Strumenti di lavoro

Fare impresa, l’importanza di guardarsi allo specchio

Diventare spettatori della propria idea è un passaggio fondamentale, perché l’innovazione non sta solo nella tecnologia utilizzata ma nella capacità di individuare un bisogno e soddisfarlo. Come ha fatto Sailsquare con le vacanza in barca. E adesso deve evitare di farsi sorpassare…

Pubblicato il 10 Mar 2014

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Stefano Gangli

Nessuno può negare che nell’arco della propria vita sono tanti i momenti in cui ci si sorprende nel guardarsi allo specchio. Ci si meraviglia dei segni della stanchezza o della propria inconfutabile bellezza, piuttosto che di un’espressione inedita. Eppure siamo noi, nessuno ci conosce meglio, ma quell’immagine nello specchio ci rivela quello che gli altri vedono, che ci piaccia o no. Allo specchio le cose assumono un altro aspetto.

Ma veniamo alle idee, quelle che vorremmo tanto far diventare il nostro lavoro, soprattutto quella, in particolare, che ci suggerisce l’ipotesi di farla diventare un servizio o un prodotto che possa essere utile agli altri e che possa procurare, duqnue, lavoro a noi. E di questi tentativi oggi il mercato è talmente pieno che non è difficile incontrare chi ci vuole presentare la propria idea perché ci ha selezionato tra i suoi possibili partner, clienti, possibili soci o investitori. Tra i tanti casi non è difficile incontrare chi pensa che l’esigenza che egli stesso avverte possa essere comune a quella di tanti altri come lui. Questo individua la necessità di imporsi fin dall’inizio il ruolo di “non cliente” della propria idea e di dissociarsi a tal punto da poterne vedere da fuori i difetti. Gli stessi che gli altri invece vedrebbero subito come evidenti.

In sostanza, la propria idea va guardata allo specchio. Solo così si possono trovare le risposte alle domande che il pubblico si porrà valutando il nostro servizio e solo così si potrà capire se la trasformazione di un’idea in un’impresa può portare al successo. E questo rappresenta non a caso uno dei primi passi che chi fonda una startup dovrebbe considerare. È quello che hanno fatto i fondatori di Sailsquare, quando, poco più di un anno fa, hanno dato vita ad una startup dedicata alle vacanze in barca a vela. Qualcosa che non esisteva né in Italia né altrove e che non per questo poteva corrispondere ad un successo. Tutto nasce da una serie di considerazioni tra amici – tutti occupati in un altro lavoro – che riflettevano sulla difficoltà di aggregare un gruppo di persone nell’organizzazione di una vacanza in barca. Staccandosi dal ruolo di appassionati, Riccardo Boatti e Simone Marini, cominciano a studiare lo scenario (grazie anche alle reciproche e adeguate esperienze professionali) e scoprono che queste difficoltà di organizzazione generano circa il 30% delle rinunce in un mercato – le vacanze in barca a vela – che negli ultimi anni è diventato molto più accessibile sia sotto l’aspetto economico sia di opportunità tanto da avvicinare anche chi non è necessariamente appassionato di vela. Un business, direbbero in tanti.

Studiano accuratamente, seppur velocemente, e concludono che un modello basato sul consumo collaborativo sarebbe stato una solida base per collezionare un pubblico di possibili clienti in maniera soddisfacente. Da lì salpano – è il caso di dire – con Sailsquare applicando sistemi di sviluppo innovativi e in continua evoluzione. Sailsquare nasce come piattaforma online nella quale chiunque può profilarsi gratuitamente e farsi conoscere dagli altri per proporre o per ricevere proposte con lo scopo di partecipare ad una crew, insieme a persone nuove o con altri amici. Non solo, periodicamente gli skipper (reclutati con lo stesso sistema, tanto che anche essi sono normali utenti del servizio) pubblicano le crociere sulla piattaforma tanto da renderla costantemente aggiornata con le iniziative cronologicamente più prossime o geograficamente organizzate. Risultato: 5000 utenti registrati, svariate decine di crociere effettuate nel primo anno di vita che corrisponde a poco più di 3 mesi se si pensa che la vela è un’attività prettamente estiva. Non male. Ma il successo non è confermato da questi numeri, piuttosto dal fatto che qualcuno anche fuori Italia ha cominciato ad imitare il sistema. Questo comporta ora che Sailsquare sia in continua evoluzione per evitare, come di norma succede, eventuali “sorpassi”. Poco male, se competizione ci deve essere tanto meglio farla per poter proporre soluzioni sempre più innovative e servizi aggiornati, piuttosto che soluzioni al ribasso di costi, qualità e fruizione.

Sailsquare è solo una delle tante realtà che dimostrano che un’idea può diventare un’impresa ed è un esempio chiaro di come non si possa improvvisare, di come – al di là dell’idea – bisogna fare scelte che vadano ben oltre gli aspetti creativi. Sailsquare è una startutp che sta diventando impresa, anche se i suoi fondatori ammettono che la strada sarà lunga e che si definiranno impresa solo quando avranno superato il livello di incertezza dello scenario in cui si muovono, stimolante quanto si vuole ma comunque ancora impervio. Nessun importante ventur capitalist dall’esterno ma energie degli stessi fondatori che hanno attivato un perfetto bootstrapping utilizzando capitali propri. Non solo., C’è anche il tempo di mezzo.: Due anni di tempo investiti per arrivare ai risultati di oggi, il tutto corredato da uno stop del proprio precedente lavoro, una scelta forte decisa per poter cominciare l’attività della nuova impresa a tempo pieno.

Diventare spettatori della propria idea, capire se essa potrà cambiare – o almeno migliorare – le abitudini di qualcuno, capire a chi essa si rivolge o, ancor meglio, capire chi ad essa si rivolgerà, sono le prime analisi che il mercato oggi richiede e la vera innovazione non risiede nella tecnologia che si utilizzerà, ma nell’aver capito se esiste un pubblico che abbia necessità di quello che proponiamo, al di là degli strumenti che si utilizzeranno per soddisfarla. Solo in seguito a questa analisi, se l’esito sarà positivo, si provvederà a capire gli strumenti da impiegare.

Organizzare strumenti e poi capire a chi serviranno non è l’inizio migliore per chi vuole fare impresa, che sia da fondare o da rinnovare. Piuttosto studiare prima un bisogno che sta emergendo tra un possibile pubblico e trovare il modo di soddisfarlo. Se poi si entra in un network di servizi o prodotti già esistenti come l’elemento che mancava, tutto succederà prima del previsto e il vento davvero gonfierà le vele.

Stefano Gangli, direttore creativo dell’agenzia di comunicazione SignDesign, ha appena pubblicato il libro Fare impresa è un lavoro creativo – 8 mosse per capire se hai l’idea giusta. www.gangli.it

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