Crowdfunding, c’è il rischio che sia solo per una élite

Nel Regolamento Consob che entra in vigore il 27 luglio, c’è qualcosa di troppo: sono stati introdotti limiti e procedure che impediscono al nuovo sistema di finanziamento di diventare aperto anche agli stessi startupper. È auspicabile una legislazione europea più innovativa

Pubblicato il 25 Lug 2013

Il regolamento che la Consob ha varato nei giorni scorsi in tema di crowfunding e che entrerà in vigore a partire dal 27 luglio è indubbiamente un atto normativo rilevante e, per una volta, consente al nostro Paese di essere “in frontiera” in un ambito importante per la creazione e lo sviluppo di nuove imprese. L’Italia, infatti, è la prima nazione europea a essersi dotata di un quadro normativo puntuale su questo tema. Il fatto stesso che la Consob abbia modificato la prima bozza del regolamento, intervenendo nel senso indicato da molti attori del mercato, tra cui Italia Start up, dimostra attenzione e sensibilità nell’interpellare le realtà coinvolte nell’ecosistema delle startup.

Riteniamo tuttavia che sussistano ancora importanti aree di miglioramento, soprattutto perché i costi e le complessità operative potrebbero disincentivare alcuni risparmiatori dagli investimenti diretti in startup. Per questa ragione, parlare di decollo del settore grazie all’introduzione del regolamento sul crowdfunding pare in qualche modo eccessivo, mentre è corretto auspicare che il regolamento possa facilitare l’ampliamento del mercato del finanziamento delle startup, interessando nuovi investitori.

Il crowdfunding può, infatti, coinvolgere negli investimenti in nuove imprese innovative non solo gli attuali e relativamente pochi angel investor e venture capitalist, ma anche un più ampio gruppo diimprenditori, professionisti e singoli risparmiatori. L’auspicabile attivazione di più piattaforme di crowdfunding in concorrenza fra loro, insieme all’intervento nel mercato dei soggetti regolati bancari e finanziari, può contribuire ad ampliare il numero di coloro che vogliono investire in nuove iniziative imprenditoriali: l’effetto della pubblicità è infatti inizialmente cumulativo nell’ampliare la conoscenza di un nuovo servizio da parte del pubblico.

Entrando nello specifico del regolamento, ci sembra di notare che più che mancare qualcosa, c’è qualcosa di troppo: ovvero, sono stati introdotti limiti e procedure, con conseguenti costi e complessità. Nell’innovazione spesso è vero che “meno è di più”. Nel senso che la semplicità è frutto di molto pensiero: è più difficile togliere che aggiungere.

La motivazione per cui si è costruito comunque un regolamento complesso è a nostro parere dovuto al mantenimento di un riferimento concettuale da parte della Consob fortemente collegato al mondo dei mercati regolati e della Borsa, insieme ad un’idea di “tutela del risparmiatore” che poco considera i meccanismi della rete, con la sua capacità di controllo sociale ed intelligenza collettiva. Entrando nei tecnicismi della materia, un punto cruciale per il successo della raccolta tramite portali di crowdfunding è la definizione dell’esecuzione. Diventa difficile immaginare come pratica e operativa la sottoscrizione di micro-quote per importi minimi (decine o poche centinaia di euro) da parte di una pluralità di soggetti in una Srl e tantomeno la cessione di quote secondo l’attuale previsione fiscale.

Il rischio concreto è che l’equity crowdfunding così impostato si limiti ad una élite più ampia di finanziatori, ma pur sempre una élite e non diventi, invece, un sistema popolare e aperto al contributo di piccoli risparmiatori, inclusi studenti e startupper stessi. Mi auguro che il Professor Andrea Beltratti, recentemente indicato alla guida del consorzio “Patti Chiari” dell’ABI, voglia considerare come l’investimento diretto di piccole somme attraverso il crowdfunding possa contribuire a formare l’azionista e l’imprenditore del futuro, perché l’educazione finanziaria, se fatta con soldi veri e veri imprenditori, vale di più. Ad andare in bici o ad investire, la gestione di un equilibrio instabile si impara con la pratica fin da piccoli (e per diventare investitori in capitale di rischio non è mai troppo tardi per imparare).

Se osserviamo la normativa appena introdotta nel più ampio quadro europeo, è evidente che ci sono esperienze, ad esempio in Regno Unito e Olanda che riflettono un’impostazione generale più liberale della nostra e più amica dell’intraprendere, anche in tema di equity crowdfunding. E se nel Global Competitiveness Index il Regno Unito è all’ 8° posto e l’Olanda al 5° mentre l’Italia non entra nella Top 30 qualche correlazione ci sarà pure. Quello che noi riteniamo auspicabile, come Italia Startup, è una legislazione Europea che superi l’arbitraggio normativo e permetta di operare a livello continentale in applicazione delle previsioni di un’Europa realmente senza frontiere e barriere, con libera circolazione di persone e capitali.

Marco Bicocchi Pichi, imprenditore e business angel, è membro del Consiglio Direttivo di Italia Startup

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