“È strutturalmente impossibile fare un buon lavoro. Magari qualche startup finirà per iscriversi alla Siae”. È una battuta ma non troppo quella del presidente Filippo Sugar, 44 anni, jeans e sneakers. Non ti aspetti così il numero uno di un ente pubblico a base associativa detentore di un monopolio attribuito da una legge del 1941, quello sulla raccolta e gestione dei diritti d’autore. Insediato da poco più di un anno, tocca a lui rispondere al fuoco incrociato che arriva dalle startup entrate in campo con rumore, Soundreef in testa, e dai Palazzi del Potere: dopo la strigliata dell’Antitrust anche il governo sembra aver abbandonato la posizione di ferma difesa dello status quo e ha dato il suo voto favorevole a un ordine del giorno della Commissione Politiche europee del Senato che impegna l’esecutivo “nella direzione dell’apertura dell’attività di intermediazione ad altri organismi di gestione collettiva”.
La guerra sulla gestione dei diritti d’autore è solo agli inizi. Le startup fanno guerriglia. Il monopolista per legge risponde a tono e compra su Google il nome dell’assaltatore. Ma le battaglie saranno ancora molte e assai lunghe e logoranti. Sugar, diventato presidente con un manifesto che attaccava la vecchia gestione della società in nome della trasparenza e dell’innovazione, non ha dubbi sulla necessità e sul futuro di realtà come la Siae. E non solo per rispetto della legge. «Oggi la Siae è una società gestita dagli autori e dagli editori, com’era alle sue origini. Fino al 2012 non è stato così» dice a EconomyUp nel suo studio di ceo della Sugar Music, la principale casa discografica italiana fondata dal nonno Ladislao negli anni Trenta del secolo scorso. Sa benissimo che EconomyUp ha una chiara linea a favore delle liberalizzazioni e dell’innovazione. E precisa subito: «Questo è un settore particolare che non rientra nello schema liberalizzazione = opportunità. La questione è molto più complessa e direi più complicata di quanto si voglia far credere».
La complessità comincia dalla varietà di diritti da tutelare (riproduzione, esecuzione, diffusione, distribuzione, elaborazione) fino alla molteplicità di autori da tutelare per una stessa opera. Se ognuno si affidasse a una diversa società, non potrebbe che aumentare. “Le grandi piattaforme digitali come Spotify non hanno interesse a trattare con decine di interlocutori, anzi ci spingono ad aggregarci”, sintetizza Sugar, aggiungendo una domanda-provocazione: «In Europa Youtube può sottoscrivere accordi con 27 collecting? Vogliamo che diventino 60?». Il futuro del mercato, quindi, secondo il presidente della Siae, è per pochi grandi player globali. “Ce lo chiede l’Europa… Il Copyright Office europeo spinge per le aggregazioni”. Ma l’Europa ha dato anche le sue indicazioni con la direttiva Barnier che l’Italia non ha ancora recepito. «Verrà fatto presto e per noi non ci sarà alcun problema perché siamo conformi in tutto. Oltretutto il nostro essere ente pubblico fa sì che non gestiamo solo diritti musicali ma repertori la cui raccolta costerebbe più di quanto fanno incassare, come il teatro o la lirica”.
Ma negli Stati Uniti non sembrano preoccuparsi della concorrenza e ci sono diversi soggetti a occuparsi di diritti: può accadere che ci siano 5 autori su uno stesso brano tutelati da diverse società, magari con tariffe diverse. Quindi si può fare. «Certo ma negli Usa la capacità di incasso è tre volte inferiore che in Europa», ribatte Sugar. «Se lo possono permettere perché gli artisti americani hanno come mercato il mondo. Solo la Siae raccoglie per artisti americani 40milioni l’anno, ma ne riceve solo 1,5. Diciamo che il sistema Usa è in grado di sopravvivere grazie all’efficienza altrui». A leggerla così, la realtà, sembra che non ci siano molte speranze per le startup che stanno provando ad entrare nel mercato. «Strutturalmente è impossibile fare un buon lavoro. Patamu, ad esempio, finora ha dato supporto a chi voleva gestire diritti in proprio. Libera di farlo e massimo rispetto. Ma da qui a passare al collecting ce ne corre. Prendiamo un caso concreto: i locali dove si suona musica pagano a Siae una quota stabilita da accordi di categoria. Come farebbero se ci fossero due,tre operatori?».
Non sembra facile uscire rapidamente da questa “complessità”. «Ok liberalizzare il mercato», dice Sugar che non vuol passare per un sostenitore dei monopoli, «ma non pensiamo che potranno esserci 10 player per ogni Paese. Non conviene a nessuno». Sicuramente non alla Siae che opera in un mercato ricco. L’Italia è cresciuta più di tutti in Europa: + 16,8% compresa la copia privata, + 9,5 senza. I conti sembrano tornare e il presidente ribatte a chi nutre dubbi sulla qualità del bilancio: «Posso garantire che abbiamo chiusto il 2015 in utile». E allora perché il bilancio non è ancora pubblicato sul sito? È in attesa delle approvazioni ministeriali, che si fanno sempre attendere. Ma anche quest’anno Sugar potrebbe mettere on line il documento prima che arrivino, anche se questa scelta l’anno scorso gli costò qualche richiamo istituzionale.
Sugar intende completare il suo mandato, fra circa un anno, con una Siae moderna e lontana dall’immagine diffusa del carrozzone pubblico. I costi? «In discesa. Il nostro costo medio per autore nel 2015 è stato del 15,3%. Era il 17,7% nel 2011». L’innovazione? «Abbiamo una nostra Agenda Digitale e stiamo portando tutti i servizi on line. Con qualche ritardo ma quest’anno abbiamo fatto molto. A fine 2016 avremo investito 12milioni di euro». Da febbraio è stato introdotto il borderò digitale e luglio verrà lanciata una campagna di sensibilizzazione: sono in pochi ancora da utilizzarlo, qualche migliaio, e l’obiettivo è ambizioso: eliminare 1,4 milioni di borderò cartacei l’anno. «Bisogna far capire che conviene a tutti perché aumenta la precisione della raccolta e velocizza tutto il processo». Infatti molti sostengono che Siae sia poco precisa e particolarmente lenta. « Ma se l’Agenzia delle Entrtate ha rinnovato l accordo per farci rilevare 4,5 milioni di eventi sul territorio italiano che generano incassi per 11 miliardi! C’è anche il calcio e noi facciamo tutto non a campione ma con dati certi».
Sembra un monopolio difficile da attaccare quello della Siae. «Il monopolio è solo di licenze su alcuni diritti. Sull’online non c’è più alcun monopolio»,
ribatte Sugar. «Noi abbiamo più di mille autori non italiani iscritti alla Siae. E viceversa artisti italiani iscritti a collecting straniere. Non c’è alcun vincolo né tantomeno obbligo per gli autori». E infatti Fedez e Gigi D’Alessio hanno scelto un altro partner, che per il momento deve operare dall’estero. «Fedez ha dato a Soundreef la gestione dei suoi diritti come autore, ma come editore è rimasto in Siae», fa sapere il presidente Sugar, lanciando un messaggio: «Vederemo poi che cosa succederà nel 2017». Che cosa dovrebbe accadere nel 2017? «Non lo so, ricordo solo i numeri. Siae monitora 30mila eventi a settimana solo di musica dal vivo. Ogni anno gestisce 1,2 milioni di contratti per l’uso del repertorio. Non vedo come sia possibile che qualcuno riuscirà a raccogliere più diritti gestendo un repertorio limitatissimo».
In attesa del recepimento della direttiva Barnier e del 2017, se tutto funziona perché molti autori si lamentano della Siae? Solo perchè non sanno che è cambiata e che sta cercando di innovare? O perché sono insoddisfatti di natura? «La direttiva Barnier dice che i diritti vanno liquidati entro i 9 mesi successivi all’esercizio di incasso. E noi siamo in regola». Sempre? «No, quando chi dovrebbe pagare non non paga». E chi non paga? «Gli enti lirici, per esempio. Lo considero un caso scandaloso: ricevono soldi pubblici e poi non pagano i diritti d’autore». La situazione è davvero complicata. La guerra continua. Il dibattito è aperto.