Da poche ore si è concluso lo Startup Day organizzato da AGI, una iniziativa davvero lodevole di Riccardo Luna, che ha chiamato a raccolta i rappresentanti dei fondi di investimento e delle associazioni di Business Angels italiani. Qui il video integrale.
A caldo, mi sembra di poter dire che è stata però un‘occasione che poteva essere meglio sfruttata, per almeno due ordini di motivi:
- l’assenza di una maggiore rappresentanza della Politica e in particolare modo del governo uscente.
- la mancanza di una visione unica di sintesi delle richieste degli operatori in campo.
Sul primo punto, andava forse invertito il rapporto tra numero dei rappresentanti del mondo della finanza e numero dei rappresentanti politici. Ma qui abbiamo la scusa, siamo in periodo elettorale e il tema start-up e innovazione, come poi detto nel corso dell’evento, non crea entusiasmi di piazza (leggasi, manifestazioni di fronte ai palazzi del governo e del parlamento) e quindi non fa presa su elettorato e voti. Rassegniamoci!
Sul secondo punto, di scuse ne abbiamo davvero pochine: qui avevamo l’obbligo morale di arrivare coesi, con (poche) idee chiare e convincenti. È già difficile convincere la politica e i policy makers che un Paese che non investe in innovazione, sapere e trasferimento tecnologico verso il mondo produttivo è un paese destinato a rimanere inesorabilmente indietro nello sviluppo economico. Ma se poi ci arriviamo e ognuno dice la sua, il rischio di chiedere troppo e ottenere niente (o poco) è dietro l’angolo.
Purtroppo abbiamo mancato di una regia complessiva, forse troppo presi dal voler comparire e dire la nostra in una bella e visibile cornice istituzionale. Credo sia stato un peccato non ci sia stata la regia dell’associazione nazionale degli operatori, l’AIFI. E così si è parlato di tutti i mali che affliggono questa piccola (direi inesistente) industria, dalla mancanza di fondi (pubblici), alla “pochezza” degli asset manager delle casse di previdenza sino ad invocare il risparmio privato nazionale (o della previdenza integrativa) come la panacea di tutti i mali!
Gli umori passavano dalla richiesta di 5 miliardi in 5 anni, alla “domanda che mi pongo da 10 anni occupandomi di venture capital”, al “si, c’è un sottostante in cui investire” con la necessità di “ripartire dal capitale della fiducia” e – all’opposto – sensazioni di profonda delusione per quanto fatto sino ad oggi dalla politica, la debolezza della domanda di innovazione (da parte delle nostre medie-grandi imprese), velati messaggi di integrazione tra le tante piccolissime SGR (cifr. ossia i gestori del fondi di investimento) o presunti ossimori tra innovazione e disponibilità di fondi! insomma, davvero un gran minestrone!
Intendiamoci, tutto corretto e tutte richieste assolutamente condivisibili. Ma siamo poco più che all’anno Zero, quindi mi sarei concentrato su meno richieste e più coordinate. Consideriamolo un buonissimo punto di partenza, ad AGI e all’ottimo Riccardo Luna ora mantenere la promessa fatta di rifare il punto a un anno data.
STARTUP, TROPPE PROPOSTE E ANCHE DISSONANTI
Ed ecco allora tutte le proposte fatte, in alcuni casi anche dissonanti (come peraltro detto dall’onorevole Palmieri di Forza Italia). Mi limito a riportarle in ordine di intervento, non è questa la sede per i commenti né sulle proposte né su alcuni interventi di che erano più di promozione personale che di sistema.
- creare piccoli incentivi per far si che investitori istituzionali investano nell’asset class;
- creare un mercato dell’exit;
- incentivi per il corporate venture capital;
- incentivi sulla tassazione;
- garanzia pubblica sugli investimenti;
- aumentare l’incentivo del 33% sugli investimenti in start-up per le persone fisiche;
- attivare un fondo per incentivare gli investimenti dei business angels (cifr. Progetto Caravelle);
- essere ri-coinvolti nella task forse per confrontarsi in maniera continua con la politica;
- fondi pubblici in co-matching con fondi privati;
- prevedere una percentuale dei PIR per investire in start-up;
- valorizzare le competenze all’interno delle start-up, anche in logica di certificazione delle stesse;
- creare un’Agenzia dell’Innovazione;
- equiparare l’acquisizione di una start-up agli investimenti in R&D, defiscalizzandola al 50%;
- convogliare costantemente una % annua dei flussi degli investitori verso l’innovazione;
- identificare nella prossima legislatura di un owner, “un responsabile che metta a fattor comune tutto quanto si è detto”;
- semplificare il quadro normativo (cifr. leggi del 1955 in ambito universitario che ostacolano i processi di Technology Transfer);
- incentivare gli investimenti della previdenza integrativa nei fondi di venture capital;
- cabina di regia sull’innovazione;
- fondi in co-matching per gli incubatori.
CHE COSA DICONO LE IMPRESE E LA POLITICA
Dal mondo delle imprese, si distinguono Davide Dattoli di Talent Garden, che ammette possano anche servire i 5 miliardi di investimento richiesti nel primo intervento, ma che vengano dati in logica meno democristiana e più selettiva, per far nascere 2-3 campioni nazionali da esportare all’estero. E ancora, Giovanni De Lisi che – lamentandosi come i nostri VC siano concentrati solo sul digitale, quando il nostro tessuto economico-produttivo è fatto in prevalenza da ben altro – afferma senza troppi giri di parole che gli avrebbe fatto comodo avere il supporto di Trenitalia (lui che con la sua Greenrail, forte di 80 brevetti internazionali e contratti da milioni di euro all’estero, produce traverse in materiale riciclato per i binari del treno) in una logica di sistema Italia che supporta e spinge quelle start-up innovative che possono scalare all’estero avendo i numeri per essere un champion nazionale.
Dal mondo della politica, l’Onorevole Palmieri (Responsabile Internet e Nuove Tecnologie di Forza Italia) ha fatto notare che la legislazione messa in campo dal 2012 ad oggi è “l’unico esempio di legislazione dove lo stato è amico di chi intraprende”, nonostante ancora oggi manca un Ministro dell’innovazione, cosa che invece c’era con il governo del 2011. E dal quale ripartirebbe, insieme al tema della flat-tax, tasse zero sui PIR, potenziamento degli Istituti Tecnico-Scientifici.
L’Onorevole Laura Castelli (Commissione Bilancio, Tesoro e Programmazione del Movimento 5 Stelle) ha una ricca ricetta: una Banca Nazionale degli Investimenti (una sorta di BEI nazionale), la revisione annuale della Legge sulla Concorrenza, la riduzione della pressione fiscale (da 5 a 3 aliquote, oltre al dimezzamento dell’IRAP), maggiore giustizia civile per le imprese, abrogazione di norme impossibili (già 400 identificate), riorganizzazione macchina dei ministeri, compreso un ministero che si occupi di strategia e innovazione a livello nazionale, rivedere le nomine da parte della politica nelle aziende di stato.
Il Responsabile Economico e Formazione Lega Nord, Armando Siri, in collegamento telefonico, ritiene che non possa essere “lo stato a mettersi in primo piano ad investire direttamente”, può aumentare le dotazioni alle università, che “si collocano ancora come gli enti di eccellenza che possono dare una mano all’innovazione”, ma può anche agire dal punto di vista della fiscalità, della decontribuzione e anche pensare di aumentare la deducibilità o detraibilità (cifr. per gli investimenti in start-up) ove ricorrano particolari caratteristiche (“al di la delle vocazione sociali dell’innovazione, si pensi a quelle startup che possono dare posti di lavoro”).
Stefano Scalera (Consigliere del Ministro dell’Economia per l’attrazione degli investimenti esteri in Italia) ci lascia due stimoli-provocazioni: “occorre ragionare sul ruolo del CNR” e su una strategia per farlo diventare Incubatore di innovazione, in modo da parlare di innovatore del CNR piuttosto che dei precari del CNR.
E infine, Stefano Firpo (Direttore Generale, Direzione Generale per la politica industriale, competitività e le piccole e medie imprese del Ministero dello Sviluppo Economico) ha giustamente rivendicato con orgoglio quanto fatto sino ad oggi, considerandolo “un gioiellino del policy making” in Italia. E in effetti i risultati sono “piuttosto incoraggianti per gli obiettivi che ci si era posti”. E snocciola qualche numero (non quello delle start-up innovative del Registro delle Imprese, li qualche area grigia c’è purtroppo) che la normativa sulle start-up ha contribuito a mobilitare: quasi 90 milioni di euro di investimenti in equity, più o meno 700 milioni di euro di finanziamenti bancari, le iniziative di Invitalia, CDP, etc.
STARTUP, CHIEDIAMO SOLDI PUBBLICI SENZA TIMORE
Giungo alle mie considerazioni finali:
- Startupday di AGI è stato comunque un bellissimo momento di brain-storming, ora agiamo per mettere per iscritto un nuovo “libro bianco dell’innovazione”, con poche richieste per la politica, con l’obiettivo concreto di portarle a casa, in tempi rapidi ma con un orizzonte di copertura temporale auspicabilmente medio-lungo;
- chiediamo soldi pubblici, senza timore (o come detto in un intervento, “diciamolo francamente”) perchè quella del Venture Capital oggi è un’industria cosiddetta “a fallimento di mercato”, che non “ritorna gli investimenti fatti”: va aiutata come in tutti gli altri paesi moderni, come ad un bambino si insegna il meglio per dargli le ali e farlo poi volare via (magari all’estero, a fare start-up….consentitemi la battuta); qui su Startupbusiness un altro post su una virtuosa mano pubblica,
- “comunichiamo di più e meglio”, per far capire al Paese che, parlando di innovazione e start-up, parliamo nell’interesse del paese e non dei singoli.
Siamo a un punto di non ritorno: come detto in uno degli interventi più “duri e puri” che si è sentito durante l’evento, “senza un sistema che favorisce l’innovazione, il Paese non potrà che sprofondare in una decrescita dal quale non si riprenderà più”.
Post scriptum 1: da ultimo, una nota di colore. La platea era alquanto freddina, si sono registrati solo tre applausi: nell’ordine di “enfasi” dell’applauso, ha registrato più consensi l’intervento di Laura Castelli (che sia un indizio-conferma di come si sta muovendo l’elettorato italiano?) e a seguire quello di Gianluca Dettori, un veterano dell’industry, che ha emozionato con il suo concetto del “rimettere in circolo il capitale della fiducia” e che ha avuto il coraggio di ammettere pubblicamente – onore a Gianluca – che “nessuno oggi in Italia ha track record sui propri fondi, perché occorrono 10-15 anni per vedere un primo giro con ritorni positivi).
Post scriptum II: le frasi di questo post tra virgolette sono state pronunciate dai singoli intervenuti, non mi prendo quindi né il merito né il demerito!