La sharing economy, economia della condivisione che comprende un’ampia serie di attività e servizi, si sta gradualmente orientando al business: le piattaforme stringono sempre più accordi con realtà esterne e alleanze con le assicurazioni, mentre si accendono i fari sui diritti dei lavoratori di questo settore. E’ quanto emerge dal quarto rapporto annuale “La Mappatura delle piattaforme collaborative” a cura di Marta Mainieri (Collaboriamo), presentato alla quinta edizione di Sharitaly 2017 – Platforms in action.
È un momento di trasformazione, e di nuove opportunità, quello che oggi vede la sharing economy evolvere verso una fase di naturale assestamento del mercato. Con questo termine negli ultimi anni si è spesso indicato un po’ di tutto, da una società che consente di chiamare auto a noleggio da smartphone quale la miliardaria Uber, a un colosso dell’e-commerce come eBay. Realtà che però, persino a uno sguardo superficiale, appaiono molto diverse tra loro per natura, attività e modalità di operazioni.
Secondo l’Oxford Dictionary, il prestigioso dizionario che ha introdotto il termine nel 2015, la sharing economy è “un sistema economico in cui beni o servizi sono condivisi tra individui privati, gratis o a pagamento, attraverso Internet.
Sharing economy, cos’è e quali sono le aziende che hanno avuto successo
Fino a poco tempo fa questo concetto veniva letto da alcuni come esempio di condivisione gratuita e virtuosa. Nel corso del 2017, sostiene l’indagine, è partita, almeno in Italia, una fase da cui emerge l’apertura a nuovi modelli di collaborazione con terze parti sia business sia non profit. Obiettivo: generare ulteriori possibilità di crescita attraverso un’offerta diversificata e favorire la costruzione di filiere inedite, fra cui spicca in particolare l’importanza dei servizi assicurativi per la credibilità delle piattaforme. Inoltre quest’anno è stata approfondita la questione dei diritti dei lavoratori delle piattaforme.
MAPPATURA DELLE PIATTAFORME COLLABORATIVE
Dalla mappatura emerge la tendenza delle piattaforme ad aprirsi verso nuovi mercati. Nonostante l’offerta p2p rimanga l’attività principale, la ricerca evidenzia la presenza di una maggiore componente orientata al business. I dati raccolti dimostrano infatti che circa 1/3 delle piattaforme ha un’offerta orientata anche al business profit e non profit. Se da un lato l’internazionalizzazione delle piattaforme fatica a crescere perché non è trainata da grandi investimenti, dall’altro aumenta la consapevolezza degli imprenditori che considerano sempre più strategico aprirsi all’estero per aumentare la propria customer-base.
Ciononostante il 67% del mercato delle piattaforme è ancora prevalentemente locale o nazionale e il 35,6% ritiene importante essere presenti anche a livello internazionale ma considera prioritario consolidarsi prima sul mercato nazionale/locale.
Le transazioni monetarie rimangono il modello di business prevalente con una particolare attenzione al mercato dei servizi assicurativi che viene ritenuto importante per dare credibilità alle piattaforme e rilanciare gli scambi. Il 77,7% dei soggetti intervistati dichiara infatti che la presenza di un’assicurazione sulle transazioni fra pari è fondamentale per aumentare la fiducia nella piattaforma.
I SETTORI DELLA SHARING ECONOMY NEL 2017
Fra i settori di spicco della sharing economy si confermano in crescita i servizi alle persone (pari al 20% delle piattaforme analizzate), dove emergono ambiti nuovi come quello immobiliare; seguono fra gli altri i trasporti (pari al 14,4% ma in calo significativo), i servizi di scambio/affitto/vendita (14,4%), servizi alle imprese (9,6%), turismo (12,8%), cultura (8,8%) ecc. Tema di grande attualità è inoltre quello della regolamentazione dei nuovi rapporti di lavoro scaturiti dalle opportunità della gig economy, ma spesso ancora poco tutelati. Una risposta a queste tematiche arriva dal nuovo modello del platform cooperativism, caratterizzato da piattaforme cooperative fondate sul principio della mutualizzazione dei costi sociali e sulla condivisione collettiva dei rischi del lavoro autonomo.
UN CASE STUDY: LEROY MERLIN
Il modello piattaforma trasforma anche il territorio e il business. Un case study è quello di Leroy Merlin, che con il punto vendita Giulio Cesare di Torino punta ad un modello di negozio-piattaforma, nel quale i collaboratori possano attivarsi con progetti sul territorio, volti a coinvolgere la comunità, offrendo servizi utili e con il supporto dei cittadini stessi. Si tratta di un nuovo modo di fare impresa inclusivo e aperto verso l’esterno, che crea così un legame stretto con il territorio e la comunità.