Made in Italy

Natura e innovazione: così nasce Diasen, Pmi dell’edilizia green

L’azienda marchigiana produce un intonaco a base di sughero usato anche a Cuba e in Africa. Sostenibilità, internazionalizzazione (ha filiali in America e Medio Oriente) e innovazione (investe il 5% degli 8 milioni di fatturato in ricerca e sviluppo) sono le caratteristiche di questa Pmi inserita tra le Top 100 delle aziende green italiane

Pubblicato il 09 Dic 2015

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Scommettere tutto sulla sostenibilità e vincere la scommessa con un mix di innovazione e lungimiranza. Quella di Diasen, pmi di Sassoferrato, comune dell’entroterra marchigiano, è una storia tutta basata sul green e sull’innovazione. “Ne abbiamo fatto il nostro cavallo di battaglia prima e la nostra carta d’identità poi” dice Diego Mingarelli, amministratore unico di una realtà fondata dal padre Floriano, di cui ha saputo capitalizzare l’eredità e l’intuizione. “Dopo gli anni ’90 il settore edile avrebbe subito una profonda trasformazione. Mio padre aveva già cominciato a porsi qualche domanda sull’impatto ambientale” racconda Mingarelli. Da allora ha orientato le scelte aziendali verso prodotti più innovativi, a basso impatto ambientale e ad alto contenuto tecnologico. Insomma, un caso in cui natura e innovazione si uniscono in un connubio perfetto. Basti pensare che l’intonaco a base di sughero prodotto da questa pmi è stato utilizzato anche a Cuba e in Africa.

Ma andiamo con ordine. Nel 1978 Diasen non esiste ancora. Al suo posto c’è Italsolventi, l’azienda che produce solventi per uso

Diego Mingarelli, amministratore unico di Diasen

industriale. Sono i primi anni Ottanta quando Italsolventi inizia a pensare all’edilizia green e a come poter sostituire sabbia e cemento con sughero e calce. “L’obiettivo era trovare le materie prime naturali per porre le basi per l’edilizia ecologica” racconta Mingarelli. Detto fatto. Nel 1985 viene ideato il prodotto destinato a diventare core business di Diasen: la diathonite, un composto a base di sughero per l’isolamento termico e il risanamento dell’umidità. Poi, nel ’95, dall’unione di Diathonite e Sentium (nome con il quale viene chiamata la vecchia città romana di Sassoferrato) nasce il marchio Diasen, sotto il quale si raggruppa la linea per l’edilizia green di Italsolventi. Nel 1999 la produzione di solventi viene totalmente abbandonata: Italsolventi viene riconvertita al naturale e viene fondata l’azienda Diasen. Che ha già chiari mission e piano di sviluppo. Da una parte, difesa dell’ambiente e impatto green diventano definitivamente l’identità aziendale: non a caso Diasen, grazie alla lavorazione del sughero per la creazione di intonaco e materiali edilizi, è stata inserita nella TOP100 delle aziende green Italiane, all’interno del rapporto “Green Italy” stilato da Unioncamere, fondazione Symbola e Ministero dell’Ambiente. I suoi prodotti non passano inosservati e sempre più realtà li scelgono: L’Unesco li seleziona per il restauro del centro storico di L’Havana, le Grandi Opere Spagnole scelgono Diasen per impermeabilizzare i viadotti della linea ferroviaria ad alta velocità Barcellona-Madrid, l’azienda collabora nella realizzazione del National Stadium in Nigeria. E non mancano casi in Italia: dall’Università Bocconi all’acquario di Genova, dal Campidoglio a Autostrade Spa: tutti si affidano a prodotti che uniscono efficacia e rispetto per l’ambiente.

Per quanto riguarda il piano di sviluppo, invece, le parole chiave dell’azienda marchigiana sono internazionalizzazione e innovazione. Diasen ha aperto filiali negli Stati Uniti e in Medio Oriente (“senza perdere di vista l’Europa” puntualizza Mingarelli), grazie alle quali nel 2014 il fatturato è arrivato a 8 milioni di euro. Il 5% del quale viene reinvestito ogni anno in innovazione e ricerca: “Non si cresce senza innovazione – dice l’amministratore unico –. O si innova o si muore. Noi vogliamo aggredire il mercato con prodotti green unici e inimitabili. Per farlo non possiamo che puntare su ricerca e sviluppo. E sulla qualità del personale: i miei dipendenti hanno un’età media di 32 anni e il 40% ha una laurea. L’abito non farà il monaco ma sicuramente aiuta. Almeno negli affari”.

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