In Italia è osteggiata da parlamentari e architetti. Negli Stati Uniti ottiene milioni di finanziamenti. Si potrebbe sintetizzare così la vicenda di CoContest, la startup che ha sviluppato un portale online dedicato alla ristrutturazione di abitazioni attraverso gare organizzate in crowdsourcing.
La società, fondata a Roma nel 2012 ma che ora ha sede legale in California, avrebbe appena chiuso un round di investimento da 1,9 milioni di dollari, guidato dal fondo di venture capital californiano Draper Associates, che ha partecipato con 1 milione di dollari. All’operazione, riferita da varie fonti tra cui Reuters e Milano Finanza ma non confermata ufficialmente da CoContest, hanno preso parte anche alcuni soggetti che hanno convertito i prestiti obbligazionari già sottoscritti in passato. T
Tra questi c’è LVenture Group, che è stata la prima a investire nella piattaforma per interior designer, che ha investito 120mila dollari (nel complesso la holding di partecipazioni guidata da Luigi Capello ha investito in CoContest 215mila euro e ne detiene il 10,69%, stando a quanto riferisce MF). Il fondo Atlante di Intesa Sanpaolo ha invece partecipato con 250mila dollari, mentre l’acceleratore 500 Startups, che nel 2015 aveva ospitato i fondatori di CoContest (FIlippo e Federico Schiano di Pepe, Alessandro Rossi) per un percorso di accelerazione, è entrato con 100mila dollari. Gli altri 400mila dollari circa sarebbero stati investiti da alcuni business angel.
La storia di CoContest rappresenta piuttosto bene le difficoltà che incontra chi vuole fare innovazione disruptive in Italia e osa mettere in discussione alcuni schemi costituiti. In questo caso, la categoria che si è sentita minacciata dalla piattaforma è quella degli architetti, o almeno di alcuni. La prima mossa contro CoContest è stata l’interrogazione parlamentare presentata il 12 maggio da 9 parlamentari di diversa estrazione politica (da Sel a Fratelli d’Italia, da Partito democratico a Movimento 5 Stelle) all’allora ministra dello Sviluppo economico Federica Guidi per verificare la legittimità dell’operato della startup. La prima firmataria era un architetto: Serena Pellegrino di Sel. All’atto parlamentare hanno fatto seguito una denuncia all’Antitrust da parte del Consiglio nazionale degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori, che ha chiesto il blocco delle attività della startup e le prese di posizione pubbliche da parte di istituzioni legate al mondo degli architetti (tra cui la Fondazione Inarcassa, legata alla cassa professionale).
Alle mosse contro la startup si sono aggiunte anche quelle contro i singoli fondatori: uno dei cofounder, Federico Schiano di Pepe, nonostante Forbes lo abbia nominato nel 2016 uno degli under 30 più influenti europei in ambito e-commerce e retail, è stato sospeso dall’Ordine. Ma per il momento, la startup cresce e raccoglie fondi negli Stati Uniti, dove i lacci e lacciuoli all’innovazione sono molti di meno che qui.