Al Gum, il gigantesco tempio dello shopping di lusso moscovita che si affaccia sulla Piazza Rossa (in pratica il “diavolo” consumista che per settant’anni ha sguazzato in quella che è stata l’“acquasantiera” del comunismo: il Gosudarstvennyi Universalnyi Magazin è stato infatti inaugurato nel 1893) il made in Italy la fa da padrone. A testimoniarlo, in un’intervista al Sole24Ore, è il managing director e CEO dei grandi magazzini, Teymuraz Guguberidze, secondo il quale “tra marchi italiani e francesi nelle nostre 186 boutique i ricavi più alti riguardano gli italiani, anche se i francesi sono più aggressivi. E la prossima estate, dopo Miu Miu, apriremo pure 500 metri quadrati di Prada”.
Ma la forte svalutazione del rublo si sta facendo sentire anche tra i nuovi ricchi moscoviti, dato che nel corso dell’ultimo anno il potere d’acquisto della moneta russa si è praticamente dimezzato. Tanto che lo stesso direttore di Gum ammette che “il sell-out è calato anche se i ricavi in rubli crescono a causa dei prodotti importati”. E proprio l’import è uno dei punti forti del megastore che, grazie ai suoi 11 milioni di visitatori, chiuderà l’anno con un miliardo di dollari di ricavi: l’offerta beauty vale 40 milioni l’anno, orologi e gioielli altri 140 milioni, mentre l’area food (dove spiccano il bar e il ristorante con chef italiani) totalizza 70 milioni e i souvenir russi 5 milioni.
Ma il vero business, quello che vale circa 750 milioni di dollari l’anno, è quello dei prodotti luxury e fashion. Che fanno gola non solo agli oligarchi russi ma anche e soprattutto ai turisti cinesi “che fanno shopping di fascia alta e che quest’anno peseranno per il 15% del totale. Negli anni ’90 erano i russi ad andare in Cina per fare shopping a basso costo: ora sono i cinesi a venire da noi, nonostante non abbiamo il tax free”. E proprio grazie alla svalutazione del rublo fanno incetta di prodotti di lusso, soprattutto quelli italiani che secondo il CEO di Gum sono i più richiesti, pagandoli meno che altrove: “In precedenza – sottolinea infatti Guguberidze – i nostri listini erano del 30-50% superiori a quelli europei, adesso alcuni brand hanno prezzi alla pari o più bassi di quelli di Londra”.
(C.D.)