I numeri sono ancora molto bassi, ma il tasso di crescita fa ben sperare. E così le piattaforme di finanza alternativa continuano a impensierire i colossi dell’altra finanza, quella tradizionale. A scattare la fotografia del settore è il paper “Sustaining Momentum” pubblicato, lo scorso settembre, a firma del Cambridge Centre for Alternative Finance (dell’Università di Cambridge) in partnership con Kpmg e il supporto di Cme Ventures. Il documento mette in risalto come il settore della finanza alternativa in Europa abbia fatto registrare crescite significative nel 2015: il volume delle transazioni complessive, generate da tutti i segmenti continentali, ha superato il miliardo di euro, raggiungendo un tasso di crescita del 72% rispetto all’anno precedente (da 594 milioni a 1,019 miliardi).
A guidare la classifica dei volumi generati è il Regno Unito, seguito a distanza da Francia, Germania e Olanda. L’Italia è molto indietro: la raccolta nel 2015 sì è fermata a 32 milioni di euro. Ma c’è una buona notizia. Tra tutti i paesi europei il nostro è quello che ha fatto registrare il tasso di crescita più elevato +287% sul 2014 (addirittura +580% sul 2013), Merito della nascita di nuove piattaforme e della crescita del settore P2P lending. Anche se il vero propulsore è stato l’invoice trading, piattaforme finanziarie che permettono alle Pmi di mettere all’asta online le fatture per ottenere denaro contante rapidamente. Un segmento che ha inciso per il 12% del totale delle transazioni in Italia, grazie a Workinvoice unica piattaforma attiva nel settore che a luglio 2016 ha moltiplicato per quattro volte i volumi del 2015 con 15 milioni di euro di operazioni.
A provare a intrepretare i dati spiegando anche il successo di Workinvoice è Matteo Tarroni CEO della società fondata nel 2013 assieme a Ettore Decio e Fabio Bolognini.
«Prima di analizzare questo 12% bisognerebbe distinguere tra B2c e B2b – spiega Tarroni – in ogni caso il messaggio è abbastanza chiaro: una struttura economica come quella del nostro Paese, con PMI che vendono a poche imprese, ha bisogno di dare supporto alle imprese nel loro capitale circolante. A mio parere lo strumento più efficiente è l’utilizzo di un asset come quello dei crediti commerciali per ottenere liquidità. Quando, insieme agli altri fondatori, abbiamo deciso di avviare questo tipo di business avevamo chiaro il fatto che le Pmi erano schiacciate in una morsa. Da un lato il credit crunch e dall’altro l’allungamento dei tempi di pagamento, che in Italia hanno raggiunto ritardi drammatici».
Ma come opera Workinvoice? Si tratta di un portale su cui le aziende, soprattutto di piccola e media dimensione, possono vendere le proprie fatture prosoluto (ovvero senza dover rispondere delle eventuali inadempienze da parte dei debitori) ricevendo liquidità immediata e gli investitori possono acquistarle mirando a rendimenti potenzialmente più vantaggiosi rispetto a quelli di altri asset a breve termine. «Le aziende hanno bisogno di liquidità – continua Tarroni – la possibilità di avere un canale complementare a quello tradizionale, che si distingue per flessibilità dato che si può cedere qualsiasi tipo di fattura, va a colmare un bisogno stringente. E in modo rapido: da noi nel giro di una settimana si può cedere qualsiasi tipo di fattura».
Il funzionamento della piattaforma è piuttosto semplice: punta a far incontrare domanda e offerta e prende una percentuale sia da chi vende le fatture (varia in base alla durata: in media è pari allo 0,5% del valore) che da chi le compra (il 20% del profitto generato). In più, chiede a tutti, compratori (investitori che facciano un investimento minimo di 50 mila euro) e venditori (società di capitali con portafoglio clienti di buona qualità), una fee di ingresso una tantum.
Il meccanismo prevede che chi vende indichi un prezzo minimo a cui venderebbe la fattura, che rappresenta la base d’asta, e un prezzo “preferito”, che determina la chiusura dell’asta nel momento in cui un compratore offre quella cifra.
«Non abbiamo inventato nulla di nuovo – spiega Tarroni – l’anticipazione sulle transazioni commerciali è un servizio che le banche fanno da parecchio tempo. Noi abbiamo preso questo modello e lo abbiamo smontato nelle sue componenti, creandone uno nuovo più efficiente. Ci consideriamo un aggregatore di competenze che ha portato nel settore un’innovazione di processo, andando a fare partnership con fornitori esterni in relazioni alle competenze necessarie. La tecnologia è stata fondamentale, ma è l’ottimizzazione dei processi la nostra vera arma vincente. Ad oggi 600 aziende si sono rivolte alla nostra piattaforma per un volume complessivo superiore ai 25 milioni di euro. Il nostro obiettivo è quello di diventare una infrastruttura di mercato che consenta di dare liquidità a questo asset».
Nata nel 2013 Workinvoice fino ad oggi ha chiuso tre round di finanziamento per un totale di 1,6 milioni di euro, ottenuti con l’ausilio di alcuni business angels. L’ultimo aumento di capitale ha accompagnato l’entrata in società (con una quota del 2%) di Maurizio Cereda, ex banker di Mediobanca per anni a capo dei servizi di equity capital market. «Vedere entrare in società personaggi che provengono dal mio stesso settore è senz’altro motivo di soddisfazione personale. Ma è anche il segnale di un profondo interesse che si sta sviluppando intorno all’invoice trading in Italia».
D’altronde i numeri del settore, seppure piccoli come dicevamo, suscitano interesse. L’invoice trading in Italia vale circa 3,9 milioni di euro, valore che corrisponde in sostanza al fatturato di Workinvoice essendo al momento l’unico operatore attivo sul mercato. Il totale intermediato dalla piattaforma da inizio dell’operatività è di poco superiore ai 25 milioni di euro. In più la crescita nell’ultimo trimestre ha portato Workinvoice ad avere la più ampia quota di mercato tra tutte le piattaforme europee di P2P business lending, secondo quanto riportato dal Liberum AltFi Volume Index Continental Europe, indice di riferimento per il settore.
Non è escluso poi che, in futuro, la piattaforma possa evolversi: «Non c’è una sola strada – conclude Tarroni – l’evoluzione in questi casi non segue un’unica direzione. Potremmo focalizzarci su un verticale legato ad altri prodotti di debito sempre con le Pmi. Oppure sviluppare un modello “orizzontale” lavorando solo sul capitale circolante con altri servizi accessori (risk managemnt, gestione amministrativa delle fatture, modello integrato). La terza strada potrebbe essere allargare il mercato geografico».
Parlare di internazionalizzazione invece sembra ancora prematuro: «L’Europa è un concetto labile e le normative negli altri paesi sono diverse. Bisogna valutare con attenzione le scelte che si fanno. Perché a indicare la strada è la normativa più che il mercato».