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Perché gli startup founder stanno lontani dalla politica (e viceversa)



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Perché il mondo della politica non vede la necessità e l’urgenza di investire in innovazione e startup? E perché il mondo delle startup sta lontano dalla politica? Ecco le risposte di due imprenditori interessati alla vita pubblica, ma

Pubblicato il 18 giu 2024



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Startup (Immagine di Gajus da Shutterstock)

Più guardiamo ai dati, più vediamo il ritardo dell’Italia sul fronte dell’innovazione.

Gli ultimi sono quelli presentati dall’amico Ilya Strebulaev della Stanford University Graduate School of Business che guarda all’età delle principali aziende di ogni paese.

  • Mentre negli Stati Uniti 7 delle top 10 sono state fondate negli ultimi 50 anni e 6 sono (coincidenza) finanziate dal Venture Capital, in Italia la risposta è: NESSUNA.
  • La più giovane è Enel (nata nel 1962). L’anno medio di costituzione è il 1899 (negli USA il 1947).

Lasciando a questo link l’approfondimento dei dati, anticipo l’ovvio. Ossia che non è difficile comprendere come e quanto il Venture Capital sia il motore del rinnovamento di un tessuto industriale.

Di fronte a questa ennesima evidenza due domande sorgono spontanee.

  1. Perché il mondo della politica non vede l’ovvio, ossia la necessità e urgenza di investire in innovazione e startup?
  2. Perché il mondo delle startup sta lontano dalla politica?

L’ ho chiesto a due persone che stimo, anche perché nella loro vita hanno manifestato interesse per un impegno pubblico (cosa che personalmente io non ho e non ho avuto).

La qualità della vita di chi fa politica è pessima

Il primo è Luca Foresti, imprenditore e manager che, dopo aver guidato per 14 anni il Centro Medico Sant’Agostino e la sua exit verso Gruppo Unipol, ha partecipato alla fondazione della startup ReportAId.

Di seguito alcuni spunti tratti dalla nostra conversazione (qui il link alla puntata di Innovation Weekly di cui è stato ospite).

È tutta la vita che lo valuto. Quando sono uscito dall’università mi sono detto che nella vita avrei fatto 3 cose: l’imprenditore, il politico e il regista.”

In parte l’ho fatto, ma non in prima persona.

Il problema di fare politica oggi è che, se la fai come io la vorrei fare (con onestà materiale ed intellettuale e un impegno per il miglioramento della comunità), la qualità della vita è terribile. Pessima per numero di ore dedicate; pessima per la qualità media delle interlocuzioni che si hanno; pessima perché l’impressione che si deriva è di investire un sacco di energie per ottenere pochissimo: cambiamenti minimali con una montagna di polemiche inutili.

Io sono stato drogato da una condizione – quella di imprenditore e amministratore delegato- tale che, quando mi mettevo in testa di fare qualcosa, potevo sbagliare ma tendenzialmente le cose avvenivano.”

Fare politica per persone come me significa entrare in un mondo dove questo non succede, in cui bisogna conquistare il consenso per avere potere politico. Abbiamo visto persone arrivate alla politica per le loro competenze tecniche ma senza consenso (Prodi, Illy, Soru, …) e abbiamo anche visto cosa è successo appena il potere politico basato sul consenso non li voleva più.

Quindi non riesci veramente a cambiare le cose. Per cambiare le cose devi essere capace di governare ma anche e soprattutto avere consenso politico. Ed il consenso politico si conquista un caffè alla volta. È un processo lungo che richiede caratteristiche che io probabilmente non ho. Bisogna essere un po’ simpatici ed empatici, mediare quando non sei d’accordo. Io sono percepito un po’ come aggressivo.

Impegno politico? Sì ci penso continuamente, ma continuamente vengo respinto dall’idea di passare ad una qualità della vita pessima. Perché per chi ha le competenze, fare politica è una scelta terribile, una scelta monacale. Io sono probabilmente un egoista totale.

Magari solo spirito di auto-conservazione, aggiungo io. Cosa che lo porterà a fare più probabilmente il regista.

Luca Foresti ad Innovation Weekly con Alberto Onetti e Giovanni Iozzia

La distanza tra chi percepisce il problema e chi lo risolve

Il secondo è Andrea Zorzetto, che, dopo aver portato in Italia Plug and Play, ha fatto la sua startup (peoplerank) che permette di “dare il voto” a founder e investitori.

Visto che ricordavo che Andrea si fosse impegnato come consigliere del Municipio 9 di MIlano, gli ho fatto la stessa domanda che avevo fatto a Luca Foresti.

Di seguito una sintesi delle sue risposte (rimando alla puntata di Innovation Weekly per chi volesse accedere alla conversazione completa).

Andrea Zorzetto ad Innovation Weekly con Alberto Onetti e Giovanni Iozzia

Mi sono dimesso perché non riuscivo a starci dietro. C’era un ottimo clima, costruttivo con gente che ci teneva. La cosa che mi faceva cadere le braccia era la distanza tra chi percepisce il problema e chi lo può risolvere, distanza che è infinita. Il bello del software è tutto senza frizioni. Lì ci sono dieci livelli amministrativi, contratti incomprensibili, procedure che non hanno senso. Ciò porta a chi fa politica a parlare a basta, perché fare è impossibile. Le persone che ci lavorano ne sono vittime. La politica è fatta per deresponsabilizzare, non fare le cose. A livello politico questa è stata la mia disillusione. Per uno che è giovane e che vuole avere impatto, l’ambiente pubblico italiano è l’opposto di lean, è l’opposto della Silicon Valley” .

Got it. La speranza resta però l’ultima a morire, così come resto alla ricerca di storie più positive.

Perché abbiamo dannatamente bisogno di una nuova generazione politica.

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