto successivamente. È una proposta che ho lanciato all’Unione europea e che ripropongo per l’Italia. E ne ho un’altra in ambito fiscalità.

Quale?

La diseguaglianza economica è un grave problema mondiale. Mi dispiace tantissimo che qualcuno guadagni 100 volte più di un altro, ma è peggio se quello che guadagna così tanto non fa circolare il denaro che ha. Si può scegliere di applicare una tassazione importante per chi è sopra una certa fascia di reddito o di garantirgli agevolazioni per muovere il capitale. O saltano o li spingiamo, si dice in UK. Io propendo per incentivi alla spesa in modo da non far scappare i più ricchi dal Paese. In particolare suggerisco incentivi per chi mette soldi in realtà in grado di portare benefici sociali: penso ad agevolazioni alle aziende che investono in formazione ma anche a premi per i professionisti che incrementano i posti di lavoro. Se un riccone provvede con i propri soldi alla bonifica di una spiaggia, lo premiamo facendogli pagare meno tasse o attraverso altri benefit. Bisognerebbe insomma cercare di far capire ai benestanti che non si tratta di proteggersi dallo Stato, ma che con lo Stato possono collaborare.

Esempi concreti?

Le BCorp, società che consentono a un imprenditore di produrre benefici e creare un’innovazione positiva per la propria impresa ma allo stesso tempo per la comunità e l’ambiente.  Si tratta di una nuova forma giuridica di impresa, introdotta a partire dal 2010 come Benefit Corporation negli USA, dove 33 Stati l’hanno già approvata. In Italia la normativa sulle Società Benefit è stata approvata nel 2015 con il supporto di tutte le principali forze politiche ed è operativa dal 2016. Gli Stati Uniti, però, non hanno approvato la legge a livello federale, ma nell’ambito dei singoli Stati, perciò possiamo dire che l’Italia è la prima nazione al mondo ad avere le BCorp. Abbiamo la legislazione, facciamola funzionare. Così come dovremmo far funzionare molto meglio l’immenso patrimonio artistico e culturale che abbiamo.

La sua proposta per i Beni culturali?

Darli in gestione ai privati. Bisogna trasformare i beni culturali in un grande motore, non dobbiamo percepirli come un peso, perché sono e possono essere una sterminata fonte di ricchezza e di lavoro. Lo Stato non se ne può occupare, deve affidare la gestione a qualche grande azienda. Non sto parlando di privatizzare ma di agire nella logica di co-partecipate come Poste e Autostrade. Il turismo nella società dell’informazione ci permette di avere un vantaggio competitivo. In un mondo in cui il digitale permette lo scollamento tra presenza e localizzazione (su questo concetto vedi una precedente intervista su EconomyUp), le agenzie di banca chiudono perché, mentre consulto il mio conto bancario online, la mia localizzazione è a casa e la mia presenza in banca non è necessaria. I beni artistici e culturali, invece, non permettono lo scollamento tra presenza e localizzazione. Sono cose uniche che vanno esperite: il Colosseo a Roma, le calli di Venezia…L’Italia potrebbe diventare la massima potenza di tutti i tempi nell’economia dell’esperienza. Dall’agriturismo al museo, dalla fabbrica che produce scarpe su misura ai produttori di vino o di mozzarella, noi siamo in grado di offrire esperienze uniche. Eppure è come se ci sembrasse poco serio trarre ricavi dall’esperienza. Invece dovremmo. Così come dovremmo ricavarne dal matrimonio tra verde e blu.

Cioè?

Il verde è l’economia ecologica ambientalista, che può essere fonte di ampi profitti. Penso per esempio ai rifiuti, che sono un grande business: non a caso, malauguratamente, ne traggono profitto le organizzazione criminali. L’economia verde si sposa benissimo con l’economia dell’esperienza. Ma deve allearsi anche con l’economia blu, il digitale. Il matrimonio tra tecnologia e ambiente è vitale per la prosperità del pianeta, dei suoi abitanti e quindi di ogni società, inclusa quella italiana. Perciò oggi le soluzioni trovate da una buona politica per perseguire il progetto umano devono essere sia verdi, ovvero riguardanti l’economia ambientalista e della cultura, sia blu, ovvero relative all’economia digitale e dell’informazione. Ma sul digitale l’Italia è ancora troppo indietro. Siamo un grande paese esportatore, eppure non siamo presenti seriamente su Internet. La nostra non può essere una Caporetto tecnologica. Per esempio la Francia è infinitamente più presente di noi online.

Ma abbiamo le potenzialità per cercare di riconquistare posizioni rispetto alla Francia e alle altre nazioni più forti?

Bisogna prima uscire da un certo auto-compiacimento: ci crediamo chissà chi e ci lamentiamo di noi stessi ad ogni passo. Siamo la Grande Bellezza e la Grande Lamentela. Invece non siamo né i più fighi né i peggiori. Siamo solo quelli che potrebbero farcela, se solo si impegnassero veramente.

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Luciana Maci
Luciana Maci

Giornalista professionista dal 1999, scrivo di innovazione, economia digitale, digital transformation e di come sta cambiando il mondo con le nuove tecnologie. Sono dal 2013 in Digital360 Group, prima in CorCom, poi in EconomyUp. In passato ho partecipato al primo esperimento di giornalismo collaborativo online in Italia (Misna).

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