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Rocket Internet, anche gli unicorni a volte vanno in crisi

Quotazioni in caduta, rumors di conflitti con gli azionisti, la vendita di società “non core” e la bancarotta di una startup sulla quale aveva investito: sono i sintomi, secondo il Financial Times, di una parabola discendente della scaleup tedesca dell’e-commerce. Eppoi c’è la mancanza di trasparenza…

Pubblicato il 17 Mag 2016

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I co-founder di Rocket Internet

L’unicorno ha smesso di volare e sta tornando sulla terra. Rocket Internet, la startup miliardiaria europea basata in Germania, sta registrando un andamento non proprio positivo. A marzo scorso ha annunciato che nel suo nuovo fondo di investimento c’erano otto startup considerate “star emergenti”. Una di esse era Paymill, società di processamento di pagamenti online. Il mese seguente questa startup ha dichiarato bancarotta.

È uno dei segnali, come scrive il Financial Times, che il colosso europeo dell’e-commerce con sede a Berlino, noto in Italia per aver acquistato nel 2015 la startup PizzaBo per 55milioni di euro e averla poi rivenduta a Just Eat a febbraio 2016, sta “tornando sulla terra”.

Perché Just Eat ha comprato 4 startup da Rocket Internet, compresa HelloFood Italia

Ma non è l’unico sintomo che il gigante potrebbe avere i piedi d’argilla. Il mese scorso le azioni del gruppo sono scese del 14 per cento dopo che la valutazione di Global Fashion Group, una delle sue società di e-commerce, è calata di due terzi, toccando un miliardo di dollari. Un’azione di Rocket Internet adesso vale circa 20 euro, meno della metà del prezzo dell’Ipo, che era di 42,50 euro ad azione. Ad aggravare la situazione i rumor secondo i quali la startup sarebbe entrata in conflitto con uno dei suoi maggiori azionisti, il gruppo svedese Kinnevik.

Rocket Internet è tra i protagonisti dell’Internet economy di maggior valore in Europa. Nel 2015 una classifica realizzata dal Wall Street Journal insieme a Dow Jones VentureSource l’ha collocata tra gli unicorni, ovvero le startup europee valutate più di un miliardo di dollari. All’epoca la valutazione di Rocket Internet era 5,8 miliardi di dollari.

Startup europee miliardarie, ecco i 9 unicorni

Fondata nel 2007 da Oliver Samwer e i suoi due fratelli, Alexander e Marc, ha dato vita a decine di siti di e-commerce e marketplace online in vari settori, dalla consegna di cibo al fashion, con particolare focus sui mercati emergenti.

La società, che a settembre 2014 ha raccolto 1,6 miliardi di euro attraverso un’Ipo (Initial public offering), è specializzata nel copiare o clonare modelli di business per Internet che hanno funzionato altrove, come Amazon o AirBnb, per poi lanciarli in nuovi mercati. Inizialmente gli investitori hanno visto Rocket Internet come una sorta di cavallo di Troia per penetrare in Africa, America Latina e nel sudest asiatico, tutte aree che hanno una classe media in crescita e vedono una forte penetrazione degli smartphone.

Ma il gruppo ha cominciato a perdere il proprio appeal quando gli azionisti hanno iniziato a chiedersi se qualcuna delle startup nel suo portafoglio sarà mai in grado di garantire ricavi soddisfacenti. E’ inoltre accusato di mancanza di trasparenza: gli analisti si affannano per comprendere le informazioni finanziarie diffuse dal gruppo, perché è solito fornire cifre dettagliate solo a un gruppo selezionato di persone.

A febbraio scorso Rocket Internet ha venduto alcune attività a Just Eat, marketplace digitale internazionale con sede a Londra specializzato nella consegna di cibo a domicilio. La vendita è stata stata effettuata insieme a foodpanda, altra startup berlinese attiva nel comparto (supportata da Rocket Internet). Le attività vendute erano relative alla consegna online di cibo a domicilio in Italia (HelloFood Italia e PizzaBo), Spagna (La Nevera Roja), Brasile (hellofood Brazil) e Messico (hellofood Mexico). Il ricavato dall’acquisizione è stato pari a 125 milioni di euro.

All’epoca Samwer dichiarò: “Questa vendita a Just Eat rappresenta un passo avanti positivo per l’industria internazionale del takeaway online, perché mette in grado tutte le parti in causa di focalizzarsi sulle loro risorse per costruire business più grandi e migliori nel lungo termine nelle loro geografie di riferimento”.

Intanto però gli analisti si sono interrogati sulle reali motivazioni della massiccia vendita. Secondo la rivista specializzata Tech.eu, l’“unicorno” tedesco potrebbe essere stato in qualche modo costretto a prendere la decisione di vendere le attività a causa delle quotazioni in caduta, oltre che dal fatto che – come ha sostenuto la stessa società – le startup vendute rappresentano “operazioni non-core” e non sono “market-leading”. Comunque un ulteriore segnale che il colosso potrebbe cominciare a sbriciolarsi. (L.M.)

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