Ecosistema

Startup, le aziende investitori migliori dei venture capital

Secondo un ricerca della Bocconi, che fotografa la situazione a fine 2014, i Vc investono solo sul 5% delle nuove imprese. È in crescita la presenza finanziaria di grandi società industriali (il 31%). Il settore su cui si investe di più è quello informatico

Pubblicato il 16 Set 2016

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Da tempo ormai il ritornello è sempre lo stesso. In Italia i finanziamenti alle startup sono troppo pochi. Motivo: mancano i capitali? Sì. Non ci sono fondi grandi a sufficienza? Anche. Le startup non hanno la qualità necessaria per attirare round sopra la media? Tutto vero. In buona sostanza questi tre fattori sarebbero la causa di un mercato nazionale asfittico, che soffre di una sorta di complesso di inferiorità, nemmeno troppo nascosto, nei confronti del resto d’Europa. Per imporre un cambio di rotta, c’è chi, tra gli addetti ai lavori, invoca l’intervento della mano pubblica utile a sopperire ai fallimenti del mercato del credito. Chi invece punta il dito contro la mancanza di team validi a cui affidare i propri capitali nella speranza di arrivare all’exit.

Per capire cosa è vero e cosa no, bisogna innanzituto partire da una domanda: qual è lo stato dell’arte della raccolta di capitali da parte delle startup in Italia? Per provare a rispondere a questo interrogativo, viene in soccorso un’analisi – che fotografa lo stato della situazione a fine 2014 – condotta da Carmelo Cennamo e Umberto Fasano due ricercatori dell’università Bocconi.

Il campione analizzato prende in considerazione le 3.179 startup innovative iscritte al registro delle imprese a fine 2014. Questi dati sono stati poi incrociati con quelli del bilancio riportati da Aida (Analisi Informatizzata delle Aziende), i dati disponibili in Aida si riferiscono solo a 2.937 startup innovative, che è la dimensione del campione analizzato. Partendo dai settori di investimento, l’analisi fa riferimento alla classificazione ATECO, quello più quotato è il comparto informatico (software, hosting dei dati, portali web, consulenza IT) nel 39.9% delle startup analizzate, seguito da attività professionali, scientifiche e tecniche (ricerca e sviluppo, pubblicità e ricerche di mercato, attività di architettura) con il 28.7%, e infine da attività manifatturiere con il 18.1% . La Lombardia si conferma la regione con maggiore concentrazione di startup (22.2% del campione analizzato). In media, le startup nel campione hanno 4 soci, un dipendente, e 18 mesi di vita.

Sul fronte dell’azionariato, è confermato il dato che la maggior parte delle startup ha tra i soci fondatori individui (nel 95% dei casi), mentre solo il 5% è partecipata da fondi di venture capital e private equity; cresce invece la presenza di soci di società industriali (31%). Nel 2014, il totale dei finanziamenti raccolti dalle startup coinvolte nell’analisi è stato di 149 milioni di euro, di cui 93 milioni in capitale e 56 milioni in debito. A vederla così si tratterebbe di un cifra non adeguata a sostenere lo sviluppo di un ecosistema fatto di realtà innovative che devono crescere rapidamente. Eppure, analizzando più a fondo, viene fuori che la maggior parte dei finanziamenti finisce in poche startup (dei 149 milioni, 133 milioni sono stati ottenuti da un quarto delle startup). In altre parole, qualche startup riceve finanziamenti sopra la media, tutte le altre si accontentano di quel che riescono a raccogliere. Risulta poi, che le startup che raccolgono più capitali hanno una concentrazione maggiore di venture capital e società industriali nel proprio azionariato (66,9%) rispetto al resto (27,7%). Tuttavia la quota detenuta dai venture capital è però soltanto del 20,3%, contro il 46% di società industriali. Questo dimostra che i venture sono tutt’altro che predatori finanziari, ma che prediligono soluzioni di investimento in cui possono godere del supporto delle società industriali. È possibile ipotizzare che ci si sta muovendo verso una condizione di investimento compartecipata tra venture capital tradizionale e corporate.

Per ultimo, guardando all’altro canale di finanziamento, il debito, il 41,5% del campione fa ricorso al debito bancario, mentre il 6,4% non ne usufruisce. Secondo quanto riporta l’analisi, le startup che ricorrono a questo canale di finanziamento hanno ricavi e asset maggiori, più dipendenti ma anche perdite più grosse. Anche qui viene rilevata una presenza maggiore di società industriali nell’azionariato, con una quota del 46,2% contro il 26% nelle altre aziende.

Tirando le somme, sulla base dei dati raccolti nell’analisi di Cennamo e Fasano, si può affermare che: da un lato, è ancora da dimostrare la veridicità della tesi secondo cui mancano startup di qualità (poiché esistono e sono quelle che raccolgono la maggior parte dei capitali); dall’altro, considerata la bassa rappresentazione dei fondi di venture capital all’interno del capitale delle startup, viene in qualche modo confermata la scarsità di risorse da investire in capitale di rischio. In ogni caso è innegabile che la presenza di società industriali nell’azionariato delle società favorisca la raccolta di capitale (equity o debito) necessario allo sviluppo di una startup, e di conseguenza alla crescita di tutto l’ecosistema.

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