Startup, la miscela che può far decollare gli investimenti

I capitali a disposizione delle nuove imprese innovative in Italia sono ancora scarsi. Ma sono destinati ad aumentare, grazie alla combinazione di diversi fattori: dall’attenzione dei venture capitalist internazionali alle nuove agevolazioni fiscali per gli investitori privati. L’importante, adesso, è fare presto

Pubblicato il 26 Apr 2017

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Su una cosa sono tutti d’accordo nell’ecosistema effervescente e frastagliato delle startup italiane: i capitali investiti sulle nuove imprese sono ancora pochi, troppo pochi. Le classifiche continuano a penalizzare l’Italia, confinandola nelle zone basse. Troppo facile trovare Paesi simili al nostro, la Francia, o anche con un sistema manifatturiero più gracile, la Spagna, dove le risorse finanziarie destinate alle startup sono significativamente superiori.

Ho già avuto occasione di riflettere sulla disponibilità di capitali a favore delle imprese hi-tech in Italia e sul ruolo che potrebbe e dovrebbe giocare la Borsa per sostenere il loro sviluppo. Le startup rappresentano un sottouniverso particolare, dove la quota di rischio è, per la loro stessa natura, inevitabilmente più alta. Gli investitori istituzionali quindi si muovono con cautela e quelli privati con diffidenza.

In uno scenario ancora critico, non mancano però i segnali positivi. Qualcosa infatti sta accadendo. Gli investimenti sono ancora bassi, ma il tasso di crescita è a doppia cifra; il venture capital nazionale resta ancora nano ma comincia a manifestarsi l’attenzione di quello internazionale; sono sempre di più le aziende private che considerano forme di corporate venture capital; e poi ci sono i business angel, i family office, gli investitori informali – che in Italia possono essere moltissimi, considerando le ricchezze medie accumulate da molti imprenditori, professionisti e manager – e che potrebbero essere sempre più attratti dagli investimenti in startup innovative dagli importanti benefici fiscali finalmente introdotti anche nel nostro paese (il 30% degli investimenti).

Nel 2016 sono stati investiti quasi 220 milioni, secondo la ricerca annuale dell’Osservatorio Startup Hi-tech della School of management del Politecnico di Milano. Pochi rispetto alla media europea, certo, ma molti di più rispetto al 2015, quasi il 25%. La torta è cresciuta di un bel quarto ed è interessante notare quanto di questa crescita sia stata determinata dall’attività di operatori internazionali: il 50%. Non male per un Paese che fino a poco tempo fa non era neanche nel campo di osservazione degli investitori americani ed europei.

A questi investimenti in “equity”, occorre poi aggiungere i flussi finanziari derivanti dal Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie Imprese (FGPMI) del Mise, nato per le Pmi e poi aperto anche alle nuove imprese. Se si guarda solo alle startup, dalla prima operazione (settembre 2013) a fine 2016 sono stati erogati quasi 360milioni di euro a vantaggio di circa 1200 società. Si certo si tratta di debito e – come tale – non paragonabile minimamente agli investimenti in equity, ma rappresentano comunque risorse finanziarie che alimentano l’ecosistema delle startup.

Che cosa c’è da aspettarsi per il futuro prossimo? Credo che ci sarà un importante incremento dei flussi finanziari a disposione delle imprese più innovative. È facile prevedere che sarà determinato da un mix di fattori e attori: gli investimenti dei vc internazionali cresceranno, è augurabile la stessa cosa per quelli nazionali; le imprese mature in una logica di open innovation avranno sempre più iniziative di corporate venture capital; è probabile che aumentino anche gli impegni del private equity e dei nuovi fondi PIR (Piani Individuali di Risparmio) nei confronti di startup che sono entrate nella dimensione della scaleup. Le agevolazioni fiscali a favore degli investitori funzioneranno, come sembra stia accadendo dai movimenti sul mercato. Se tutte le tessere del mosaico si metteranno a posto, sarà possibile sì passare rapidamente dagli attuali 200 milioni a una cifra ben superiore.

* Andrea Rangone è CEO di Digital360 e fondatore degli Osservatori Digital Innovation del Politecnico di Milano

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