Protagonisti

Massimo Bocchi e CellPly, la startup da 2 milioni di euro

Il founder della piattaforma sulla cura del cancro che ha ottenuto uno fra i più rilevanti investimenti di seed capital realizzati in Italia, si racconta: spirito imprenditoriale, ammirazione per Elon Musk e un consiglio per gli startupper, “Non guardate solo al mondo digitale”

Pubblicato il 20 Mar 2014

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Massimo Bocchi, founder di CellPly

Ha concluso l’affare della sua vita mentre la moglie era in travaglio, ha il pallino dell’imprenditoria e il suo modello è Elon Musk. Lui è Massimo Bocchi, 36 anni, ingegnere elettronico di Bologna e founder di CellPly, la startup specializzata nella diagnostica molecolare che ha ottenuto un investimento di oltre due milioni di euro da Italian Angels for Growth (IAG), Zernike META Ventures e Atlante Seed.

Uno fra i più rilevanti investimenti di seed capital realizzati in Italia. Ma la novità è un’altra: non è una startup digitale, una di quelle “trendy, che vanno di moda e che tanto piacciono ai giovani e ai media” racconta Massimo Bocchi, che non ha ancora finito di festeggiare con spumante e champagne. Qui parliamo di startup innovativa che riguarda il settore della salute: la piattaforma tecnologica di Cellply permetterà di verificare in-vitro, invece che direttamente sul paziente, la risposta cellulare a farmaci antitumorali, supportando con dati predittivi le scelte di oncologi e medici. Grazie all’investimento ricevuto, Cellply porterà a un importante avanzamento nella cura personalizzata del cancro, fornendo strumenti diagnostici per definire e monitorare in-vitro la risposta del paziente a trattamenti farmacologici come le chemioterapie e gli anticorpi monoclonali.

Ma chi è questo trentenne che ha concluso l’affare del secolo? Dopo una laurea in ingegneria elettronica e un dottorato di ricerca all’Università di Bologna,

Il team di CellPly

Massimo Bocchi partecipa a un programma di studi in America, il Fullbright Best. Ed è lì che nasce il suo spirito imprenditoriale: “l’America è un ambiente pro-startup, dove è facile essere contagiati dalla voglia di fare impresa” racconta. Tornato in Italia nel 2010, quella voglia viene alimentata dal professor Roberto Guerrieri, una figura non proprio estranea al mondo dell’imprenditoria: Guerrieri, infatti, ha già generato tecnologie poi tradotte in startup innovative per un valore di mercato di circa mezzo miliardo di dollari. Non a caso il suo nome è legato ad aziende poi cresciute con Apple e all’affare Menarini- Silicon Biosystems. E con lui Massimo Bocchi fonda CellPly con un obiettivo chiaro: “Vogliamo mettere a disposizione di oncologi e anatomo-patologi nuove soluzioni che supportino la scelta del miglior regime terapeutico per ciascun paziente”.

Sfidando, così, il luogo comune che vede i laureati in ingegneria fare gli ingegneri e i medici occuparsi di salute. “Non vogliamo mica diventare tutti Mark Zuckerberge creare il nuovo social network” ironizza lo startupper che, più che a Mister Facebook, guarda con ammirazione Elon Musk: “È una figura multitasking, la dimostrazione vivente che anche con una laurea in ingegneria elettronica posso occuparmi di altro. Musk ha fondato aziende diversissime tra loro guardando ai bisogni della gente, trasformandoli in opportunità e queste in business”.

In Italia c’è tantissimo rumore attorno alle startup digitali, ma abbiamo bisogno di altro: siamo fortissimi nella biotecnologia, nella moda, nel food e nel design. Bisogna imparare a fare impresa anche su questi settori” spiega.

Il chip di CellPly

E, proprio per diffondere la cultura imprenditoriale, ha fondato l’Istituto Italiano di Imprenditorialità, ente no profit che, tramite incontri e aperitivi, vuole promuovere idee imprenditoriali e creare comunità di imprenditori. ” È un progetto ancora in fase iniziale, al quale mi dedico per ora solo a tempo perso” spiega.

Anche perché di tempo a disposizione, al momento, Massimo Bocchi ne ha davvero poco, impegnato tra startup, pannolini e biberon. “Quando mi hanno chiamato per firmare con i tre investitori, stava per nascere mia figlia Alice. Ho lasciato mia moglie in travaglio, sono arrivato in Università ‘scapicollato’ e con due occhiaie che mi arrivavano al collo” racconta. “Ma il ricordo più bello è il post firma, il dopo deal, quando il prof. Roberto Guerrieri, una vita spesa per le startup, con una pacca sulla spalla mi ha detto: ‘Ora vai da tua figlia, ci sono cose più importanti delle startup”.

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